Discorrere d’alberi non è un delitto
Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l’ha ancora ricevuta.
Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perché su troppe stragi comporta silenzio!
[da Bertold Brecht, A coloro che verranno, nella traduzione di Franco Fortini]
Siamo qui a parlare di alberi, nel caso specifico dell’olivo, sperando di non commettere dunque un delitto proprio nella giornata internazionale “per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in caso di guerra e conflitto armato” dichiarata dall’Assemblea generale dell’ONU il 5 novembre 2001.
E allora parliamo degli alberi, che non sempre vediamo e che spesso releghiamo in secondo piano, mentre possono a volte renderci anche un po’ più felici.
Non ti sei chiesto perché un attimo, simile a tanti del passato, debba farti d’un tratto felice, felice come un dio? Tu guardavi l’olivo – spiega la musa Mnemòsine a Esiodo nel dialogo immaginato da Cesare Pavese nei “Dialoghi con Leucò” –, l’olivo sul viottolo che hai percorso ogni giorno per anni, e viene il giorno che il fastidio ti lascia e tu carezzi il vecchio tronco con lo sguardo, quasi fosse un amico ritrovato e ti dicesse proprio la sola parola che il tuo cuore attendeva.
Può esserci dunque anche un momento in cui i nostri occhi si aprono sull’albero e scoprono quanto sia importante e quante cose possa dirci.
E così scrive Lea Goldberg (1911-1970), scrittrice e poetessa israeliana, nella sua poesia Olivi:
Hanno resistito all’ondata di calore / ed erano confidenti nella tempesta, / come se si fossero appostati per l’eternità / sul pendio di fronte al villaggio in rovina, / dove si argentarono nella fredda luce della luna crescente. / Ancora fermi, quanto abbondanti in questa pace. / Ecco la vecchiaia matura! / Ascolta, ascolta le raffiche /di vento attraverso il paesaggio degli olivi. / Che alberi modesti! / Riesci a sentire ora? Stanno parlando ora / Cose sagge e semplici.
Quali sono le «cose (debarîm) sagge e semplici» che sussurrano gli alberi? È possibile riconoscervi le «cose» o le «parole» (in ebraico, è sempre lo stesso termine debarîm) che dice a proposito degli alberi il libro chiamato Debarîm, il Deuteronomio.
Nelle leggi di guerra, Mosè stabilisce che, nel caso di un assedio prolungato, gli alberi da frutto saranno risparmiati:
Quando tu porrai un lungo assedio a una città, combattendo contro di essa per prenderne il controllo, tu non brandirai l’ascia per distruggerne gli alberi, perché sarà dei loro frutti che tu ti nutrirai: tu non li abbatterai. L’albero del campo è forse un essere umano (’adam), per essere coinvolto nell’assedio? (Dt 20,19).
L’analogia finale, tra l’albero e l’’adam, gioca all’interno di una domanda retorica: l’albero, ovviamente, non è un essere umano; più precisamente, non è per nulla un uomo di guerra. Esso è assolutamente un non belligerante, non avendo alcun mezzo per difendersi.
Il poema tuttavia va oltre. Mettendo l’uno di fronte all’altro gli olivi (risparmiati) e il villaggio in rovina, il testo della Goldberg dimostra che una legge saggia può diventare assurda. Quando è in gioco un villaggio, e non più una città fortificata, le cose cambiano: non è auspicabile, in questo caso, risparmiare gli uomini come gli alberi da frutto?
Di fronte alle rovine del villaggio, gli olivi diventano allora un memoriale: stanno lì, ritti nella loro vecchiaia, in nome degli abitanti del villaggio che non sono potuti invecchiare con loro in pace. La domanda del Deuteronomio riceve allora un’altra risposta, quella contraria: sì, gli alberi corrispondono agli esseri umani.
Questa inversione è al cuore della poesia di Natan Zach (1930-2020), Kî ha’adam ‘etz hasadeh («Poiché l’’adam è un albero del campo»). Invertendo l’ordine biblico delle parole, il poeta gioca con una metafora al contrario: sì, l’uomo è un albero del campo. La metafora è elaborata lungo tutto il poema, in modo alternato: «Come l’albero, l’uomo cresce. Come l’uomo, anche l’albero è sradicato […]. Come l’albero, l’uomo aspira verso l’alto».
