Per lo scudetto sarà corsa a due fra Inter e Juve, con i nerazzurri nettamente favoriti e i bianconeri all’inseguimento, forti della propria tenacia e della propria caparbietà, il famoso “stile Juve” che, per quanto nettamente appannato, sembra resistere nel tempo. Certo, va detto che l’Inter ha un gioco, un’anima e una personalità ben definite mentre la Juve si aggrappa unicamente alla tenacia, con un Vlahović affetto da due anni da una sorta di “spleen” e un allenatore, Allegri, che, non si sa perché, ha deciso di rinunciare a giocare per affidarsi a una resistenza strenua in difesa e al guizzo dei singoli in attacco.
Non è di questo, tuttavia, che vogliamo occuparci. O meglio, non solo. Intendiamo qui celebrare due icone delle rispettive società: Beppe Bergomi per l’Inter e Giorgio Chiellini per la Juve. Lo “Zio” nerazzurro, infatti, ne compie sessanta, mantenendo intatta la propria freschezza e apparendo, anzi, ringiovanito rispetto a quando, a diciott’anni, conquistò da protagonista il “Mundial” che avrà sempre un posto d’onore nella nostra storia. All’epoca esibiva un paio di baffi che gli valsero, per l’appunto, il soprannome di “Zio” nonché una maturità che sbalordiva chiunque lo osservasse. Era poco più che adolescente ma dava l’impressione di essere un veterano, componendo una retroguardia fra le più forti e complete di sempre. Oltretutto, componeva, insieme a Bordon, Oriali, Marini e Altobelli, la pattuglia interista in un gruppo egemonizzato dallo strapotere juventino.
Fu abile Bearzot nel superare quest’ulteriore barriera e nel forgiare una squadra capace di resistere a tutto: dalle critiche ingiuste alle legittime rivalità del campionato, acuite dal ferocissimo scontro fra Juve e Fiorentina che aveva caratterizzato la stagione appena conclusasi, con i bianconeri vittoriosi a Catanzaro grazie a un rigore messo a segno da Brady e i viola fermati sul pari a Cagliari con annesse polemiche.
Basti pensare che persino Zeffirelli, noto cuore fiorentino, all’epoca si unì al coro delle proteste, scagliando accuse talmente aspre all’indirizzo del potere juventino che la vicenda finì in tribunale. Senza dimenticare gli strascichi del Calcioscommesse, il coraggio del “Vecio” nel puntare su Paolo Rossi anziché sul romanista Pruzzo e le mille altre storie che caratterizzarono quel romanzo spagnolo a lieto fine, entrato, come detto, a far parte della leggenda italiana e destinato a restarvi per l’eternità. In quel contesto, “Zio” Bergomi divenne grande, per poi tornare a guidare la difesa dell’Inter e costituirne un pilastro inamovibile per due decenni.
Il “Chiello”, che ha appena dato l’addio al calcio giocato, è sbocciato invece in un ambiente travolto dalla tempesta, quando la Juve, in poche settimane, si trovò orfana di mezza squadra, compresi i centrali difensivi Thuram e Cannavaro, per effetto della sentenza di Calciopoli che l’aveva condannata alla retrocessione in Serie B, e dovette dunque puntare sui giovani. Fu in quella temperie che vennero fuori i Chiellini e i Marchisio, cuori bianconeri, destinati ad appassionare i tifosi e a conquistarsi un posto di riguardo nella pluricentenaria epopea di Madama.
“Giorgione” da Livorno, con oltre cinquecento gare disputate con la Juventus, appartiene al club dei miti, anche perché ha sempre avuto un profilo bonipertiano: di famiglia borghese, colto, addirittura laureato, un dirigente già in campo, destinato a compiere quel percorso e a tornare presto a prendersi cura della sua Signora, più che mai bisognosa di bandiere, simboli e punti di riferimento. Il che dimostra, se ancora ce ne fosse la necessità, che persino in questo calcio globalizzato, sfigurato e pieno di presidenti che menano le danze dall’altro capo del mondo, è indispensabile aggrapparsi alle poche ancore di salvezza rimaste, pena la perdita di quella passione popolare senza la quale questo sport semplicemente non ha ragione di esistere.
Oggi Bergomi fa il commentatore per Sky e il suo commento tecnico è indissolubilmente legato a un’altra notte magica del calcio italiano: quella di Berlino, quando conquistammo un Mondiale in cui alla vigilia non credeva nessuno e, proprio per questo, incredibilmente bello e significativo.
Quanto al Chiello, lo ritroveremo presto dietro la scrivania della Vecchia Signora: a decidere strategie, a cercare campioni in giro per il mondo e a insegnare ai nuovi arrivati cosa significhi entrare a far parte di un club così prestigioso, proprio come faceva, a suo tempo, Boniperti, demiurgo degli squadroni che negli anni Settanta e Ottanta avrebbero conquistato ben nove scudetti e tutte le coppe internazionali.
Finché esisteranno personaggi come Bergomi e Chiellini, Inter-Juve sarà più di una partita: sarà una rivalità accesa, con due modi di essere contrapposti, due stili di vita agli antipodi e due concezioni dell’esistenza che vedranno sempre la follia creativa intenta a sfidare l’aristocrazia operaia. Se qualcuno dovesse decidere di ammainare anche questi vessilli, allora potremmo davvero dire basta. Finché non accadrà, e speriamo che non accada mai, varrà comunque la pena di far parte di quest’avventura, se non altro per le emozioni che è in grado di regalare persino in questi tempi aridi.
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