[PARIGI]
Lo scorso 7 dicembre Complément d’enquête, una trasmissione giornalistica di France 2, decide di mettere in onda un documentario dal titolo “La chute de l’ogre”. “L’orco” in questione è il celebre attore francese Gérard Depardieu. Nel documentario in particolare compaiono le immagini di un video-reportage girato da un amico che accompagna Depardieu in visita in Corea del Nord nel 2018, per festeggiare i settant’anni del regime nordcoreano. L’attore francese è noto per l’ammirazione e le frequentazioni con regimi autoritari: immagini e video di Depardieu accanto all’ami Putin e al dittatore ceceno Kadyrov sono note in Francia.
Nel video il celebre attore francese parla a ruota libera e lo fa costantemente su un registro sessuale non appena è in presenza di donne. L’attore accompagna poi i commenti inappropriati con gesti e rumori gutturali, mimando l’atto sessuale. Una sequenza in particolare ha scioccato il pubblico francese. In un allevamento di cavalli, Depardieu afferma che “le donne amano andare a cavallo (perché) i loro clitoridi sfregano contro la sella (…) si divertono molto”. E continua: “Sono delle grandi troie”. Pochi istanti dopo, viene filmata una giovane ragazzina coreana a cavallo, mentre l’attore pronuncia queste parole: “Se dovesse cominciare a galoppare, viene. Dai ragazza mia, continua così”.
Depardieu è stato subito difeso dalla famiglia che ha accusato France 2 di aver manipolato le immagini. Tuttavia, a fini di tutela legale, la rete pubblica si era premurata di far verificare tutte le immagini in suo possesso a un ufficiale giudiziario che ha confermato che le parole erano rivolte alla minorenne nordcoreana.
Il documentario di France 2 tuttavia affronta anche le numerose accuse di cui, da qualche anno, il celebre attore francese è oggetto. Il 16 dicembre 2020 infatti Depardieu è stato incriminato per stupro e violenza sessuale a seguito di una denuncia da parte di una giovane attrice, Charlotte Arnould. Da allora, una quindicina di altre donne hanno accusato l’attore di violenza sessuale. Almeno due di queste, assieme alla denuncia di Arnould, sono attualmente oggetto di indagini da parte della magistratura.
Una “caduta” per l’attore icona del cinema francese, che sembrava intoccabile fino a qualche tempo fa. E nel bel mezzo del turbinio mediatico, riemergono oggi anche vecchie interviste, una in particolare realizzata nel 1978, nella quale affermava di aver partecipato a diversi stupri. Intervista che non aveva suscitato scandalo nella società francese dell’epoca. Ma che verrà ripresa ad inizio anni Novanta negli Stati Uniti.
Nel 1991, Gérard Depardieu è infatti in corsa per l’Oscar come miglior attore per il ruolo di Cyrano de Bergerac, nel film di Jean-Paul Rappeneau. Pochi giorni prima della cerimonia, la rivista americana Time riporta alla luce l’intervista con l’attore tenuta nelle colonne della rivista americana Film Comment nel 1978. In quest’intervista, l’attore faceva appunto delle osservazioni estremamente scioccanti, spiegando in particolare di aver partecipato a “troppi stupri per contarli” durante la sua giovinezza. “Non c’era niente di sbagliato in questo”, spiegava, “le ragazze volevano essere violentate”. All’epoca, nel tentativo di tutelare la propria immagine negli Stati Uniti, Depardieu accordava a Time un’intervista riparatrice.
Interrogato da un giornalista sulle sue parole, l’attore aveva confermato di aver partecipato a stupri. “Ma era del tutto normale in queste circostanze. Faceva parte della mia infanzia”, spiegava. Un’ammissione che aveva suscitato una vera e propria protesta da parte delle attiviste femministe e aveva minato seriamente la campagna per gli Oscar guidata dall’attore e dalla troupe del film Cyrano de Bergerac, Oscar poi vinto da Jeremy Irons. Da parte sua, la stampa francese aveva evocato invece un complotto contro l’attore. Pochi giorni dopo l’intervista, Depardieu aveva fatto quindi marcia indietro. In un comunicato stampa negava di aver fatto tali affermazioni, lamentando un errore di traduzione da parte del giornalista americano.
