
La parola chiave del prossimo numero della rivista Arel è Eredità.
Rinnovando una ormai consolidata collaborazione tra le due riviste, ytali anticipa uno degli articoli di affari internazionali contenuti nel numero. Di questa gradita cortesia ringraziamo la direzione e la redazione di Arel.
La Rivista sarà presto disponibile in versione web e a breve arriverà anche la versione cartacea, acquistabile online e nelle librerie Feltrinelli di Milano Duomo e di Largo Argentina a Roma.
Aurobindo Ghosh (1872-1950), conosciuto più semplicemente come Sri Aurobindo, è stato un filosofo, poeta e patriota. Fu tra i leader del nascente nazionalismo indiano nel primo decennio del XX secolo e tra i primi a rivendicare la piena indipendenza dalla dominazione coloniale. Nel 1910 si ritirò a Pondicherry, allora colonia francese, per dedicarsi a una pratica intensa di yoga e vita spirituale. Elaborò un sistema di Yoga integrale, fondato sulla ricerca di una integrazione tra spirito e materia, tra Oriente e Occidente. Rappresenta una delle figure simboliche dell’India moderna. Nel 1906-07 scrisse un articolo II Borghese e il Samurai, dove poneva a confronto l’evoluzione dell’India e del Giappone nel XIX secolo, due nazioni orientali che avevano maggiormente ricevuto l’influenza delle idee e della civiltà europea, con risultati opposti.
Il Giappone, che era la nazione piccola delle due, era diventata una delle potenze del mondo moderno mentre l’India, la più grande, con un potenziale di gran lunga superiore, una cultura più originale, un antico e splendido passato, una missione elevata nel mondo era invece rimasta debole, soggetta a carestie, politicamente ed economicamente gracile e sottoposta, moralmente e intellettualmente, a un potere straniero e incapace di realizzare le sue grandi possibilità. Il Giappone aveva assimilato la scienza e l’organizzazione occidentale, superando in vari aspetti i maestri, mentre l’India aveva fallito in questo compito di assimilazione.
La spiegazione comune era che il Giappone era stato capace di riformarsi, liberarsi di idee e istituzioni inadatte ai tempi moderni, mentre l’India era attaccata a una tradizione logora. Aurobindo, invece, ha un’interpretazione diversa. Il Giappone è rimasto fedele al suo spirito antico, ha solo preso certe forme dell’organizzazione politica e sociale europea per completare la propria cultura in condizioni moderne, che nell’Ottocento si è espressa nel modello del Samurai.
L’India al contrario si è aperta a una nuova tipologia sociale, quella del borghese, i cui valori sono il guadagno, la rispettabilità, il successo sociale e il rifuggire dai grandi ideali che mettono in discussione lo status e la stabilità sociale. Il borghese nell’India di fine Ottocento è una figura che non esisteva nelle epoche precedenti e si è sviluppata al servizio di un potere straniero. La differenza tra India e Giappone, la ragione dei diversi risultati, consisteva nel fatto che in un paese aveva prevalso il modello del borghese inglese e nell’altro quello del Samurai.
All’inizio del Novecento il Giappone occupava un posto unico nell’immaginario dei nazionalisti indiani. La vittoria del Giappone, che aveva distrutto la flotta russa nella battaglia navale di Tsushima, nel 1905, rappresentava ai loro occhi un evento epocale, la prima vittoria di un paese asiatico contro una potenza europea. Sri Aurobindo lo defini l’evento più importante dell’inizio secolo. Il Giappone indicava un modello, la capacità di acquisire la scienza e la tecnologia occidentali, la sua organizzazione, senza rinnegare le proprie radici e le proprie tradizioni.
