Parliamoci chiaro: nel calcio moderno i buoni non esistono. E, se pure ci sono, non detengono alcun potere. La struttura capitalista che governa il pallone mondiale, improntata al liberismo sfrenato e volta all’arricchimento di pochissimi a danno di tutti gli altri, non è in alcun modo difendibile. Non sono difendibili FIFA e UEFA, con i loro tornei inutili e pletorici, talmente elefantiaci da essere diventati quasi stucchevoli, e non è difendibile, ovviamente, la SuperLega che dovrebbe nascere a breve, quintessenza del fallimento della globalizzazione senza regole e del disperato tentativo di società che hanno vissuto a lungo al di sopra delle proprie possibilità di mettere a posto i conti.
Le prime due organizzazioni, infatti, sono diventate delle mere strutture di potere, in cui ogni decisione è assunta per compiacere nuovi possibili clientes, a scapito della qualità del gioco, della salute dei giocatori, delle tasche degli spettatori, da tempo in calo, e naturalmente del buonsenso. L’altra nasce non per porre rimedio alle storture di un sistema chiuso e autoreferenziale ma per mettere la gestione del medesimo in capo alle società più forti, convinte di poter dar vita a competizioni simili a delle Guerre Stellari che, a lungo andare, finiranno con l’annoiare la platea. Lasciassero perdere i sogni: li hanno uccisi da decenni.
Di spettacolare, di bello o anche solo di godibile, in questo calcio moderno, è rimasto poco o nulla. E quando ne scriviamo con emozione è perché ci sforziamo, comunque, di trovare una storia degna di questo nome: magari il racconto di una piccola favola, come può essere quest’anno l’ascesa del Bologna, o la biografia particolare di un campione che si prende inaspettatamente la scena. Andiamo, insomma, in cerca di ultimi, di poveri, di deboli, di periferie dimenticate e di fragilità ignorate dai più. Andiamo in cerca della vera meraviglia, che dovrebbe sempre caratterizzare questo sport, coscienti del fatto di essere ormai mosche bianche. Andiamo in cerca, in poche parole, della nostra infanzia perduta, della nostra gioventù calpestata, della nostra passione dimenticata e tradita da una sedicente élite che ha deciso di spartirsi una montagna di soldi, salvo dover fare i conti con abbonamenti sempre più cari, stadi sempre più vuoti e squadre gloriose che non significano più nulla, in quanto prive di bandiere, tradizioni, valori, principî e tutto ciò da cui non si può prescindere se non si vuole affondare nella mediocrità di una società senza punti di riferimento.
Se è vero, e lo è, che il calcio è lo specchio del nostro stare insieme, comprendiamo al volo le ragioni delle sconfitte che stiamo subendo. Le sconfitte del fronte progressista, le sconfitte politiche e istituzionali, le sconfitte delle nuove generazioni, le sconfitte del nostro vivere civile e la sconfitta più atroce in assoluto: quella dell’umanità, priva di una ragione per prendersi per mano e, dunque, destinata alla guerra, anche quando questa non si esprime nella sua forma più tragica.
Non sappiamo quale futuro ci attenda. Qualcuno ha parlato di una nuova sentenza Bosman, e in effetti le conseguenze della controrivoluzione di ieri, che di fatto sdogana un’associazione di ricconi escludenti, potrebbe rivelarsi dirompente. Magari tutto si concluderà con un accordo fra le parti: un’unica competizione europea in cui i promotori dello scisma viaggeranno sempre in prima classe e le altre dovranno accontentarsi delle briciole per essere ammesse al desco degli incassi che fanno la differenza. Magari nascerà davvero una lega sul modello di quella del basket americano, anche se i suoi fautori dovrebbero ricordarsi che il calcio è lo sport di popolo per eccellenza, persino nell’era delle televisioni a pagamento e delle disuguaglianze al diapason, pertanto non è detto che una formula così ingiusta sia poi destinata ad avere successo. Magari non se ne farà nulla, perché l’opposizione di molte compagini, anche prestigiose, e soprattutto dei tifosi, come nella primavera del 2021, sarà talmente forte da indurre i superleghisti a più miti consigli. Non sappiamo quale sarà il nostro futuro, ribadiamo, ma una cosa è certa: sappiamo per quale motivo, per decenni, abbiamo amato questo sport, al punto di sacrificare domeniche, ferie e momenti familiari per seguirlo e godere della sua magia. Ora non lo faremmo più, come non ci iscriviamo più ai partiti e non avvertiamo più il bisogno di batterci per il prossimo. Basta questo per spiegare il nostro degrado e diremmo quasi il nostro fallimento esistenziale.
L’articolo Nel calcio moderno non esistono i buoni proviene da ytali..