Quelle dichiarazioni gli costarono la carriera americana. Ma nessuna ripercussione e risonanza in Francia. Se non oggi, quando l’onda lunga del #MeToo francese riporta alla luce interviste e documenti e libera la parola di molte colleghe attrici di Depardieu. Come l’attrice Sophie Marceau che la scorsa estate dalle colonne di Le Monde ha parlato del comportamento inappropriato dell’attore durante il film “Police” del 1985, quando lei aveva 19 anni, accuse ripetute pochi giorni fa dalle pagine di Paris Match:
All’epoca dissi pubblicamente che non potevo sopportare il suo comportamento maleducato e altamente inappropriato. Molte persone si sono poi rivoltate contro di me, facendomi passare per la rompiscatole,
racconta l’attrice. Marceau ha descritto i palpeggi dell’attore, tra cui “mani insistenti, onnipresenti, inutili e invisibili sulla telecamera”:
Non ha mai osato toccarmi davanti alla troupe, altrimenti avrebbe ricevuto il mio pugno in faccia. […] Quando salutava una donna della squadra, le strizzava il seno. O il sedere. Non si nascondeva. Se non incontrava un’opposizione aperta, continuava a farlo. All’epoca, tutti ridevano con lui, tutti lo amavano per questo, tutti lo applaudivano per quello che era. E tutti pensavano che fosse normale […] La volgarità e la provocazione sono sempre state il suo mestiere. Ora viene accusato proprio delle cose per cui veniva lodato.
Dopo lo scandalo del documentario su France 2, Gérard Depardieu è stato quindi radiato dall’Ordre national du Québec e privato del titolo di cittadino onorario del comune di Estaimpuis in Belgio, mentre la sua statua di cera è stata rimossa dal Museo Grévin di Parigi. Molti intervengono tuttavia a difesa dell’attore.
Tra le prime l’attrice Fanny Ardant che su RTL Bonsoir dichiara: “la giustizia non si esprime più? Solo la voce popolare?”, ha protestato l’attrice. “Quello che sta succedendo a Gérard è una condanna a morte.”
Poi i sostenitori di Depardieu si organizzano e il 25 dicembre viene pubblicato su Le Figaro un appello da titolo “Non cancellate Depardieu”, firmato da una sessantina di personalità del mondo della cultura che denunciano il “linciaggio” contro l’attore francese. Tra i firmatari figurano il regista Bertrand Blier, le attrici Nathalie Baye, Carole Bouquet (ex moglie di Depardieu), Victoria Abril e Charlotte Rampling, gli attori Jacques Weber, Pierre Richard e Gérard Darmon, ma anche i cantanti Roberto Alagna, Carla Bruni, Arielle Dombasle e Jacques Dutronc.
Nel testo definiscono Gérard Depardieu “l’ultimo mostro sacro del cinema”:
Non possiamo più restare in silenzio di fronte al linciaggio che lo ha colpito, di fronte al torrente di odio che si riversa sulla sua persona, senza sfumature, nella più completa amalgama e nel disprezzo di una presunzione di innocenza che ne avrebbe tratto vantaggio, come tutti gli altri, se non fosse stato il gigante del cinema quale è,
E continua:
Attraverso il suo genio della recitazione, Gérard Depardieu partecipa all’influenza artistica del nostro paese. […] Qualunque cosa accada, nessuno potrà mai cancellare la traccia indelebile della sua opera che ha segnato per sempre il nostro tempo. Il resto, tutto il resto, riguarda la giustizia; che giustizia. In esclusiva.
Ma l’appello non raggiunge l’effetto sperato. Il cinema francese infatti non è unanime. C’è chi si è rifiutato di firmare l’appello. Erano settecento quando un simile appello qualche anno fa venne pubblicato a difesa del regista Roman Polanski. Oggi sono quasi sessanta. E l’età media dei firmatari è di 70 anni. L’autore dell’appello ha contattato giovani attori, ma nessuno ha risposto e nessuno della prossima generazione del cinema francese ha espresso il proprio sostegno a Depardieu. Una divisione su questa vicenda che somiglia, oggi più che mai, a un divario generazionale sul tema della violenza sessista e sessuale.
E la risposta del nuovo cinema francese non si fa attendere. Un contro-appello viene pubblicato dal collettivo “Cerveaux non disponibles” su un blog ospitato dal sito Mediapart. I firmatari sono seicento tra attori, cantanti e personalità dello spettacolo. In breve tempo raggiunge le duemila e cinquecento firme. I firmatari attaccano l’appello pro-Depardieu e il presidente Macron che qualche giorno prima aveva difeso il celebre attore francese, definendo queste prese di posizione “uno sputo in faccia alle vittime di Gérard Depardieu, ma anche a tutte le vittime di violenza sessista e sessuale”:
È una sinistra e perfetta illustrazione del mondo di prima, che si rifiuta di lasciare che le cose cambino.