In coincidenza con le agitazioni nazionaliste di inizio Novecento si sviluppò anche un movimento – Swadeshi – per l’autosufficienza economica, il boicottaggio delle merci straniere e l’utilizzo solo di prodotti locali. Questo movimento ovviamente favoriva le produzioni artigianali ma diede anche impulso all’industrializzazione e allo sviluppo tecnologico del paese. È in questo contesto che il gruppo industriale TATA costruì, nel 1909, la prima acciaieria del paese, che oggi è uno dei conglomerati dell’acciaio più grandi al mondo con interessi e presenze in 26 paesi.
Il gruppo Tata prese anche l’iniziativa di aprire a Bangalore, sempre nel 1909, la prima università scientifica e tecnologica del paese, l’Indian Institute of Science (IISC) che rappresenta ancora oggi una delle eccellenze indiane ed è tra le prime 120 al mondo.
Bangalore a quel tempo faceva parte dello Stato di Mysore, governato da un Maharaja indiano, Krishnaraja Wadiyar IV (1884-1940), sotto il controllo indiretto della Corona che offri, in donazione, i terreni per il campus. Il governo del Mysore era molto attento allo sviluppo e al benessere della regione. In quegli anni, per un certo periodo, dal 1912 al 1918, il primo ministro dello Stato fu l’ingegnere M. Vaisvareya (1861-1962) che promosse diverse iniziative per lo sviluppo economico, tecnico, l’istruzione e l’avviamento professionale e contribuì a creare le condizioni che, qualche decennio più tardi, hanno portato Bangalore nella mappa dei centri tecnologici globali.
Prima di passare al servizio dello Stato di Mysore, Vaisvareya era stato un ingegnere civile di successo che aveva operato in diverse parti dell’Impero. Il suo compleanno in India viene celebrato come la giornata nazionale degli ingegneri. Si occupò molto anche di economia e, nel 1934, fu tra i primi a proporre l’idea di un modello di economia pianificata in un contesto di mercato. Vaisvareya aveva ampiamente viaggiato e faceva riferimento a esperienze di altri Paesi come quella dell’IRI che si andava costituendo in Italia, il New Deal, la Turchia e la Cina.
Anche se alcuni istituti tecnici erano stati creati nel corso del XIX secolo, la politica inglese scoraggiava l’educazione scientifica, o meglio si limitava a quelle particolari branche funzionali alla gestione dell’amministrazione e allo sviluppo delle risorse. L’alta formazione produceva soprattutto burocrati, medici, avvocati o, nel campo tecnico, geologi per lo sviluppo minerario o agronomi per lo sviluppo delle piantagioni.
Da parte indiana si rivendicava, invece, la promozione di un sistema di educazione sotto il controllo nazionale con particolare riferimento alla scienza, alla tecnologia e all’industrializzazione del Paese.
Parallelamente si sviluppò anche una tendenza che individuava nel passato antico dell’India tutte le scoperte dell’Occidente moderno, che in parte rimane ancora oggi. Si trattava di un tentativo per dimostrare una propensione dell’ethos indiano alla scienza e alla tecnica, per provare che non è incompatibile con essi.
Basti pensare a diversi conseguimenti, incluso la scoperta del numero zero, che poi l’Europa apprese tramite gli Arabi.
Fu solo con l’University Act del 1904 che alle università indiane fu consentito di organizzare corsi e ricerca scientifica. Non a caso fu un giurista e matematico, Ashutosh Mookerjee (1864-1924), appena nominato rettore della Calcutta University a fondare prima il Bengal Technical College (nel 1906) che oggi è conosciuto come Javadpur University ed è uno dei principali istituti ingegneristici del Paese e, qualche anno più tardi, nel 1914, a stabilire lo University College of Science of Calcutta da cui emersero diverse figure di grande rilievo. Si può indicare soprattutto C.V. Raman (1888-1970) – premio Nobel per la fisica nel 1930 – scopritore di un effetto di diffusione fotoelettrico, che prese il suo nome, in collaborazione con K.S. Krishnan (1898-1961).
Importanti contributi alla fisica teorica furono offerti anche da Satyendranath Bose (1894-1974), che elaborò un modello di distribuzione statistica assieme a Einstein e da cui prende il nome una famiglia di particelle subatomiche, quella dei bosoni.
