In un 2024 denso di appuntamenti elettorali le presidenziali di Tawian, che si tengono il 13 gennaio, sono tra quelli più attesi dato il ruolo centrale dell’isola nel confronto tra le superpotenze, americana e cinese.
I contendenti sono tre: l’attuale vicepresidente Lai Ching-te, conosciuto anche come William Lai, del Democratic Progressive Party (DPP), il sindaco di Taipei Hou You-ih, del Guomindang (partito nazionalista), e Ko Wen-je, del Taiwan People’s Party (TPP), nato da una scissione del DPP.
Al centro del dibattito, circostanza che non sorprende, i rapporti con la Cina guidata dal presidente Xi Jinping. Nei sondaggi, Lai è in testa di pochi punti su Hou mentre Ko appare staccato. L’ imprenditore Terry Gou, fondatore della Foxconn, produttrice degli iPhone in Cina, aveva annunciato la sua intenzione di candidarsi come indipendente ma ha rinunciato e si è ritirato dalla competizione.
Dopo le elezioni, la situazione nello Stretto di Taiwan continuerà a galleggiare nel limbo creato dal riconoscimento internazionale di “una sola” Cina, cioè quella con capitale Pechino, e dalla rinuncia di Taiwan a dichiarare formalmente la sua indipendenza di fatto. Ciononostante il mondo guarda alle elezioni con il fiato sospeso, attendendo un’indicazione sul futuro dell’isola e sulla possibilità che la situazione sfugga di mano innescando una guerra tra Cina e Stati Uniti.
Il DPP, in realtà, è nato per battersi per l’indipendenza definitiva dell’isola dalla Cina, che continua a essere il suo orizzonte, il suo obiettivo di lungo periodo. Il Guomindang è un partito più cinese che taiwanese: è stato fondato nel 1912 da Sun Yat-sen e in seguito guidato da Chiang Kai-shek, e il suo obiettivo di lungo periodo è l’unificazione con la Repubblica Popolare e la conquista del governo di questa immaginaria Cina Unificata. Quanto al TPP, il suo leader e fondatore Ko non si è pronunciato in modo chiaro sui rapporti con la Cina popolare, preferendo attaccare i suoi avversari con argomenti piu’ concreti e attinenti al governo dell’isola.
Obiettivi strategici a parte, nel prossimo futuro tutti e tre i partiti sono per il mantenimento dello status quo.
Solo una manciata di paesi di secondo piano ha riconosciuto la Repubblica di Cina (il nome ufficiale di Taiwan) mentre la maggior parte dei paesi del mondo – tra cui l’ Italia – ha nella capitale Taipei degli uffici commerciali che agiscono come ambasciate di fatto.
Va però sottolineato che negli ultimi anni il peso politico dell’isola è decisamente aumentato e i suoi rapporti internazionali si sono intensificati. In particolare si sono rafforzati i legami con gli USA, in un processo che ha avuto il suo culmine nella visita della parlamentare americana Nancy Pelosi nell’agosto del 2022. Gli USA hanno inoltre fornito all’esercito taiwanese armamenti per miliardi di dollari mettendolo in grado di dare del filo da torcere a un eventuale attacco cinese. Spesso, navi da guerra e sottomarini americani si recano nello stretto di Taiwan partendo dalle loro basi in Giappone e nell’isola di Guam.
Secondo alcuni osservatori, la conquista di Taiwan, se necessario con un attacco militare, fa parte degli obiettivi irrinunciabili del presidente cinese Xi Jinping. Nel suo discorso di Capodanno, Xi ha affermato che quella della “riunificazione” è una “necessità storica”.
A dispetto delle previsioni apocalittiche degli “esperti” sembra di poter dire che, almeno nel prossimo futuro, un’invasione cinese di Taiwan sia da escludere. Le ragioni sono molte: prima di tutto, la presenza nel Pacifico della settima flotta americana, tecnologicamente più avanzata della Marina cinese; le difficoltà economiche della Cina; il fallimento dell’attacco russo all’Ucraina (che secondo i piani del Cremlino sarebbe stata conquistata in pochi giorni); le difficoltà di attaccare un’isola, azione che comporterebbe una serie di sbarchi simultanei; il rafforzamento delle difese militari di Taiwan; non ultimi i sondaggi più recenti secondo i quali il 66 per cento della popolazione s’identifica come semplicemente “taiwanese”, il 28 per cento come “taiwanese e cinese” e solo il quattro per cento come “cinese”; in altre parole l’invasione dovrebbe fare i conti con una popolazione quasi interamente ostile.
La guerra per Taiwan coinvolgerebbe certamente il Giappone e probabilmente la Corea del Sud, e potrebbe veder scendere in campo altri alleati regionali degli USA.
La probabile sconfitta dell’Esercito di Liberazione Popolare avrebbe conseguenze drammatiche per il regime di Pechino.
Non bisogna dimenticare il fatto che Taiwan è la principale produttrice mondiale di semiconduttori, un elemento indispensabile nella produzione di apparati elettronici per l’audio e il video, per le telecomunicazioni, per la gestione dei velivoli aerospaziali, per gli strumenti informatici, per la robotica e per altri settori industriali di punta e una interruzione della produzione sarebbe un grave problema per l’ economia internazionale, e anche per la Cina.
La probabile vittoria nelle presidenziali di Lai porterà a un intensificarsi della guerra di parole tra le due sponde dello Stretto di Taiwan ma difficilmente a una guerra guerreggiata. Nel caso prevalesse il Guomindang si assisterà a un moltiplicarsi dei rapporti culturali e a una ripresa del turismo tra le due sponde ma è evidente che la “ri-unificazione” rimarrebbe un obiettivo lontano, molto lontano.nel tempo.
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