Nei poemi della Goldberg e di Zach, gli olivi sussurrano cose sagge e semplici, facendo eco alle parole bibliche. Sì, gli alberi e gli uomini sono legati, tanto da essere metafora l’uno per l’altro.
E gli olivi ne rappresentano la prova millenaria.
L’olivo nella Bibbia ebraica
Nella Bibbia ebraica l’ulivo è menzionato circa quaranta volte, in contesto agricolo, geografico o simbolico. Il termine zait indica, a seconda del contesto, l’albero di ulivo, l’uliveto o le olive. Talora si parla anche di «albero dell’olio», per designare l’albero o il legno d’ulivo (1Re 6,23-31-32-33; Is 41,19; Ne 8,15).
La magnificenza dell’ulivo è cantata dai poeti dell’Antico Testamento. Nelle loro metafore l’ulivo simbolizza salvezza e prosperità.
Il salmo 128, nell’esaltare “l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie”, dice: “la tua sposa è come vite feconda nell’intimità della tua casa, i tuoi figli come virgulti d’olivo intorno alla tua mensa”.
Il profeta Osea canta la forza e la bellezza dell’ulivo così:
Sarò come rugiada per Israele, fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’ulivo e la fragranza del Libano (Os 14, 6‐7).
Nella descrizione che nel Primo Libro dei Re viene data del Santo dei Santi del tempio di Gerusalemme si precisa che
Salomone nella cella fece due cherubini di legno d’ulivo, alti dieci cubiti … fece costruire la porta della cella con battenti di legno d’ulivo … lo stesso procedimento adottò per la porta della navata, che aveva stipiti di legno d’ulivo (cfr 1Re 6, 31‐33).
Quando si volle rendere onore a Giuditta, la si “incoronò di fronde d’ulivo ed ella precedette tutto il popolo, guidando la danza di tutte le donne” (Giuditta 15, 13).
In una delle più importanti feste ebraiche, chiamata “festa delle Capanne” in ricordo della vita del popolo di Israele nel deserto durante il suo viaggio verso la terra promessa dopo l’esodo dall’Egitto, in cui gli Ebrei vivevano in capanne (in ebraico sukkot), furono usati i rami d’ulivo e di altri alberi frondosi per costruirle:
Uscite verso la montagna e portate rami di ulivo, rami di olivastro, rami di mirto, rami di palme e rami di alberi ombrosi, per fare capanne, come sta scritto (Ne 8,15-16).
La longevità degli olivi si accompagna a una straordinaria capacità di resistenza.
Un passo del libro di Giobbe evoca la capacità di alcuni alberi di riprendere vita in condizioni estreme; il ritratto potrebbe essere quello dell’olivo:
È vero, per l’albero c’è speranza: / se viene tagliato, ancora si rinnova, e i suoi germogli non cessano di crescere; / se sottoterra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco, /al sentire l’acqua rifiorisce e mette rami come giovane pianta (Gb 14,7-9).
Dell’albero di Giobbe e di tanti sopravvissuti tra gli olivi possiamo dire che sono cugini degli alberi miracolati di Hiroshima. La città ha circa 170 alberi – ginkgo, eucalipto, pino, canfora e altri – che, irradiati, spezzati alla radice, schiacciati dall’esplosione, sono tornati a vivere e continuano a crescere. Questi alberi non sono soltanto il simbolo di una continuità oltre la rottura, ma sono questa continuità stessa. In modo analogo, molti olivi sono come dei reduci, sopravvissuti a disastri di ogni tipo.
L’olivo, simbolo della pace
E allora non è una sorpresa se, al terzo tentativo, la colomba liberata da Noè ritorna da lui sul far della sera e «aveva nel becco una tenera (“fresca” dicono la Nuova Riveduta e la traduzione dai testi originali) foglia di ulivo» (Gen 8,11BJ).