Satyendranath era stato studente di un altro Bose, Jagadish Chandra (1858-1937) che a fine Ottocento si occupò di ricerche sulla radio e incontrò Marconi in Europa. Le sue attività furono osteggiate dalle autorità accademiche e politiche del Bengala.
Si può inoltre ricordare, in un altro settore, Prafulla Chandra Ray (1861-1944), padre della chimica indiana. Condusse importanti ricerche nel campo dei nitriti. Fu docente a Calcutta e fondatore della prima impresa chimico farmaceutica del Bengala, nonché un nazionalista convinto, collegato con le frange più rivoluzionarie attive a inizio Novecento. Secondo alcune testimonianze rilasciate dopo la sua morte, avrebbe assistito i rivoluzionari anche nelle fabbricazioni di esplosivi.
Un altro scienziato attivo in politica e nella lotta per l’indipendenza è stato l’astrofisico Meghnad Saha (1893-1956), un convinto nazionalista, sostenitore della necessità dello sviluppo industriale del paese e critico delle teorie di Gandhi sul ricorso esclusivo alle tecnologie rurali, manuali e tradizionali che considerava medievali e arretrate. La coesistenza e il confronto tra l’anima tradizionalista e quella modernista è uno dei temi ricorrenti del Novecento indiano.
Nonostante la leadership riconosciuta da Gandhi, il Congresso punterà decisamente verso l’industrializzazione del paese. Tra le due Guerre Mondiali sorgono molte industrie. Una parte importante di questi industriali sono sostenitori di Gandhi, i suoi principali finanziatori, appoggiano le sue rivendicazioni politiche e tollerano le sue idee economiche che garantiscono una pace sociale e prevengono una conflittualità di classe. In questo periodo sorgono molti gruppi industriali come i Birla, i Thapar, i Dalmia, i Singhania, che emulano le iniziative del gruppo Tata a inizio secolo e costruiscono l’ossatura del grande capitale indiano nei primi decenni dopo l’indipendenza.
Con la Seconda Guerra Mondiale ci fu un’ulteriore crescita dell’industria indiana, per consentire una maggiore capacità produttiva a seguito dell’insicurezza delle rotte marittime e per garantire le forniture belliche e dei beni di prima necessità. In questo contesto l’amministrazione coloniale acconsentì, nel 1942, alla creazione di un Consiglio per le Ricerche Industriali e Scientifiche (CSIR) che è ancora la principale agenzia di ricerca scientifica e tecnologica del Paese e uno dei maggiori recipienti mondiali per finanziamenti in ricerca e sviluppo.
Le politiche economiche dopo l’Indipendenza s’indirizzarono verso un’accelerata industrializzazione – tramite piani quinquennali in un contesto democratico e di mercato – pur mantenendo una certa attenzione per i settori tradizionali e informali dell’economia. Oltre all’attuazione di grandi progetti industriali e infrastrutturali, come acciaierie e dighe, venne data una priorità importante allo sviluppo tecnologico e scientifico come fattore per uscire dal sottosviluppo.
Nel 1958 il governo indiano approvò una politica per lo sviluppo scientifico (Science Policy
Resolution) che considerava tre fattori chiave per la prosperità nazionale: la tecnologia, le materie prime e i capitali. Lo sviluppo scientifico e tecnologico era senz’altro il più importante perché poteva compensare la carenza di capitali e materie prime, che rappresentava in effetti un problema per l’India.
Nehru si circondò di diversi scienziati, con grandi prospettive, e vennero create alcune istituzioni che sono oggi delle eccellenze internazionali. Venne creato un dipartimento per l’energia atomica, nel 1954, sotto la guida dello scienziato nucleare Homi Jeangir Bhabha (1909-1966) che in precedenza aveva contribuito a fondare, nel 1945, il Tata Institute of Fundamental Research, attualmente uno tra i più accreditati centri di ricerca a livello internazionale in vari campi: informatica, matematica e scienze naturali e biologiche.
