Da anni giornali e riviste specializzate sono pieni di meste considerazioni sulla conflittualità della politica americana, sul discredito e la paralisi delle sue istituzioni, sulle profonde divisioni nella stessa società. Sarebbe finito quel consenso di base che per decenni aveva permesso di raggiungere compromessi sui temi sociali, sull’economia e anche sulla politica estera consentendo agli Stati Uniti di consolidare il primato nel mondo che avevano conquistato militarmente nella seconda guerra mondiale, economicamente con la grande espansione delle forze produttive e culturalmente con il prestigio della cultura accademica e soprattutto della cultura popolare (cinema, musica, arte).
È oggetto di dibattito se questo cambiamento di fase sia iniziato con la reazione degli anni Settanta (Nixon) ai sommovimenti culturali e alle riforme del decennio precedente, ovvero con la rivoluzione neo-liberista degli anni Ottanta (Reagan), o con le violente contrapposizioni politiche degli anni Novanta (l’impeachment di Clinton) o come contraccolpo all’elezione del primo presidente nero della storia americana (Obama). Quello che è certo è che oggi, dopo gli anni di Trump (che durano ancora nonostante la fine della sua presidenza), la contrapposizione – politica e sociale, valoriale e istituzionale — ha raggiunto livelli che hanno un unico precedente negli anni che precedettero la guerra civile americana (1861-1865).
Non è sempre stato così. La situazione oggi è molto peggiore di quanto sia stata in passato, perfino negli anni del reaganismo che vide la drastica riduzione delle protezioni sociali, l’aumento delle diseguaglianze, il rafforzarsi del razzismo endemico e la nascita dell’estremismo religioso intorno ai temi “valoriali”, primo fra tutti l’aborto. E tuttavia in quegli anni, a differenza di oggi, si poteva essere repubblicani ma moderati, aspramente polemici ma rispettosi delle regole istituzionali, socialmente conservatori senza demonizzarne l’avversario politico o il vicino di casa. Soprattutto, c’era meno violenza verbale nella politica e un minor numero di persone pronte a usare quella fisica.
Se c’è una figura emblematica di questo diverso – e migliore – periodo della vita politica e sociale americana è quella di Sandra Day O’Connor, giudice della Corte suprema, morta ai primi di dicembre all’età di 93 anni. O’Connor era stata nominata alla più alta magistratura del paese da Ronald Reagan nel 1981, la prima donna a occupare la carica. Era nata in Texas da una famiglia di ricchi allevatori di bestiame. Si era laureata i legge all’università di Stanford, ma in quegli anni (gli anni Cinquanta) per una donna era difficile trovare occupazione nelle professioni legali. Si era poi trasferita con il marito in Arizona dove aveva occupato varie cariche nel parlamentino dello stato a guida repubblicana, divenendo la prima donna a guidare la maggioranza nel senato; successivamente era stata eletta giudice e dopo diversi anni nominata giudice di corte d’appello dell’Arizona.
Quando all’inizio degli anni Ottanta Reagan la sceglie per la Corte suprema federale ha alle spalle una solida e lunga carriera politica e giudiziaria da repubblicana conservatrice sulle questioni più calde dell’epoca (e ancora di adesso): diritti sociali, discriminazione razziale, diritti riproduttivi, porto d’armi, finanziamento della politica, immigrazione. In particolare sull’aborto, dopo che la sentenza Roe del 1973 aveva riconosciuto un diritto costituzionalmente protetto ad abortire (seppure con certi limiti), O’Connor aveva votato e fatto votare nel senato dell’Arizona contro l’abrogazione delle leggi proibizioniste.
E tuttavia, arrivata alla Corte suprema presieduta dal conservatore William Rehnquist, con cui aveva collaborato fin dai tempi dell’università, si trova spesso in una posizione di cerniera tra i quattro giudici conservatori e i quattro progressisti. Per un lungo periodo vota con i primi, ma con opinioni che si distanziano dalle posizioni più ideologicamente di destra. Sull’aborto respinge i ricorsi contro alcune leggi statali che intendevano ulteriormente limitarlo, ma si rifiuta di rovesciare la sentenza del 1973 sostenendo che si trattava ormai di una decisione presa. Così sulla cosiddetta “azione affermativa”, le norme tese a combattere la discriminazione contro i neri nei posti di lavoro e nell’ammissione all’università. O’Connor accoglie in alcuni casi specifici i ricorsi contro l’azione affermativa, ma si rifiuta di cancellare il principio come vorrebbero i suoi colleghi più reazionari di lei.