Un albero era dunque tornato in vita nella creazione devastata, una promessa per tutti i viventi. L’ulivo è nominato per la prima volta nella Bibbia in Genesi 8,11: la foglia/ramoscello d’ulivo in bocca alla colomba che ritorna all’arca, dopo essere stata inviata da Noè per verificare se le acque si fossero ritirate dal suolo dopo il diluvio, è divenuta simbolo della pace cosmica e dell’alleanza eterna di Dio con l’umanità (Gn 9,1-17).
Dopo il mabùl (diluvio), Noè inviò diversi uccelli fuori dall’arca per vedere se l’acqua si era ritirata. Prima mandò un corvo, ma esso non trovò un posto dove posarsi e tornò nell’arca. In seguito, mandò una colomba, ma anch’essa tornò. Poi, nel trecentunesimo giorno del mabùl, Noach inviò un’altra colomba. Questa rimase fuori tutto il giorno e poi “la colomba entrò da lui alla sera, ed ecco, nella sua bocca c’era una foglia d’ulivo strappato; e Noach seppe che le acque si erano ritirate dalla terra” (Genesi 8,11).
Come mai l’uccello portò proprio una foglia d’olivo?
Alcuni commentatori spiegano che gli alberi d’ulivo sono molto resistenti e quindi riescono a sopportare condizioni estreme. Nonostante il fogliame non sopravvisse al diluvio, l’albero stesso si mantenne. Pertanto, quando la colomba portò un ramo d’ulivo, era un segno che le acque si erano ritirate tanto da permettere alle foglie di crescere nuovamente.
Se l’olivo dà un tocco caratteristico al nostro paesaggio mediterraneo, lo si deve anche al colore luminoso del suo fogliame, tra il verde e il grigio argenteo. L’esitazione tra i toni, scrive il poeta palestinese Mahmoud Darwish (1941-2008), conferisce all’albero il suo fascino inafferrabile:
Nel suo reticente verde-argento / Il colore esita a dire ciò che pensa, e a guardare ciò che c’è dietro. / Il ritratto, per l’olivo, non è né verde né argento. / L’olivo è il colore della pace, se la pace avesse bisogno / di un colore.
Più di ogni altro, Vincent van Gogh è stato attratto dalla luminosità dell’olivo. Durante il suo soggiorno a Saint-Rémy de Provence, ai piedi delle Alpilles, ha scelto gli oliveti dei dintorni come soggetto di 18 dei suoi dipinti. Il Campo degli olivi (1889) è attraversato da un’unica vibrazione cromatica, quella che gli olivi trasmettono dal campo al cielo e dal cielo al campo: una Pentecoste a cielo aperto.
In un altro dipinto dello stesso anno, Olivi con le Alpilles sullo sfondo, sono gli olivi che trasmettono alle montagne le ondulazioni del rilievo. In un certo senso, l’olivo aspettava il post-impressionismo di van Gogh: il tocco leggero delle foglie richiedeva quello del pennello, tra interstizio e impasto, mentre la luce coglie l’uno e l’altro.
Sono interessanti anche le «leggende» ebraiche che hanno identificato nell’ulivo l’«albero della vita» (cfr. Gen 2-3), chiamato anche «albero della misericordia». Esso stillava l’«olio della vita» che poteva dare sollievo e lenire il dolore che consumava Adamo vicino a morire. Però non poteva essere dato allora. Adamo avrebbe dovuto morire, ma sarebbe stato concesso nell’ora della risurrezione solo ai giusti, insieme a tutte le beatitudini e le gioie del paradiso.
Significativo è l’apologo o favola biblica antiregale del libro dei Giudici, la prima e compiuta parabola che appare nella Bibbia eche pone in risalto il compito prezioso e le qualità sacre dell’ulivo, considerato il re degli alberi. Questi, infatti, postisi in cammino per ungere un re che regnasse su di loro, interpellano per primo l’ulivo, che però rifiuta l’onore e il compito per non privarsi del prezioso olio, gloria di uomini e dèi (solo il rovo accetterà con la minaccia di bruciare chiunque non si sottometta):
Come accade nelle favole, protagonisti sono o gli animali o i vegetali personificati che diventano maestri degli umani insipienti. Nel nostro caso entrano in scena innanzitutto i tre alberi tipici del paesaggio mediterraneo: l’ulivo, il fico, la vite (si legga il testo integrale di Giudici 9,7-21). La delegazione delle altre piante si reca da questi tre “colleghi” per invitarli ad assumere la carica di re degli alberi. Ma la risposta è negativa: essi sono lieti di essere utili agli altri col loro olio o col frutto dolce o col vino inebriante e non vogliono lasciarsi prendere da manie di dominio, librandosi sopra le altre piante, gloriandosi e vivendo riveriti e serviti.
