Su Google translator scriviamo la parola Gaza e proviamo a tradurla nelle lingue più diverse. È sempre la stessa, Gaza, anche nella trascrizione in alfabeti diversi. Una parola universale. La causa dei palestinesi nella Striscia scuote le coscienze in tutto il mondo, di tutto il mondo. Per le immagini drammatiche che circolano sui canali di tutte le tv. Quotidianamente, ininterrottamente, da quasi cinque mesi. L’opinione pubblica mondiale è turbata e sgomenta mentre sui media e nelle proteste risuona una parola di quattro lettere, diventate internazionali, le stesse in tutte le lingue, in tutto il mondo: G-A-Z-A. Parola breve, comunicativa, facile da scandire negli slogan, parola diventata simbolo, metafora, oltre la definizione di un luogo specifico.
Netanyahu e i suoi propagandisti tentano continuamente di contrapporle e sovrapporle la parola Hamas, cercando invano di imporre un’equazione insensata tra un popolo, il martoriato popolo della Striscia, e un’organizzazione che si arroga il diritto di rappresentarne la causa, per giustificare la devastazione di un territorio densamente popolato.
Gaza sono le macerie di bombardamenti crudeli e insensati. Palazzi fatti saltare in aria. Porti, strade, infrastrutture ko. Ospedali distrutti. Moschee abbattute. Un popolo messo in fuga senza niente e senza meta, bambini, vecchi, malati.
La narrazione di tutto questo è condensata in quattro lettere: GAZA. Un messaggio semplice, chiaro, facile da far girare.
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