Donna di ferme convinzioni repubblicane (oltre che culturalmente conservatrice), nel 2000 vota con la maggioranza della corte che consegna la vittoria elettorale a George W. Bush bocciando il ricorso in Florida di Al Gore per l’assegnazione dei voti del collegio elettorale di quello stato. All’epoca molti avevano chiesto che lei si astenesse dal giudicare perché aveva espresso pubblicamente il suo “sgomento” per un’eventuale vittoria di Al Gore. Lei non lo fece, ma anni dopo, quando era tornata a vita privata, ebbe a dire che quella era stata una decisione di parte che aveva contribuito a dare una “cattiva reputazione” alla corte.
Ma in un altro caso famoso Sandra O’Connor mostrò la propria indipendenza e attaccamento ai valori costituzionali. Nel 2004, nel pieno della guerra al terrorismo scatenata da Bush dopo l’attacco alle torri gemelle, si schierò assieme ai giudici garantisti contro l’opinione dei suoi colleghi più conservatori (Thomas Scalia, Clarence Thomas) nel caso Hamdi contro Rumsfeld. Yaser Esam Hamdi era un detenuto rinchiuso da anni a Guantanamo, catturato in Afghanistan, e privato dei diritti sia di un prigioniero di guerra sia di un normale imputato perché accusato di terrorismo; inoltre gli veniva impedito di conoscere le prove a suo carico perché l’accusa le considerava un segreto militare. Il suo avvocato fece ricorso e la causa arrivò alla corte suprema.
Nella relazione a nome della maggioranza O’Connor smonta la tesi del governo (Donald Rumsfeld era il ministro della difesa), secondo la quale Hamdi poteva essere detenuto indefinitamente in quanto unlawful combatant (combattente illegale), con queste memorabili parole che le valsero il plauso delle organizzazioni di difesa dei diritti umani:
In tempi difficili dobbiamo preservare il nostro impegno a difendere in patria i principi per i quali combattiamo all’estero… [aggiungendo:] Nonostante la guerra al terrorismo, lo stato di guerra non è un assegno in bianco a favore del presidente quando in gioco ci sono i diritti dei cittadini della nazione… La storia e il senso comune ci insegnano che un sistema di detenzione senza controlli può diventare uno strumento di oppressione e di abuso.
Due anni dopo questa sentenza, nel 2006, Sandra O’Connor decide di lasciare la corte (la nomina sarebbe a vita, ma lei ha compiuto 76 anni e dice di essere stanca dopo venticinque anni di toga); annuncia allo stesso tempo che le dimissioni saranno effettive a partire dalla nomina del suo successore. Avrebbe potuto aspettare ancora due anni ma, da buona repubblicana, non vuole che il nuove giudice venga nominato da un presidente democratico, nel caso vincesse le elezioni, come in effetti avverrà nel 2008 con Obama. Così George W. Bush, dopo un primo tentativo fallito, può nominare Samuel Alito, un conservatore ideologico che sposta decisamente a destra la maggioranza della corte.
Negli anni successivi, nonostante la nomina da parte di Obama di due giudici donne progressiste (Sonia Sotomayor e Elena Kagan), la corte diventerà graniticamente conservatrice grazie ai tre giudici (due uomini e una donna) nominati da Trump. Le figure di mediazione come Sandra O’Connor non saranno più necessarie per raggiungere un consenso a metà strada. Così la corte nel 2022 può – finalmente! – rovesciare la sentenza Roe e poco dopo anche le norme statali sull’azione affermativa, dichiarare illegittime molte leggi che limitano il possesso di armi da fuoco, cancellare i limiti al finanziamento privato delle campagne elettorali, e in genere intervenire coerentemente e radicalmente a favore delle posizioni della destra repubblicana (e trumpiana) più ideologica.
Sandra O’Connor apparteneva a un’altra epoca, un’epoca in cui era possibile essere conservatori ma non di destra estrema; essere anche reazionari ma rispettare la legge e i diritti di che non la pensa come te. Oggi non è più così.
Immagine di copertina: Ronald Reagan con Sandra Day O’Connor, 15 luglio 1981 (Reagan White House Photographs)
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