Dissero all’ulivo: Regna su di noi.
Rispose loro l’ulivo: rinuncerò al mio olio,
grazie al quale si onorano dei e uomini,
e andrò ad agitarmi sugli alberi? (Gdc 9,8-9)
Di fronte a questo rifiuto la delegazione si rassegna al tentativo di coinvolgere il rovo il quale accetta subito con piacere, dato che non ha nessun impegno se non quello di ramificarsi su altri vegetali vivendo da parassita e producendo solo spine. E subito il rovo rivela la tipica arroganza del potere. Arido com’è, s’immagina già frondoso ed elevato e invita le altre piante a piegarsi sotto la sua ombra. È questo il frammento da noi citato che prosegue con un’altra battuta da sbruffone: se non vi piegherete a me, ebbene «esca dal rovo un fuoco e divori i cedri del Libano». Detto in altri termini, facendo il gradasso, il rovo minaccia persino i possenti e maestosi cedri del Libano.
Un simbolo regale è accostato all’ulivo anche dal profeta Zaccaria (520-518 a.C) che raffigura Zorobabele, discendente di Davide, e Giosia, il sommo sacerdote, nell’immagine di due ulivi accanto a un candelabro con sette braccia e sette lucerne di olio (Zac 4,2-3). Le sette lucerne significano gli occhi del Signore che scrutano tutta la terra (v. 10):
Allora domandai (all’angelo):
Che significano quei due ulivi a destra e a sinistra del candelabro?
Insistetti e gli chiesi:
che significano i due arboscelli d’ulivo,
che stanno accanto ai due tubi d’oro che stillano l’olio? …
Sono i due consacrati (lett. figli dell’olio)
che assistono il dominatore di tutta la terra (Zac 4,11-12-14).
I due ulivi rappresenterebbero i due poteri, spirituale e regale, collegati alle rispettive unzioni: «consacrati» corrisponde all’ebraico «figli dell’olio».
L’olivo, un bene fondamentale
Un attento studio della Bibbia ci rivela come la triade “olivo, vite e grano” rappresenti beni fondamentali. Possedere un olivo significa possedere un bene essenziale per la vita e pertanto durante la raccolta delle olive, la mietitura e la vendemmia bisogna avere solidarietà verso i poveri, ci ricorda la lettura del Deuteronomio.
Essendo il possesso dell’ulivo un bene essenziale per vivere, la raccolta delle olive, come la mietitura e la vendemmia, deve riservare uno spazio alla solidarietà verso i poveri:
Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello,
non tornerai indietro a prenderlo: sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova,
perché il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro delle tue mani. Quando bacchierai i
tuoi olivi, non tornerai indietro a ripassare i rami: saranno per il forestiero, per l’orfano
e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare:
sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Ti ricorderai che sei stato schiavo nel
paese d’Egitto; perciò, ti comando di fare questa cosa (Dt 24,18-22).
E così anche il valore della solidarietà ci viene insegnato nella Bibbia grazie all’olivo
Perciò Nehemia, iniziando la sua riforma sociale, invita a restituire campi, vigne, oliveti, case e l’interesse (lett. «il cento») del denaro del grano, del vino e dell’olio (Ne5,11), che avevano ricevuto in dono entrando nella terra (9,25), mentre prima erano in possesso dei Cananei. La presenza di questi prodotti era considerata un segno di benedizione e abbondanza, la loro assenza una maledizione.
L’albero di ulivo fa parte, infatti, delle «sette piante» tipiche della terra d’Israele: «Terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi di olio e di miele» (Dt 8,8).