E aggiungono sulla questione della presunzione di innocenza:
Non fraintendeteci, anche noi vogliamo che la giustizia faccia il suo lavoro. Ma la storia ci mostra quanto sia difficile per una vittima di violenza sessuale parlare, vincere la sua causa, far riconoscere ufficialmente la violenza che le è stata inflitta. Lasciamo che i tribunali facciano il loro lavoro. Ma anche noi dobbiamo fare il nostro. Dobbiamo sostenere le vittime e non lasciare in pace gli aggressori, gli stupratori e gli oppressori.
L’appello pro-Depardieu ha poi conseguenze per alcuni dei suoi firmatari, a loro volta accusati sui social da giovani attori e attrici per aver avuto comportamenti non corretti sul set. È il caso di Victoria Abril accusata dalla giovane collega Lucie Lucas.
Lucas, nota al pubblico francese per aver partecipato con il ruolo da protagonista in una serie accanto proprio all’attrice spagnola, ha detto che Abril stessa si è resa responsabile di numerose aggressioni, comprese aggressioni sessuali verso i suoi colleghi di lavoro. Lucas ha detto di aver avuto bisogno di tempo per liberare la sua parola e ha spiegato a quale punto può essere difficile esprimersi in un mondo dove la relazione di potere è estremamente dura.
Altri hanno denunciato di aver assistito ad aggressioni sessuali da parte dello stesso Depardieu. Come nel caso dell’attrice Vahina Giocante che dal suo profilo Facebook ha parlato dell’aggressione sessuale dell’attore nei confronti di una comparsa durante le riprese di un film.
Alcuni dei firmatari hanno poi deciso di ritirare la firma dall’appello. Charles Berling, regista e attore, ha ritirato la firma dopo che alcune compagnie teatrali avevano annunciato di non voler più lavorare per il suo teatro. Yvan Attal, regista e attore, non ha ritirato la firma ma ha dichiarato di non trovarsi d’accordo con l’appello pubblicato.
E poi entra in gioco la politica. Alcuni dei firmatari hanno deciso di ritirare la firma dopo che la stampa rivela l’identità dell’autore dell’appello che hanno sottoscritto. Si tratta di Yannis Ezziadi, attore vicino alla figlia di Depardieu e amico di Sarah Knafo – consigliera e compagna di Eric Zemmour -, oltre che editorialista della rivista conservatrice Causeur. Ezziadi è molto presente sui canali televisivi della holding del miliardario Vincent Bolloré, molto conservatore: la sua difesa della corrida gli è valsa diversi inviti a comparire sui canali “populisti di destra” CNews e C8.
Tra coloro che decidono di ritirare la firma dopo la rivelazione dell’identità dell’autore vi sono Nadine Trintignant, regista e moglie di Jean-Louis Trintignant, e l’ex moglie di Depardieu, Carole Bouquet: entrambe ritirano la loro firma per non essere associate alle idee e ai valori di Ezziadi. Che tuttavia può gridare vittoria per aver realizzato una delle maggiori operazioni di seduzione della destra conservatrice e reazionaria all’interno del mondo della cultura e dello spettacolo francese, tradizionalmente schierato a sinistra.
Un aiutino lo dà anche il presidente Emmanuel Macron. Alla domanda sul documentario durante la sua visita alla trasmissione C à vous il 20 dicembre, non ha voluto condannare l’attore, preferendo manifestargli il suo sostegno e accusando la “caccia alle streghe” mediatica di cui è attualmente oggetto, secondo lui, Gérard Depardieu.
Una presa di posizione che secondo la stampa francese ha colto di sorpresa anche molti dirigenti politici della maggioranza macroniana. Un tentativo quello del presidente, secondo la stampa francese, di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle difficoltà della maggioranza con la nuova riforma sull’immigrazione. Una riforma che ha spaccato la maggioranza di governo, con esponenti dell’ala sinistra del movimento di Macron che hanno dato le dimissioni del governo dopo che la legge, già indurita dalla destra parlamentare – di cui Macron ha bisogno dei voti – è stata votata anche dall’estrema destra, un episodio vissuto come un trauma nel campo presidenziale.
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