Nata a Rapallo nel 1929 da una famiglia di origini veneziane, ancora in giovane età, Anna Moro-Lin [immagine di copertina] si trasferisce a Venezia, qui vi trascorre la vita e muore nel 2021. Quarantenne, Anna decide di intraprendere un percorso artistico e lascia la sua professione. Si iscrive all’Accademia di Belle Arti dove frequenta la scuola libera del nudo e prosegue il suo apprendistato presso il laboratorio grafico di Venezia Viva. Ben presto comprende che la via che vuole seguire è quella dell’astrazione, che diventerà fondamentale in tutto il suo percorso d’artista. Fin da subito si allontana dalle tecniche tradizionali e abbraccia la fiber art, corrente artistica che usa come medium privilegiato d’espressione le fibre. L’artista utilizza la garza, la carta velina, la tela, la cartapesta che mescola con colle e pigmenti, ma anche il filo di ferro cotto.
Si impone al pubblico nell’importante mostra di fiber art del 2000 “Off loom” nell’ex Carcere Minorile nel complesso di San Michele a Ripa a Roma. Accanto alle opere delle più importanti artiste tessili italiane espone “Fuori dal Vento” (1994), già esposta in Italia e all’estero, opera imponente e complessa che fa parte della donazione ai Musei Civici ed è stata esposta nella recente mostra a Venezia. L’opera consiste in trenta pannelli di garza di cm 200 x 70 l’uno, che si librano nello spazio e che creano, nel loro insieme, una quinta teatrale. I pannelli sono immersi in una tintura blu e lavorati a terra in modo da poter conservare la forma una volta sospesi. La consistenza leggera dei teli è realizzata con una tecnica molto personale: la carta, che viene incollata alla garza da cui l’opera ha inizio, viene strappata, fatta macerare, asciugare e poi colorata di blu. Per raggiungere le molte sfumature la carta viene sottoposta a più passaggi di coloritura. La consistenza è data ai pannelli dalla garza, che è tela tarlatana, una tela robusta che si usa nella sartoria per uomo, e dalla colla.
I pannelli si dividono in tre gruppi da dieci e ciascuno ha una funzione: in un primo gruppo sono riportate frasi della storia di Sisifo di Albert Camus, in un secondo sono intrecciati fili d’argento, in un terzo inserti di carta e fili d’argento. Ai piedi di questi grandi schermi sono appoggiati sul pavimento un centinaio di gomitoli di filo di ferro cotto, dal colore scuro.
L’artista sottolinea che la fragilità, la leggerezza di questi sipari/ripari sospesi e in balia del vento, poco possono per difendere la vita dalle sue numerose difficoltà, rappresentate dalle sfere di filo di ferro.
Questa è la prima opera della Moro-Lin che si stacca dalle pareti e propone un nuovo significato di spazio che poi prosegue con l’altra opera “Muri d’acqua”. Collocando nello spazio i pannelli e formando un sipario l’artista persegue l’obiettivo di creare una nuova spazialità e dà così una precisa connotazione al luogo in cui sono esposti e dove lo spettatore si addentra.
La montatura veneziana, forse costretta dai pesanti vincoli posti dall’ambientazione in un palazzo storico, poco aiuta la lettura perché i pannelli paiono troppo sovrapposti e riduce la percezione dell’elemento spaziale.
La prima opera in tela esposta nelle sale del palazzo Mocenigo è “Della tentazione” (1986), opera delicata e raffinata composta da un grande telo (120 x 245 cm), ripiegato eseguito con la tecnica del collage. La struttura dell’opera è di tela inamidata su cui appoggiano carte veline colorate dall’artista e un nastro di carta dorata.
L’installazione “Muri d’acqua” (1996), composta da due grandi pannelli (155 x 570 e 155 x 540 cm) che si ispirano alle architetture toscane dove, alle pareti, si alternano fasce di marmo di colori diversi e contrastanti, riprende il tema dello spazio iniziato in “Fuori dal vento”.