Dal dipartimento dell’energia atomica prese vita un progetto pionieristico non solo per un Paese in via di sviluppo: la costituzione di un’ agenzia spaziale, quando questa disciplina era agli albori anche nel mondo avanzato. Nel 1962 venne costituito l’Incospar (Indian National Committee for Space Research) su iniziativa di Vikram Sarabhai (1919-1971). Era un astronomo e un fisico che apparteneva a una famiglia di industriali molto legati al movimento per l’Indipendenza e a Mahatma Gandhi, di cui erano stati forti sostenitori e finanziatori. Il primo lancio di un razzo sonda fu effettuato, in condizioni avventurose, nel 1963. Nel 1969 il comitato per la ricerca spaziale venne costituito come ISRO (India Space Research Organization) e il primo satellite fu lanciato con collaborazione sovietica, nel 1975. L’utilizzo di satelliti per l’istruzione, lo sviluppo rurale e la lotta all’analfabetismo, era una componente importante della visione originaria di Vikram Sarabhai che contemplava anche la possibilità di utilizzare sistemi satellitari per programmi di educazione di massa da attuarsi con trasmissioni televisive nei villaggi. Questo programma fu attuato negli anni Settanta con la tramissione, in 2400 villaggi in zone remote, di programmi per la salute, l’igiene, il miglioramento delle pratiche agricole e la pianificazione familiare. Una caratteristica dei primi programmi spaziali era il fatto che non erano dovuti a visioni geopolitiche ma erano considerati come un volano per creare ricerche verso nuove applicazioni tecnologiche, che potessero dare risposta ai problemi del Paese.
Oggi l’ISRO è la sesta agenzia spaziale al mondo. È cresciuta da un centinaio di addetti ai primordi a quasi 17 mila dipendenti e ha stabilito con successo dei rami commerciali. L’Antrix Corporation, per fornire servizi satellitari a vari utenti, e la Nsil (New Space India Limited) per stimolare un rapporto pubblico-privato nel settore delle tecnologie spaziali.
Ha completato di recente e con successo una missione lunare in zone non ancora raggiunte e fa parte di un ristretto club – che comprende USA, Russia e Agenzia Spaziale Europea – che può effettuare orbite su Marte.
La promozione dello sviluppo tecnologico e scientifico non poteva prescindere dallo sviluppo di una politica universitaria. Già nel 1946, alla vigilia dell’indipendenza, era stata concepita l’idea di costituire degli Istituti Tecnologici sul modello americano. Inizialmente ne furono costituiti negli anni Cinquanta, col nome di IIT (Indian Institute of Technology) ognuno per una diversa zona del Paese: a Kharagpur, nelle vicinanze di Calcutta, a Mumbai, Chennai, e Kanpur. La loro costruzione avvenne col supporto dell’Unesco e con assistenza tecnica e finanziaria, secondo i casi, dell’Unione Sovietica, degli Stati Uniti e della Germania Federale. All’inizio degli anni Sessanta venne costituito un IIT anche a Delhi.
Si tratta di istituti di eccellenza che occupano stabilmente i primi posti nelle gerarchie delle università indiane. Negli ultimi quindici anni vi è stato un forte incremento nel numero di IIT, anche per rispondere a una domanda di alta istruzione qualificata che viene da varie regioni del Paese. In totale sono adesso 23, però il brand da solo non basta a offrire la qualità.
Dopo l’Indipendenza l’India ha conosciuto un incremento esponenziale nel numero dell’università.
Nel 1947 esistevano venti università, mentre sono più di 1100 nel 2023. La crescita è diventata molto forte dopo che il sesto piano quinquennale (1980-85) ha dato priorità allo sviluppo dell’istruzione universitaria.
Il loro numero è pressoché raddoppiato negli ultimi quindici anni.