Per indicare una situazione grave Deuteronomio e i profeti riportano le seguenti minacce:
Porterai molta semente al campo e raccoglierai poco, perché la locusta la divorerà.
Pianterai vigne e le coltiverai, ma non berrai vino né coglierai uva, perché il verme
le roderà. Avrai oliveti in tutto il tuo territorio, ma non ti ungerai di olio, perché le tue olive cadranno immature (Dt 28,38-40).
Seminerai, ma non mieterai, frangerai le olive ma non ti ungerai d’olio, produrrai mosto, ma non berrai il vino (Mic 6,15).
Ho chiamato la siccità sulla terra e sui monti, e sul grano, sul mosto e sull’olio (Ag 1,11).
La tragica situazione di carestia con l’esaurimento dell’olio è ricordata in 1Re17,7-16 (il profeta Elia e la vedova di Zarepta). Allo stesso modo, Giobbe lamenta la frustrazione dei poveri che spremono le olive nei frantoi e fanno il vino, senza poterli bere o usare (Gb 24,11); mentre il profeta Samuele, costretto a concedere al popolo un re, avverte che questi si sarebbe fatto consegnare «i vostri campi, le vostre vigne (cfr. la vigna di Nabot e il re Acab, 1Re 21), i vostri oliveti più belli», per darli ai suoi ministri (1Sam 8,14).
Il profeta Ababuc descrive il giorno di angoscia come assenza dei medesimi beni:
Cesserà il raccolto dell’ulivo, i campi non daranno più cibo … periranno vigna e ulivo (Ab 3,17).
L’olivo: bellezza e fecondità
L’olivo è concepito come simbolo di bellezza, fecondità ed esuberanza, immagine di Israele, come la vite. Il profeta Geremia annuncia con amarezza la distruzione del popolo – ulivo verdeggiante, bello e carico di frutti – che Dio aveva piantato con cura e che ora è costretto a distruggere. Il dolore del profeta è misura del dolore di Dio nel «demolire ciò che ha edificato e nello sradicare ciò che ha piantato» (Ger 31,28; 45,4):
Ulivo verdeggiante, bello, dagli splendidi frutti,
era il nome con cui il Signore ti aveva chiamato.
Con grande strepito ha dato fuoco alle sue foglie,
sono bruciati i suoi rami.
Il Signore degli eserciti, che ti ha piantato,
ha pronunciato contro di te una minaccia
a motivo del male della casa di Israele e della casa di Giuda (Ger 11,16).
L’ulivo rappresenta anche lo splendore e la vitalità della sapienza (Sir 24,14), in un contesto che raduna le varie specie di piante, offrendo un quadro ideale che richiama il «paradiso terrestre» e traccia le indicazioni geografiche dei confini della terra di Israele con i luoghi dove le piante
crescevano:
Sono cresciuta come un cedro del Libano,
come un cipresso sui monti dell’Ermon.
Sono cresciuta come una palma in Engaddi,
e come le piante di rose di Gerico,
come ulivo maestoso nella pianura,
sono cresciuta come un platano (Sir 24,13-14).
Fecondità, sicurezza ed esuberanza, frutto della benedizione divina, sono concentrate nella duplice immagine dell’ulivo e della vite.
In un contesto familiare e di beatitudine, il già ricordato Salmo 128 esalta l’uomo che rispetta Dio e ne segue il cammino con un corretto comportamento morale:
Beato l’uomo che teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Vivrai del lavoro delle tue mani,
sarai felice e godrai di ogni bene.
La tua sposa come vite feconda (lett. fruttuosa)
nell’intimità della tua casa.
I tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.
Allo stesso modo, il giusto prospera come «ulivo verde o sempreverde» (52,10, testo ebraico), o «fruttifero» (traduzione greca e latina, cfr. Sal 1,3, Ger17,8). L’immagine sembra suggerire, con la fecondità, anche il gusto e la gioia di vivere:
Io invece, come ulivo verde (verdeggiante) nella casa di Dio.
Ho confidato nella fedeltà di Dio, ora e sempre (Sal 52,10).