L’alternanza qui è creata dipingendo delle fasce di verde, che rappresentano il mare, con diverse sfumature a seconda della profondità dell’acqua e ornate con immagini di pesci fissate con filo d’argento, seguite da fasce bianche che rappresentano la luce. La base è sempre la tela tarlatana.
L’opera, composta per una galleria genovese, ne ricopriva le pareti ricreando un nuovo spazio dove il visitatore aveva la sensazione di immergersi. Nell’allestimento di palazzo Mocenigo l’opera è stata collocata nel portego sulla parte alta di una parete in corrispondenza delle finestre e si perde così parte dell’intenzione dell’artista di coinvolgere il visitatore nello spazio.
Già guardando queste prime opere in garza non si può non pensare alle opere tessili di un’altra artista veneziana, Wanda Casaril. Le installazioni delle due artiste sono aeree, leggere, per molti aspetti simili, ma ottenute con tecniche personali completamente diverse. Anna Moro-Lin interviene, prevalentemente sovrapponendo carte da lei create, su una garza con la tecnica del collage, Wanda Casaril invece costruisce la garza con il filo, partendo da un supporto di carta leggera che poi demolisce, e crea il disegno con il filo sopra la garza, proprio come fanno le merlettaie di Burano.
Proseguendo il percorso della mostra, all’interno di un salottino del Settecento e coprendone l’intero pavimento, è allestita l’opera “Terre” (1979) esposta nel 1980 nella mostra personale “Anna Moro-Lin e i suoi acquarelli” nella galleria Il Traghetto a Venezia, e composta da nove teli di lino ( 90 x 150 cm). L’originale e gradevole allestimento si può apprezzare affacciandosi alla porta di accesso dalla quale sembra proprio di vedere uno squarcio tranquillo di laguna. L’artista interviene sulla tela con una tecnica diversa, applica pigmenti di terre e vinavil sciolti nell’acqua per mezzo di ampolle da chimico. Le immagini sono appena accennate, con tonalità discrete ma evocano in modo immediato i colori della laguna e l’opera viene nuovamente esposta al “Premio di pittura Burano: Paesaggio” nel 1984.
Nell’installazione “La natura delle cose” l’autrice affronta il tema della vita, meglio il suo scorrere. “Il tempo sospinge man mano ogni cosa e tutto trasforma e disintegra e disperde” scrive Moro-Lin. Su una pedana (8 x 2 x 0,20 mt) ricoperta con un telo nero è posta una lunga fascia bianca di tela avvolta alle estremità che indica l’incessante fluire del tempo. Ai lati sono poste tessere di tela/garza dalla forma irregolare sbiancate, stinte fino a diventare, alla fine del percorso della vita, elementi tessili che hanno perso ogni consistenza e fanno vedere solo tracce di filo intrecciato dopo una lunga usura.
Sempre seguendo il percorso dell’esposizione, ricordo altre due opere, “Spazi allusivi” (1985-1987) e “Immagini d’assenza” (1992). Della prima, composta da vari elementi, colpiscono una coppia di grandi pannelli (150 x 200 cm) realizzati con la tecnica del collage, opera leggera e delicata. Sono appoggiati su un tavolo e sono composti da una base di garza su cui l’artista esegue in uno delle leggere pennellate di colore bianco, come delle velature che si sovrappongono alla garza, di tanto in tanto macchiate di nero e su di esse l’artista appoggia delicatamente carte veline dai colori tenui e pezzi di carta di giornale strappati a mano; nell’altro sono sempre presenti pennellate bianche ma le carte incollate sono prevalentemente rosse. Entrambe le superfici ricordano l’opera “Della tentazione” dello stesso periodo.
