Potenti donor sono riusciti a cacciare da Harvard Claudine Gay. Ma a che costo?,
si chiede Robert Reich su The Guardian.
Il costo politico è molto alto, per diversi aspetti e su diversi piani. Ma intanto, Claudine Gay, la rettrice African American della più importante università statunitense, mette in chiaro lei stessa i termini della vicenda che l’ha vista protagonista per poi alla fine travolgerla.
Scrive in un editoriale ospitato dal New York Times
Martedì, ho preso la dolorosa ma necessaria decisione di dimettermi da presidente di Harvard. Per settimane, sia io sia l’istituzione a cui ho dedicato la mia vita professionale, siamo stati sotto attacco. Il mio carattere e la mia intelligenza sono stati messi in discussione. Il mio impegno nella lotta contro l’antisemitismo è stato messo in dubbio. La mia casella di posta è stata inondata di insulti, comprese minacce di morte. Mi hanno chiamato con l’impronunciabile parola che inizia con N, più volte di quanto io possa contare.
[…] La campagna contro di me riguarda più di una sola università e più che un solo leader. Si è trattato di uno scontro in una guerra più ampia volta a smantellare la fiducia pubblica nei pilastri stessi della società americana. Campagne di questo genere iniziano spesso con attacchi all’istruzione e all’esperienza, perché sono gli strumenti che meglio consentono alle comunità di vedere attraverso la propaganda. Ma tali campagne non si fermano lì. Istituzioni affidabili d’ogni tipo, dal campo della sanità all’informazione, continueranno a cadere vittime di tentativi coordinati tesi a minarne la legittimità e a distruggere la credibilità dei loro leader. Per gli opportunisti che alimentano il cinismo verso le nostre istituzioni, nessuna singola vittoria, nessun singolo leader abbattuto esaurisce il loro zelo.
Sì, ho commesso errori. Nella mia risposta iniziale alle atrocità del 7 ottobre, avrei dovuto dichiarare con più forza ciò che tutte le persone di buona coscienza sanno: Hamas è un’organizzazione terroristica che cerca di cancellare lo stato ebraico. E in un’audizione al Congresso, il mese scorso, sono caduta in una trappola ben tesa. Ho trascurato di dichiarare chiaramente che le richieste di genocidio del popolo ebraico sono aberranti e inaccettabili, e che avrei usato ogni mezzo a mia disposizione per proteggere gli studenti da quel tipo di odio.
Più recentemente, gli attacchi si sono concentrati sulla mia ricerca. I miei critici hanno trovato casi nei miei scritti accademici in cui alcune informazioni ricalcano testi di altri studiosi, senza adeguata citazione della fonte. Credo che tutti gli studiosi meritino il pieno e dovuto riconoscimento per il loro lavoro. Quando ho appreso di questi errori, ho prontamente richiesto correzioni alle riviste in cui gli articoli segnalati sono stati pubblicati, coerentemente con quanto ho visto trattare casi simili di docenti a Harvard. […]
Nonostante l’ossessivo scrutinio dei miei testi, sottoposti peraltro a peer review, pochi hanno commentato il contenuto della mia ricerca accademica, che si concentra sull’importanza dell’occupazione di posti di rilievo, da parte delle minoranze, nella politica americana. La mia ricerca fornisce prove concrete che dimostrano come comunità storicamente marginalizzate, quando dispongono di una voce significativa nei centri di potere, indicano una porta aperta laddove prima molti vedevano solo ostacoli. Il che, a sua volta, rafforza la nostra democrazia. […]
Mai avrei immaginato di dover difendere una ricerca rispettata di decenni di lavoro, ma le ultime settimane hanno distrutto la verità. […] Coloro che avevano implacabilmente fatto campagna per farmi dimettere da quando è iniziato l’autunno spesso hanno diffuso bugie e insulti ad hominem, non argomenti ragionati. Hanno riciclato stanchi stereotipi razziali sul talento e sul temperamento dei neri. Hanno diffuso una narrazione falsa di indifferenza e incompetenza.
Non mi sfugge che io sia un bersaglio ideale per proiettare ogni ansia riguardo ai cambiamenti generazionali e demografici che si stanno verificando nei campus americani: una donna nera scelta per guidare un’istituzione storica. Una che considera la diversità una fonte di forza e dinamismo istituzionale. Una che si fa forte di un curriculum moderno che spazia dalla frontiera della scienza quantistica alla storia a lungo trascurata degli americani di origine asiatica. Una che crede che una figlia di immigrati haitiani abbia qualcosa da offrire alla più antica università della nazione.
[…] I campus universitari nel nostro paese devono rimanere luoghi in cui gli studenti possono imparare, condividere e crescere insieme, non spazi in cui si radicano battaglie per procura e s’afferma il protagonismo politico. Le università devono rimanere luoghi indipendenti in cui il coraggio e la ragione si uniscono per promuovere la verità, indipendentemente dalle forze che si oppongono a loro.
