A pochi giorni dall’insediamento del 10 dicembre emergono nuovi dettagli sul protocollo che verrà seguito nella cerimonia del passaggio di consegne tra il presidente uscente dell’Argentina, Alberto Fernandez, e il presidente eletto, l’ultraliberista Javier Milei.
L’ufficio stampa de La Libertà Avanza ha diffuso una scaletta dove, tra i consueti passaggi cerimoniali, figura uno inedito nella storia del Paese sudamericano: invece del tradizionale discorso al Parlamento al termine della consegna della fascia e del bastone di comando presidenziali, la scaletta prevede infatti un discorso nella scalinata del Palazzo del Congresso di fronte a una folla di sostenitori.
Lo stesso Milei si è incaricato di convocare i suoi seguitori attraverso i social con un post dove invita la cittadinanza a radunarsi nella Piazza del Congresso portando una bandiera argentina all’insegna del suo tradizionale motto: “Viva la libertà, carajo!” Si tratta di un’iniziativa che alcuni analisti interpretano come un segnale per mostrare al Parlamento – dove Milei vuole imporre un’estesa agenda di riforme nonostante la rappresentanza risicata di deputati e senatori di cui dispone – qual è l’origine della sua autorità. ANSA
L’Argentina rinuncerà alla sovranità monetaria consegnandosi a quella degli Stati Uniti? È almeno a parole la distopia del nuovo presidente del Paese. Infatti è stato uno dei leitmotiv della campagna elettorale di Javier Milei, professore di economia nonché consulente per vari enti, dal 10 dicembre nuovo inquilino della Casa Rosada, che in Argentina tutti chiamano “El loco”, il pazzo.
Il quesito è se si tratti di “ingegneria finanziaria per disperati” nata per rispondere a una situazione pesante evidenziata dal livello dell’inflazione (ben oltre il 140 per cento) e dai forti squilibri sociali. Di certo è parte di un pacchetto ultraliberista antitetico alle politiche fin qui portate avanti da anni e rappresentate dall’avversario di Milei, Sergio Massa. Questi, sconfitto, è una delle espressioni di una variante del peronismo ossia di un’ideologia che col praxismo ha radici nel Ventennio.
Invero Massa per la situazione argentina è stato un avversario forse facilmente battibile dalle semplificazioni degli slogan del programma ultra-liberista del vincitore Milei. Che imbracciando nei comizi una motosega ha simboleggiato efficacemente l’idea di togliere allo Stato e consegnare al mercato gran parte di quella che è la macchina argentina del welfare (ereditata dal peronismo, oggettivamente mal funzionante). Idea forte di Milei sarebbe quella di liquidare il pesos e sostituirlo col dollaro.
A quattro giorni dall’insediamento di Milei i prezzi dei generi alimentari aumentano del cinquanta per cento e aumentano pedaggi, scuole, bollette prepagate, cellulari e affitti. Un voto “per il cambiamento” che porta un’inflazione del quattrocento per cento.
L’operazione si chiama dollarizzazione. Come detto è l’abbandono della propria moneta assieme alla sovranità monetaria per la moneta di un altro paese. L’esperimento in America latina ha come primo antecedente il “caso Panama” dove di fatto dal 1904 il dollaro statunitense è la valuta di riferimento. La vicenda in origine è legata alla concessione a Washington dell’omonimo canale (al di là delle più recenti vicende) e fu vista come interessante esperimento di stabilizzazione valutaria.
Più recentemente vale per l’Ecuador che dal 2000 ha adottato come moneta il biglietto verde di Washington. Insomma il ricorso alla “moneta straniera” spesso è lì apparso come l’arma estrema per controllare ed evitare il default nazionale. Ovvero il dollaro è concepito come il punto di forza esterno cui ancorarsi politicamente essendo troppo friabili le basi interne. Il punto è che dollarizzare un piccolo paese come Panama è cosa diversa dal farlo con paesi di maggiore dimensione come è l’Argentina.
Che provò un esperimento analogo tra fine Novecento e l’inizio del 2000. A proporlo fu l’economista e al tempo ministro dell’economia Domingo Cavallo che volle l’introduzione per il proprio paese della parità fissa peso-dollaro. Certamente ancorare una moneta (il peso in questo caso) a un’altra (il dollaro) è diverso dall’abbandonare la propria moneta per un’altra. In comune a entrambe c’è però l’affannata ricerca di una stabilizzazione da cercarsi fuori confine.
In effetti nel breve l’esperimento di Cavallo pareva funzionare. Ma l’ingegneria monetaria senza aggiustamenti “reali” del sistema economico diede sollievi solo di breve periodo. Questo perché la forza del dollaro trainandosi dietro il peso che a esso era agganciato stressò l’economia. Poi l’abbandono della parità col dollaro e il ritorno dei peronisti al potere ha fatto riesplodere i prezzi e aperto la strada a un tentativo ancora più radicale – almeno stando alla campagna elettorale – di quello di Cavallo.
Entra così in scena Milei che punta a introdurre il dollaro come valuta a corso legale. Difficile dubitare della premessa che pone al suo ragionamento. Ovvero che il peso argentino sia ormai privo di credibilità che è la risorsa immateriale più preziosa di una valuta. Ne segue che su questo presupposto vadano posti in liquidazione sia la moneta nazionale sia la Banca Centrale argentina. Il passo però rischia di essere più lungo della gamba.
