Boninsegna da Mantova ne compie ottanta: che meraviglia e che tristezza! Meraviglia, perché si tratta comunque di un traguardo significativo. Tristezza, perche prendere atto che il tempo scorra inesorabilmente anche per gli eroi è qualcosa che un po’ ci addolora.
Tra tutti gli attaccanti che hanno reso grande il nostro calcio, mai come ora avaro di centravanti all’altezza, Roberto Boninsegna è stato uno di più umili e, si può dire, sottovalutati. Nonostante questo, si è tolto soddisfazioni sconosciute ai più, a cominciare dalla rete che aprì la sarabanda in terra messicana, passata alla storia come la “partita del secolo”. Segnò, a dire il vero, anche quattro giorni dopo contro il Brasile, ma il suo gol del pareggio fu inutile al cospetto di un avversario così soverchiante. Snobbato da Herrera, che ne temeva l’immaturità ma, probabilmente, anche il temperamento, dovette ricostruirsi una carriera dapprima nel Prato e nel Potenza e poi nel Varese, fino a quando non approdò al Cagliari di un certo Gigi Riva, con il quale, nonostante l’amicizia che li legava, la convivenza non si rivelò semplicissima. Insomma, ha pagato a caro prezzo la sua esuberanza fisica, il suo strapotere in area di rigore e il non aver mai accettato di essere un comprimario. Non a caso, l’immaginifico Brera lo ribattezzò “Bonimba”, sottolineandone la potenza, la grinta, la furia agonistica e il carattere indomito.
Tornò all’Inter una volta terminata l’era del Mago argentino, togliendosi la soddisfazione di regalare ai tifosi l’undicesimo scudetto della storia nerazzurra e rinverdendo i fasti di una compagine che spigolava le ultime glorie prima di passare il testimone alla magna Juve bonipertiana in costruzione. Una Juve che nel ’76, con l’avvento di Trapattoni in panchina al posto di Parola, decise di puntare su due “vegliardi” di lusso, i quali inizialmente suscitarono ironie e scetticismi. Peccato che si chiamassero Romeo Benetti e, per l’appunto, Roberto Boninsegna, venuti a sostituire Capello e Anastasi, girati da Madama alle milanesi, erroneamente convinte di aver fatto un affare. E invece fu la Juve a vincere campionato e Coppa UEFA, in una stagione caratterizzata dal derby infinito con il Torino e dalla battaglia senza esclusione di colpi al San Mamés di Bilbao, in una Spagna in piena transizione dal franchismo alla democrazia e con i Paesi Baschi al centro di una rivoluzione politica e civile che andava ben al di là della questione calcistica. Bonimba, in quel contesto sturm und drang, in una Torino sconvolta dal terrorismo e da agitazioni d’ogni genere, si trovò a meraviglia, come sempre gli era accaduto, del resto, quando aveva dovuto nuotare in mezzo alla tempesta.
D’altronde, come sarebbe potuta essere diversa la sorte di un personaggio nato in piena guerra e cresciuto in un’Italia ancora povera ma ricca di sogni e di speranze? Quando entrava in campo, incarnava alla perfezione le sue origini, la rabbia, la gioia e l’entusiasmo di una generazione che si era dovuta conquistare tutto ma, in compenso, si era potuta permettere la serenità. Volava, letteralmente volava, come in quell’interminabile notte di giugno in cui la voce di Nando Martellini costituì la colonna sonora dei figli del boom, mentre gli Azzurri di “Uccio” Valcareggi piegavano la Germania Ovest di Müller e compagni e si aveva davvero l’impressione che tutto fosse possibile. E pensare che a quel Mondiale, se non fosse stato per lo strano infortunio che colpì Anastasi alla vigilia della partenza per il Messico, il nostro non avrebbe nemmeno partecipato! Fu, dunque, la sua rivincita, il suo appuntamento col destino, la svolta di una carriera fino ad allora sottotono o, comunque, non all’altezza del suo smisurato talento.
Ottanta, e noi siamo qui a ringraziarlo dal profondo del cuore.
P.S. Dedichiamo questo ritratto di Bonimba alla memoria di Aldo Bet, roccioso stopper che aiutò il Milan di Liedholm a conquistare il decimo scudetto, quello della stella, scomparso ieri all’età di 74 anni. A differenza di Boninsegna, Bet non era un campione ma fu comunque, a modo suo, un protagonista di una stagione indimenticabile per il nostro calcio e per l’intero Paese. Ci mancherà.
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