I termini dell’operazione volta alla sua destituzione [e di altre due sue pari, Liz Magill, presidente dell’università della Pennsylvania, la prima a dimettersi, e Sally Kornbluth e la presidente dell’MIT, ancora in carica] sono già molto chiari nell’audizione parlamentare che il prof. Arnaldo Testi ricostruisce perfettamente nel suo blog.
Le conseguenze, si diceva.
Chi ha voluto drammatizzare le manifestazioni nei campus americani, a sostegno della causa palestinese, ha giocato con grande cinismo la carta dell’antisemitismo, proponendo con spregiudicatezza e con grande dispiegamento di mezzi un’equazione tra atteggiamenti di frange – che indubbiamente andavano molto oltre slogan contro Israele fino ad assumere tinte apertamente antisemite – e il comportamento del grosso dei manifestanti, criticabile finché si vuole ma non etichettabile come “antisemita”, in quanto anti-israeliano e a sostegno dei palestinesi. Su una simile equazione hanno avuto un ruolo determinante, con il ricatto dei loro finanziamenti milionari alle università, potenti donor, evidentemente legati al campo di Trump e a Netanyahu, che hanno colto l’occasione per lanciare un’offensiva volta a demolire anni e anni di impegno a favore dell’inclusione delle minoranze, innanzitutto i neri, in luoghi in cui la loro presenza, fino a tempi recenti, non era neppure prevista, se non come rari fiori all’occhiello, compresi atenei che devono la loro fortuna iniziale allo schiavismo, al commercio degli schiavi, e che, più nolenti che volenti, devono oggi fare i conti con la loro storia di discriminazione e razzismo e con il risarcimento degli African American, morale, politico ed economico.
Secondo il reverendo Al Sharpton, leader del movimento per diritti civili, la cacciata di Gay è “un attacco alla salute, alla forza e al futuro della diversità, dell’equità e dell’inclusione (DEI)”. La DEI è la sigla che sintetizza i cambiamenti visibili nella trasformazione dei campus, e non solo, in sintonia con la necessità di accogliere le istanze nuove e i diritti di una società in profondo e continua evoluzione.
Più in generale, il suprematismo bianco vede nell’accademia il contesto per eccellenza in cui la nuova demografia americana, gradualmente ma inesorabilmente, mette in minoranza la vecchia maggioranza bianca, il potere indiscusso e indiscutibile, secolare, dei bianchi. Il fermento attuale nelle università, come già accadde nella stagione del Black Lives Matter, è visto come un sintomo insidiosissimo della trasformazione di portata rivoluzionaria in atto, basata sulla crescita della consapevolezza delle donne, delle minoranze, dei neri, sull’aumento del potere dei latinos e degli asiatici, delle comunità LGTBQ. Adesso dietro le bandiere palestinesi, un po’ come avvenne dietro le bandiere del Vietnam, c’è un vasto seppur confuso arco di forze sociali che porta avanti un altro conflitto, generazionale, di genere, di cultura e di classe. È folle ridurre tutto questo a forme rinnovate del vecchio e immarcescibile antisemitismo (che peraltro alligna soprattutto nella destra, anche in quella che sostiene Israele solo perché detesta i musulmani).
La rottura provocata da questo grumo di potere, molto forte, dotato di grandi fortune, va anche contro una vecchia e forte alleanza tra la comunità nera e settori della comunità ebraica che risale ai tempi delle marce per i diritti civili. Tra i bianchi, furono molti attivisti e intellettuali ebrei al fianco di Martin Luther King e del movimento per i diritti civili, non dimentichi delle forme di discriminazione, se non di aperto antisemitismo, di cui loro furono vittime e che caratterizzavano l’America fino agli anni Sessanta, come racconta straordinariamente Philip Roth.
Andare a intaccare questa relazione speciale (non priva certo di contraddizioni rilevanti) è un azzardo calcolato da parte di chi vuole lacerare la grande tenda che è il Partito democratico, sotto la quale la comunità nera e quella ebraica si sono sempre trovate insieme e sono quelle che storicamente più contano e ne sono i pilastri principali.
L’attacco portato contro Claudine Gay è la sintesi e l’emblema di una vasta manovra politica volta a riportare Trump alla Casa Bianca e a mettere sotto silenzio l’America che non ci sta.
Immagine di copertina: Un fotomontaggio, in cui il volto di Barack Obama si sovrappone all’immagine di Claudine Gay, è diffuso su X da @texan_maga, una militante del MAGA, il movimento di sostegno a Trump. La squallida operazione ha il merito di mettere in evidenza qual è l’obiettivo dell’attacco sferrato contro l’ateneo e contro la sua presidente.
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