Alla crescita quantitativa non ha ancora corrisposto una crescita qualitativa. Le infrastrutture si sono sviluppate in maniera rapida ma le risorse umane hanno tempi più lunghi per conseguire la preparazione di livello necessaria. C’è un divario importante tra le università di più antica costituzione e quelle più recenti.
Questo si riflette anche nella qualificazione degli studenti. E noto che, in India, si diplomano annualmente circa 1,5 milioni di ingegneri, però il loro livello di preparazione al lavoro non è sempre adeguato e le aziende indiane devono attuare dei periodi di formazione e apprendistato interni.
Il sesto piano quinquennale è importante anche per avere dato l’avvio allo sviluppo informatico del Paese. Nel 1984 venne adottata una Computer Policy, seguita da una Software Policy nel 1986, con l’intento di sviluppare competenze locali e promuovere esportazioni nel settore informatico a costi competitivi, tramite riduzione delle tariffe doganali, liberalizzazione delle importazioni, interventi governativi a livello di sussidio e infrastrutture, creazione e utilizzo di sistemi satellitari a basso costo.
C’è quindi un percorso di lungo periodo, che ha portato l’India a essere uno dei leader mondiali del settore. La crescita del settore informatico è stata poi accompagnata – al momento in cui è avvenuto un autentico boom tra i due millenni – con la creazione di università specializzate, gli IIIT (Indian Institute of Information Technology). Attualmente vi sono 25 università specializzate nell’informatica. Un modus operandi costante dei governi indiani è stato quello di elaborare in anticipo politiche speciali per i settori innovativi e di creare enti e università specializzati, che possano favorire sinergie.
Lo stesso è avvenuto in altri settori come le biotecnologie, la ricerca e sviluppo, nei quali l’India è all’avanguardia.
Negli ultimi cent’anni l’India ha fatto un importante percorso di acquisizione scientifica e tecnologica, senza rinnegare le proprie tradizioni.
In un certo senso queste ultime si sono rinforzate in vari aspetti.
L’India ha contribuito in maniera determinante alla civiltà asiatica. Ha dato origine al Buddhismo, che rappresenta la cultura di base di una gran parte del continente e, la stessa cultura induista, ha avuto una forte influenza nel Sud-Est Asiatico.
Nonostante il carattere ascetico e di rinuncia al mondo delle sue culture, ha dato vita anche a una ricca civiltà materiale e sociale. Ouesta è stata riscoperta a fine Ottocento, in coincidenza con il Rinascimento indiano e con un recupero dei valori originari in risposta all’egemonia britannica, coniugata alla comprensione e alla ricezione di quanto di valido il mondo occidentale avesse da offrire. Oltre ad Aurobindo, questa tendenza fu espressa anche dal monaco vedantino Swami Vivekananda (1863-1902) che lanciava un forte messaggio all’Occidente sulla tradizione spirituale indiana, con un celebre discorso tenuto al parlamento delle religioni di Chicago, nel 1893. Al tempo stesso ricordava ai suoi connazionali l’importanza, non solo di radicarsi nella propria tradizione ascetica e spirituale, ma anche di aprirsi alle nuove conquiste materiali, spirituali e di scienza, che sono due facce della stessa medaglia. Sono entrambi personalità caratterizzate da un forte ascetismo ma che hanno offerto un importante contributo ideale e motivazionale per un cambiamento dell’India. Il loro messaggio ha ispirato una profonda cultura dell’azione, che non è necessariamente distaccata dalla vita spirituale.
Hanno sicuramente contribuito a imprimere l’idea che «lo Yoga è abilità nel lavoro», che è un antico versetto dal testo delle Gita, divenuto il motto del primo IIT a Kharagpur. Sono ormai figure di riferimento nell’India contemporanea, anche se spesso solo parzialmente comprese. L’India corre, talvolta a ritmi frenetici, e talvolta assorbe dalla globalizzazione e dall’Occidente, non sempre in maniera discriminante.
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