La seconda opera, che conclude il percorso espositivo, è composta da quattro elementi (95 x 145 cm), sempre su garza dove l’artista segue una tecnica diversa che consiste nell’incollare carte veline e poi immergere il pannello ripetutamente nel colore. Ad ogni bagno il colore si deteriora e il suo aspetto muta lasciando in alcune parti la sola garza e diventa trasparente. I colori così ottenuti, dalle tonalità violacee, evocano ancora l’ambiente lagunare e le superfici sembrano le barene levigate dall’acqua della marea. Lo sguardo corre ancora una volta allo stretto legame dell’artista con Venezia, con le sue atmosfere, con i suoi colori, non netti ma fatti di mille sfumature.
Anna Moro-Lin nel 1994 inizia a usare anche il filo di ferro cotto, materiale malleabile che intreccia con le mani e crea delle forme scultoree sferiche che troviamo nell’opera “Fuori dal vento” di cui abbiamo già parlato. Con questo materiale crea delle sfere dalla misura variabile, mai superiori ai quindici centimetri, e tre di queste opere fanno parte della donazione. La sfera è un tema caro alle artiste della fiber art, e le sfere in ferro della Moro-Lin ci ricordano le forme scultoree sferiche in filo di acciaio e di rame di un’altra artista, Barbara Shawcroft. Moro-Lin compone “Storie e altre storie” (1994) formata da 41 elementi, da alcuni di questi fuoriescono delle lunghe lingue di vetro, metafora di storie che non raggiungono mai una conclusione, “Rigida-mente” (1994-2004) opera di sessanta sfere ciascuna delle quali ha all’interno delle piccole teste in cartapesta dalle diverse espressioni a indicare che la vita di ciascuno è intrappolata, come spiega l’artista, e infine “Like fish in the water” (2009), composta da 41 elementi con all’interno dei gomitoli dei pesci colorati in cartapesta che, anche loro come l’uomo, vivono la condizione di esseri ingabbiati.
Altro tema caro ad Anna è quello del riciclo che viene presentato nell’opera “Leonia” (1998), composta da ottantaquattro griglie da forno immerse più volte in pasta di carta e pigmento con inserti. Vecchie griglie che rievocano il tema del recupero. L’artista racconta che l’dea alla base dell’opera era nata mentre stava usando una griglia come gocciolatoio e osservava che gli spazi si andavano rimpicciolendo dando vita ad un nuovo oggetto. L’artista pensò allora di recuperare presso il centro di raccolta di rifiuti urbani le griglie delle cucine e le tornò alla mente il breve racconto di Calvino “Leonia”, una delle città invisibili, i cui abitanti consumano nuovi oggetti ma ne eliminano altri, giorno dopo giorno, in misura sempre maggiore e questi ultimi come “squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere”.
Anna Moro-Lin è sempre stata aperta alla diffusione dell’arte tra la gente e nel 1995 su sua iniziativa, in collaborazione con l’ARCI Lido, nasce un laboratorio per adulti interessati a fare un percorso personale nell’arte, anche se privi di una formazione artistica precedente. Il percorso si conclude con un’opera individuale o collettiva. Attorno ad un tema Moro-Lin, che guida il gruppo, costruisce un progetto metodologico che stimola il lavoro di ciascuno. L’opera collettiva progettata nel 2005 “Food for the spirit-La cultura è un cibo nutriente” viene allestita in una sala del museo. Si tratta dell’addobbo di un grande tavolo imbandito per un pranzo. Dalla tovaglia al vasellame, dai tovaglioli alla fruttiera colma di frutta, tutto è fatto con la carta e la cartapesta.
Fanno parte della donazione altre opere come: “Our daily bread”, “Scaglie di mare”, “Grumi di mare”, “Le parole tra noi leggere”, “Il grande cielo”, “Co-abitare”, “Legni fasciati”, “Immagini d’assenza”.
Il museo e centro studi di storia del tessuto e del costume Palazzo Mocenigo ha pubblicato, a cura di Chiara Squarcina e Toni Toniato, il catalogo delle opere donate dall’artista “Anna Moro-Lin tramalogie” stampa Grafiche Battivelli, Treviso.
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