Al contrario, il malvagio prepotente, traditore e mentitore, che confida nella sua ricchezza, sarà «sradicato dalla terra dei vivi» (Sal 52,2-9). Similmente, la distruzione dell’empio è rappresentata nel libro di Giobbe nell’immagine della vite spogliata dell’uva ancora acerba e dell’ulivo che
perde i suoi fiori, forse a indicare, come nelle maledizioni di Dt 28,40, la caduta delle olive immature:
Avrai oliveti in tutta la tua terra,
ma non ti ungerai di olio
perché le tue olive cadranno immature (Dt, 28,40)
«Ancora immaturo avvizzirà
e i suoi rami non rinverdiranno;
sarà spogliato come vigna dei suoi acini
e getterà come ulivo la sua fioritura» (Gb 15,33).
L’esperienza di Dio è tradotta dal profeta Osea (vissuto verso la metà del 700 a.C.) in una sensazione estetica che esalta la bellezza dell’ulivo, la fragranza di gigli e cedri, la vitalità della rugiada:
Guarirò la loro infedeltà,
li amerò senza loro merito,
perché si è allontanata la mia collera da loro.
Sarò come rugiada per Israele:
fiorirà come un giglio,
getterà radici come (un albero del) il Libano,
si spanderanno i suoi germogli,
sarà come l’ulivo il suo splendore, e avrà la bellezza dell’ulivo
e il suo profumo come il (= albero del) Libano (Os 14,5-7).
Nel clima di amore, con l’appello a giardini, profumi e frutti, che riflette il linguaggio del Cantico dei Cantici, e nel panorama delle piante, l’ulivo emerge per lo «splendore» (v. 7).
L’olio, simbolo di pace e alleanza
Abbiamo ricordato il ramoscello d’ulivo, simbolo di pace, che la colomba porta con sé dopo il diluvio (Gn 8,11). Anche all’olio è collegato il medesimo significato. Nel mondo semitico «portare l’olio» rappresentava un segno di pace e alleanza.
Nella Bibbia, «portare olio» come simbolo di alleanza appare in un passo di Osea. Il profeta denuncia il fragile equilibrio di Israele che gioca con le due grandi potenze straniere avversarie, Assiria ed Egitto. L’inconsistenza di tali alleanze è espressa nell’immagine del vento d’oriente portatore di siccità e desolazione (cfr. 8,7; 13,15; Sal 48,8):
«Efraim si pasce di vento e insegue il vento d’Oriente; moltiplica menzogna e violenza:
fanno alleanza con l’Assiria e portano olio all’Egitto» (Os 12,2).
Il contesto appena ricordato e il parallelismo tra «far alleanza» e «portare olio» indica che il dono dell’olio è segno di alleanza.
Tra ieri e oggi, l’olivo e la pace ancora insieme
In Virgilio, Eneide VIII, 102-125, Enea offre a Pallante, figlio di Evandro, un ramo di olivo in segno di pace:
“La pace portate qui o le armi? (v. 114) – chiede Pallante.
E il padre Enea così dall’alta poppa risponde e un ramo d’ulivo pacifero con la mano tendeva (Paciferaeque manu ramum praetendit olivae): “Troiani tu vedi e armi nemiche ai Latini che con guerra superba noi, profughi, hanno respinto”.
Pablo Picasso: la colomba e l’olivo. La Colomba Blu di Paolo Picasso è la più rinomata e rappresentativa Colomba Della Pace disegnata in lapis azzurrognolo dal famoso artista spagnolo Pablo Picasso nel 1961; fu poi utilizzata per il Manifesto del Congresso Nazionale del Movimento per la Pace tenuto l’anno dopo in Francia a Issy-Les-Moulineaux.
La Bandiera delle Nazioni Unite
I rami d’ulivo sono simbolo di pace, mentre la mappa rappresenta tutti i popoli del mondo. Nel 1946 un comitato dell’ONU si occupò di realizzare un disegno definitivo, che fu presentato il 2 dicembre 1946 ed approvato il 7 dicembre dello stesso anno.
