Qualche giorno fa, nel riordinare vecchie carte di casa custodite in cartelle di cartoncino, mi sono venuti per le mani tutti i miei compiti e i dettati delle elementari e le letterine che in quei tempi compilavo con la lista dei regali che mi aspettavo per Natale. Parlo degli anni dal 1954 a seguire, e ho pensato con quanto amore e immagino con quali aspettative i miei genitori avessero deciso di conservare e custodire quelle piccole testimonianze della mia infanzia.
Grazie ai compiti ci sarebbero molte cose da dire sulla scuola d’allora, ma devo ammettere che la mia attenzione si è appuntata prima di tutto sulle letterine. Non c’è dubbio: ero un piccolo bambino viziato e, si direbbe oggi, consumista! Gli elenchi dei regali attesi sono lunghi, e non ricordo frustrazioni al riguardo: evidentemente quel che chiedevo arrivava tutto.
Ma quello che davvero mi ha colpito è il destinatario di tutte le letterine: Gesù Bambino. Gesù Bambino, non Babbo Natale; Gesù Bambino, e non l’elfo nordico di verde vestito che poi ha mutato i suoi abiti in rosso grazie a una martellante pubblicità della Coca Cola che negli anni Trenta del Novecento cercò di convincere i consumatori che la bevanda poteva essere gustata anche d’inverno, e non solo per dissetarsi d’estate.
Non c’è dubbio: il passaggio del destinatario delle letterine natalizie da Gesù Bambino a Babbo Natale, avvenuto grossomodo in meno di un quarantennio, è la miglior testimonianza della trasformazione del Natale da ricorrenza religiosa a parossistica celebrazione del consumismo più bulimico, ed è per questo che io non lo festeggio più: non faccio e non voglio regali, non faccio gli auguri.
Sono anche ateo, ma potrei, come tanti, negli anni nei quali le chiese sono vuote, solennizzare ugualmente la ricorrenza, così, per tradizione, come per tradizione il 21 novembre vado alla Salute ad accendere la candelina e a mangiare la frittella o lo zucchero filato. Ma il buonismo a un tanto al chilo, gli addobbi ridondanti, le luci dappertutto, i mercatini, gli inviti quotidiani a spendere, spendere, spendere per regali di cui nessuno ha bisogno, gli scaffali dei supermercati e le scansie dei negozi traboccanti di merci mi disgustano, soprattutto in questi tempi di povertà dilagante, di sfruttamento, di cambiamenti climatici, di migrazioni epocali: tutto provocato dal nostro modello di vita che, come avrete certamente notato, secondo le tambureggianti pubblicità di questo o quel prodotto, è improntato alla massima “sostenibilità”.
Non so se da quel bambino consumista che ero sono diventato un adulto più consapevole e responsabile, ma ci provo anche se è difficile, bombardati come siamo da assillanti inviti a desiderare cose che non ci servono e a coltivare bisogni che ci schiavizzano. Bisogna pensare a ogni gesto che facciamo, dalla doccia al cuocere la pasta, e a contestualizzarlo nella situazione in cui siamo, cercando anche di riappropriarci di una conoscenza perduta, perché il cambiamento non può che partire dai nostri comportamenti quotidiani, quelli di ciascuno di noi.
Mi spiego con un esempio: giorni fa, ascoltando al mattino Prima Pagina di Rai Radio Tre, una signora si è lamentata che sui banchi dei supermercati non trovava peperoni a chilometro zero, e il conduttore della settimana, Stefano Lampertico, direttore del mensile Scarp de’ tenis della Caritas milanese, le ha risposto circa così: «Guardi, guardi bene, cerchi meglio, anche in altri negozi, e vedrà che li troverà».
In me la risposta non ha prodotto reazioni, ma la mia compagna, Luana Castelli, di origini contadine, è saltata sulla sedia. «Eh no – si è inalberata -! D’inverno a Milano i peperoni non si cercano, è verdura estiva, come le melanzane, come i pomodori. D’inverno si mangia altro». Pensate quel peperone in quale serra è stato coltivato, con quali “aiuti”, quanto ha viaggiato, quanto ha inquinato, mentre qua attorno, nelle nostre campagne, quanti contadini, ancorché strozzati dalla grande distribuzione, cercano di coltivare radicchi, cardi, broccoli, cicorie, bietole, cavoli!
Questo va cercato, certo a chilometro zero (ma davvero), attraverso qualche gruppo d’acquisto, rendendoci consapevoli, lo ripeto, di quel che facciamo.
Penso ai giovani di Ultima Generazione, e confesso che, quando li ho visti imbrattare la Basilica di San Marco, ho avuto un pensiero di stizza, e mi sono immaginato che, se fossi stato presente, in qualche modo sarei intervenuto per fermarli, ma poi, quando ho saputo che avevano usato solo acqua e cacao, mi è parso di capire che dai primi gesti, potenzialmente dannosi, sono passati a forme di protesta ugualmente eclatanti ma innocue.
Per me, dunque, fanno bene, ma forse sbagliano interlocutore. Certo i Governi, certo il semi-fallimento della Cop 28 a Dubai, tutto quel che volete; ma cosa possono fare gli Stati se le grandi multinazionali, veri stati negli stati, spingono per i loro interessi, e milioni di cittadini, inconsapevoli ma votanti, le sostengono affollando ogni giorno dell’anno i centri commerciali, portando il loro mattoncino alla distruzione del pianeta?
Va bene protestare per l’inerzia degli Stati, ma prima di tutto bisogna inchiodare la gente alle proprie responsabilità, perché i Governi siamo noi. Dunque, tra le richieste, non solo di Ultima Generazione ma di ciascuno di noi, le prime dovrebbero essere una riforma della Scuola e l’avvio di una campagna informativa, questa sì martellante, che mettano al centro l’educazione ambientale e riportino le persone a un più consapevole rapporto coi consumi, con la campagna, e a un tenore di vita più sobrio, che in fondo vuol dire migliore qualità della vita.
Buon 2024 a tutti.
L’articolo Pensierino di Natale proviene da ytali..