Naturalmente un conto sono le ambizioni ideologiche affermate da un leader e altre sono le possibilità operative. Anche perché l’Argentina è una repubblica presidenziale dove vertice di governo e parlamento sono eletti separatamente e conseguentemente spesso hanno maggioranze diverse. Infatti Milei è privo di maggioranza nel legislativo. Dati gli equilibri ciò significa che per questi sarà più facile trovare più consenso per ancorare il peso al dollaro che per la liquidazione della banca centrale.
Comunque la svalutazione del peso per il nuovo inquilino della Casa Rosada è almeno l’occasione da cogliere per annunciare in forma pura (senza mediazioni) la sua dottrina che si richiama all’anarco-capitalismo. Si tratta di un movimento intellettuale che vuole l’eutanasia assieme dell’Autorità monetaria e della sua politica monetaria. Il politico statunitense Ron Paul autore di La fine della Federal Reserve (FED) e la scrittrice Ayn Rand ne sono i lumi ispiratori più recenti.
Guardando al centro dell’Impero questi propongono per gli USA il ritorno alla moneta ancorata all’oro. Il rischio conseguente sarebbe la deflazione selvaggia perché l’offerta di moneta dipenderebbe dalla materia prima invece che dalle esigenze degli scambi mondiali. Guardando in superficie è lo stesso progetto che ispira Milei. Ma, come detto, è diverso. Certo anch’egli è per abolire la Banca centrale. Ma, a differenza di Ron Paul e della Rand (qui voltando le spalle all’anarco capitalismo), l’obiettivo è di sovrapporvi la FED vincolandosi alla sua politica monetaria.
Guardando dall’Italia è curioso l’apprezzamento a destra della vittoria di Milei se si considera che le sue proposte in materia di moneta e di Autorità monetaria sono l’esatto opposto di quello che auspicavano i sovranisti in opposizione della partecipazione dell’Italia all’Eurozona. Viceversa molto più vicine a quelle dei peronisti (in questo in buona compagnia di gran parte della classe politica italiana) in materia di finanza pubblica. Anzi oggi il peronismo è latente nelle idee di finanza pubblica di gran parte dell’Occidente.
Ciò posto va pure riconosciuto che l’Argentina in una certa misura è già un’economia dollarizzata. La qualcosa è ricorrente nei paesi in difficoltà tali da creare scarsa o nulla fiducia nella propria moneta. Infatti tutto ciò ha come conseguenza il ricorso a una valuta straniera nella pratica economica quotidiana (ad esempio contratti immobiliari). Attenzione perché spesso è segno di ampia frattura sociale in quanto a usare per la maggiore la valuta locale invece del dollaro sono le fasce redditualmente più svantaggiate.
Dollarizzazione parziale è altresì la fuga dai depositi bancari preferendo tutelarsi dalla svalutazione tenendo dollari (oggi l’Argentina) o euro (ieri la Grecia) temendo i cittadini di quest’ultima un euroexit che avrebbe lasciato i loro conti in banca in dracme svalutate. Eppure Milei pare puntare alla dollarizzazione piena. Significa che lo Stato argentino dovrà comprare i pesos in circolazione e sostituirli con dollari. Già trovarli sarà un problema.
La legge della domanda c’insegna che ciò pomperà il prezzo del dollaro sul peso creando un’ulteriore spinta inflattiva sui prezzi al consumo via import. Al contempo, per comprare i dollari necessari a comprare i pesos nonostante la svalutazione di questi, dovrà indebitarsi. Pertanto, salvo sostegni eccezionali di Washington per ragioni geopolitiche, è facile prevedere che la dollarizzazione dell’economia dell’Argentina sarà tutto meno che un pranzo di gala.
Probabilmente quello di Milei è più un annuncio per una dollarizzazione più “classica”. O getterà “il cuore oltre l’ostacolo”? Quale ne sarà la forma la dollarizzazione offrirebbe all’Argentina almeno un vantaggio: la perdita del rischio di cambio. Cosa che ha certo dei vantaggi ma pure costi pesanti se non vi si attrezza. Resterebbe però il rischio connesso al debito pubblico perché questo dipende dalla credibilità fiscale dell’emittente (le istituzioni argentine) chiamato a onorarlo. Insomma dinnanzi allo strapiombo col voto l’Argentina ha deciso di giocare il tutto per tutto.
La dollarizzazione di Milei ha pure un significato geopolitico. Anzi forse ha prima questo che l’idea di rivoluzionare la propria moneta. Perché parlare di legare monetariamente Washington a Buenos Aires significa riallinearsi alla Casa Bianca capovolgendo le precedenti inclinazioni anti USA.
Immagine di copertina: La Cadillac cabriolet Serie 62 presidenziale che Javier Milei non potrà utilizzare domenica nel percorso dal parlamento alla Casa Rosada. Secondo Andrea Rabollini, direttora del Museo del Bicentenario, dov’è custodita l’auto, “non può circolare perché la Verificación Técnica Vehicular è scaduta”. Milei lo percorrerà a bordo di una Valiant.
L’articolo Loconomics. L’Argentina alla prova dell’economia del “Loco” proviene da ytali..