La Bandiera della Lega Araba
La bandiera della Lega araba, adottata l’8 marzo 1945, è composta dall’emblema ufficiale della Lega araba, su campo verde con rami di ulivo intorno.
L’emblema della Repubblica Italiana e i suoi simboli
La ruota dentata di acciaio è simbolo del lavoro e delle attività produttive.
La stella, il simbolo del Risorgimento Italiano, è da sempre associata alla penisola italiana, sin dai tempi dell’Antica Grecia.
Il ramo di quercia, albero tipico dei nostri paesaggi, è simbolo di forza e dignità.
E, infine, il ramo di olivo, simbolo di pace, fratellanza e concordia, valori che l’olivo da sempre suscita e incarna. L’olivo e la Repubblica Italiana hanno trovato la loro sintesi in un emblema semplice, ma molto significativo.
La presenza del ramo di olivo non è affatto casuale, poiché il ramo di olivo porta con sé un duplice significato: oltre ai valori di pace e fratellanza, la Repubblica Italiana ha identificato nell’olivo le proprie radici, che vengono da un passato in cui l’agricoltura e l’olivo stesso sono stati a lungo motori del benessere e dello sviluppo.
Al termine della trattazione, sia consentito citare alcuni poeti, nei versi dei quali si trovano riferimenti all’olivo, nella consapevolezza di un elenco certamente non esaustivo.
Si possono quindi vedere: Giovanni Pascoli, Il placido ulivo e La canzone dell’ulivo; David Maria Turoldo, Albero dall’ombra lieve; Nazim Hikmet, Alla vita;Ungaretti D’altri diluvi una colomba ascolto.
Piace inoltre riportare qui il testo inciso sulla Lapide dell’Ulivo della Pace collocata in Piazza Cavour a Bologna il 7 novembre 1993:
PACE, PACE AL LONTANO E AL VICINO (ISAIA 57, 19).
QUESTO OLIVO DOV’ERA QUELLO DI GERUSALEMME, SIMBOLO DELLA VOLONTA’ DI PACE E DI COLLABORAZIONE FRA I POPOLI, IL COMUNE DI BOLOGNA, IL FONDO ISRAELIANO DI RIMBOSCHIMENTO E LA COMUNITA’ EBRAICA NUOVAMENTE PONGONO NÉ SI STANCHERANNO DI MANTENERE.
Un ricordo, una benedizione
Einfine, parlando ancora di alberi e di uomini, permettetemi di ricordare in questo luogo il professor Lazzaro Padoa, mio Maestro di Greco e Latino e ultimo testimone delle memorie ebraiche di Reggio e Scandiano, del quale – il giorno successivo alla scomparsa – fu pubblicata nell’edizione reggiana de «Il Resto del Carlino» una foto che lo ritrae proprio davanti a questa Sinagoga. Nel testamento lasciò una cospicua somma al Fondo Israeliano di rimboschimento ea lui – il 6 aprile 1987 – fu dedicato l’albero 72 (un acero montano) della Foresta Ideale, una iniziativa nata per volontà della professoressa Giovanna Paroli e dello scrittore Stanislao Nievo e che conta circa 130 alberi piantati in tutto il mondo a ricordo di persone che si sono distinte per ragioni morali, culturali e sociali. A Lazzaro Padoa sono intitolati il parco circostante il cimitero ebraico di Scandiano e l’albero 107, una quercia, in prossimità dello stesso parco.
E davvero Zikronam livraà, Il suo ricordo ci sia di benedizione.
Riferimenti bibliografici:
Marcello Milani, Ulivo e olio: uso, linguaggio e simboli nella tradizione ebraica, https://books.fbk.eu>media>allegati> Milani;
J. Pierre Sonnet, Ritornare all’olivo. Per una teologia mediterranea, in «La Civiltà Cattolica», Quad. 4106, pp.105-120, Volume III, 2021.
Ringraziamo Ricerche storiche, la rivista semestrale di Istoreco (Istituto resistenza e società contemporanea) di Reggio Emilia, diretta da Massimo Storchi, per aver concesso i diritti di pubblicazione del saggio di Antonio Mammi, apparso nell’ultimo numero di RS, n.136/2023.
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