C’è una Italia che si svuota, che si desertifica. Demograficamente e umanamente. È L’Italia vuota, viaggio nelle aree interne (Laterza 2022), per citare il titolo di un libro in cui Filippo Tantillo esplora la parte dimenticata del paese, quella delle aree interne, definite in base alla distanza dai servizi essenziali, quelle dunque uscite sconfitte nella competizione con le grandi più dinamiche e generative del paese, dove le politiche di investimento hanno concentrato la ricchezza e l’accumulazione di capitali economici e umani.
D’altronde la situazione è quella che sappiamo. Scorrendo le righe del resoconto Istat del 18 dicembre bastano pochi numeri per mettere in luce i sintomi di un inverno demografico che, anno dopo anno, va progressivamente avanzando in Italia. Dal 2014 abbiamo perso 1,3 milioni di abitanti: vale a dire poco più di quanti vivono in un’intera regione come l’Abruzzo, il Friuli o il Trentino. Nel 2022, in sintonia con quanto osservato negli otto anni precedenti, il bilancio demografico del totale dei residenti si è chiuso ancora in rosso (33 mila residenti in meno). Un rosso alimentato da una differenza negativa tra nati e morti – ormai è una costante dal lontano 1993 – che è arrivata a superare, per il terzo anno consecutivo, le trecentomila unità. Questo perché il continuo assottigliarsi del flusso annuo di nuovi nati – sviluppatosi dal 2008 con una intensità che ci ha portato ad avere in un quindicennio un terzo di nascite in meno – non è stato in grado di contrastare un numero di decessi tendenzialmente in crescita e che, anche prescindendo dagli effetti di esperienze come quella pandemica, siamo comunque destinati a mettere in conto per l’ovvio effetto dell’invecchiamento.
Tuttavia lo spopolamento è una tendenza che non è assolutamente uniforme nel paese, quanto piuttosto selettiva. Premiando cioè alcune aree – quelle appunto per vari motivi dinamiche e generative – e penalizzandone altre. Le prime sono concentrate grosso in tre regioni: Lombardia, Emilia, Trentino. Le altre stanno nel centro-sud (con l’eccezione del Lazio, trascinato dalla particolarità della capitale), in particolare in alcune aree interne tra Basilicata, Campania e Puglia, così come all’interno della Sicilia e soprattutto in buona parte della Sardegna. Quest’ultima è proprio paradigmatica della tendenza allo spopolamento: nel 1951 era la regione più feconda d’Italia, oggi è il fanalino di coda con meno di un figlio per donna. Il declino demografico investe il novanta per cento dei comuni sardi, specie quelli – e sono molti – più piccoli. Dice uno studio dell’Università di Sassari che entro la fine di questo secolo si prevede una popolazione quasi dimezzata e composta prevalentemente da anziani, così da rappresentare un caso unico nel panorama nazionale e internazionale. Lo svuotamento dell’entroterra sardo a favore delle zone costiere è inoltre sempre più marcato e mette a rischio anche la presenza di servizi pubblici in zone già in estrema difficoltà economica e sociale.
Il discorso però non è solo italiano. Ad esempio c’è una “Spagna vuota” (La España vacía, dal titolo di un libro di Sergio del Molino), un’area grande quasi come l’Italia ma con soli sette milioni di abitanti, in cui si pensa di sovvenzionare la permanenza di osterie e bar affinché ci si possa accorgere dell’assenza di chi – anziani soprattutto – sia in difficoltà o sia addirittura deceduto da solo nella propria casa (le cosiddette morti inosservate). Da demografico il problema si fa psicosociale, generando una silenziosa “epidemia di solitudine” (come è stata efficacemente definita dal surgeon general americano) che in Italia interessa il 28 per cento degli anziani, arrivando al cinquanta per le donne sopra i 75 anni, con conseguenze notevoli in termini di salute e di spesa sanitaria.
Secondo l’economista Noreena Hertz, autrice de Il secolo della solitudine, questo è il risultato di una cultura che ha incoraggiato i singoli a pensare solo a sé stessi e a vedere gli altri come concorrenti o nemici.
Non è solo privazione di amore, compagnia o intimità – scrive – e neppure sensazione di essere ignorati, inosservati o trascurati da amici, parenti e vicini.
Il senso di abbandono è quello che deriva anche dalla mancanza di sostegno da parte della comunità, della politica, delle istituzioni in generale. Un’assenza che, precisa, “espone al richiamo del populismo e degli estremisti politici”. E qui il discorso si fa più ampio.
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