I greci vedevano il futuro come qualcosa che ci arriva alle spalle, mentre il passato si allontana davanti a noi. A pensarci bene, è una metafora più esatta della nostra: come si può guardare al futuro? Si possono solo fare proiezioni dal passato, anche quando il passato dimostra che queste proiezioni sono spesso errate. E come si può veramente dimenticare il passato? Che cos’altro conosciamo?
(Robert. M. Pirsig, “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, 1974)
Il principale tratto del suo carattere? “La nostalgia del futuro”
(Luigi Nono, “Questionario Proust” 1986)
Non è solo una retrotopia come l’ha lucidamente coniugata Zigmunt Baumann in un orizzonte nostalgico (1) l’ossessivo sguardo al passato in cui naviga una società liquida, ma è una vera inversione della postura temporale dell’Io nell’abitare il Tempo – e ancor più il nostro tempo – consapevoli ora più che mai con Sant’Agostino che il Tempo: “Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so più”.
Quello nostalgico (retro-topico come sguardo al passato in opposizione a quello u-topico come sguardo al futuro) non è solo un retaggio meccanico di rifugio-ricostruzione di una casa ideale in cui si tende ad abbandonare legami ideologici (considerati i soli campi di espressione del pensiero critico) alla ricerca di nuovi legami emotivi, ma è anche, l’inversione della postura temporale, vero e proprio Tempo inverso, un’opportunità di ricongiunzione profonda degli esseri umani con il proprio essere, junghianamente il Sé dell’unione fra le parti, oltre che con la loro sola idealità. L’illuminante metafora greca di cui riprende Robert Pirsig nel suo celebre romanzo Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, quella del futuro alle nostre spalle, riporta alla luce una Verità profonda: entriamo nell’esperienza del tempo ‘che ancora non è’ (il futuro), contrariamente a tutta la narrazione meccanicistica degli ultimi tre secoli, all’indietro, camminando a passo felpato, come i gamberi. Riposizionando il Tempo Futuro alle nostre spalle, siamo condannati – o al tempo stesso, salvati -, a fissare davanti a noi lo svolgersi di un eterno Presente da cui, allontanandoci nel cammino a ritroso, facciamo l’esperienza del Passato; Presente del Passato, Presente del Presente, Presente del Futuro (Sant’Agostino) da cui Il grande esercizio della Memoria e del ri-cordo, come doppia accordatura.
La Visione dell’Angelus Novus di Paul Klee che Walter Benjamin ‘getta’ nella tragicità della storia, è dunque l’Angelus umano per eccellenza, co-stretto dal vortice mortale degli eventi che lo risucchia all’indietro tarpandogli le ali. Un angelo ‘caduto’ incapace di guardare di fronte a sé l’orizzonte degli eventi fatto di macerie di un eterno ‘passato’ da cui si allontana, camminando all’indietro nel futuro, e sul quale non riesce più a tenere lo sguardo perché non riesce più a trat-tenerlo, possederlo, controllarlo, determinarlo, pre-vederlo. La grande illusione del controllo frontale del Dio visuale ha entropizzato il campo visivo per eccesso di dati e segnali, tra mondi ‘reali’ e piattaforme ‘virtuali’. La velocità, Il mito della società meccanica che tutto ha accelerato e frantumato nella compressione degli eventi spazio-temporali sempre più lineari, ha soffocato il tempo dell’attesa e del passaggio svuotandolo del suo anelito messianico; la linea, dopo quattro secoli da Leonardo (La linia si fa col moto del punto), si è inghiottito il punto, fagocitandolo, e si è fatta solo moto, flusso, dinamica nello spazio. L’orecchio negato (il suono) a favore dell’occhio deificato, si riprende i suoi crediti, annunciando un orizzonte di salvezza nell’Ascolto del mondo più che nella sua visione. La dimensione aurale determinata da un apparato di ricezione circolare (non abbiamo bisogno di girare l’orecchio per ascoltare il Futuro che è alle nostre spalle) confligge con l’entropia visuale dell’esperienza quotidiana, carica di segnali e scariche visive determinata da uno ‘strumento’ frontale, l’occhio, che controlla solo nel suddividere-scomporre continuamente il campo visivo in spicchi grandangolari. La ‘vulnerabilità’ dell’orecchio che non possiamo mai chiudere perhé non ha palpebre, e che è sempre connesso, diventa un ancoraggio di salvezza per uno sguardo accecato e spento dall’entropico accumulo di dati e algoritmi, dalle continue sollecitazioni e accecamenti visive.
Domande; questioni. Quale “tempo” si ascolta? Qual’è il suono che si ascolta? Che tipo di suono, qualitativamente, si ascolta? Che intervalli? Quali gamme? Tutto questo viene a problematizzare non poco il lavoro del compositore, ma anche a metterlo di fronte a grandi campi di possibilità. Le chiamo possibilità e non novità, non “nuovi materiali”. (2)
Michelangelo Pistoletto, fra gli artisti di maggior rilievo dell’arte povera, con i suoi quadri specchianti degli anni Sessanta ha reso la superficie inerte della tela un campo del Passato (davanti a noi) in cui entra, artificiosamente, tutto il Futuro che è alle nostre spalle (3). Nel suo incontro parigino con John Cage nel ’64, racconta lo stesso Pistoletto, il compositore americano gli disse: “Il tuo lavoro è ciò che è più vicino alla mia musica, perché lui apriva le finestre per far entrare la musica e io con lo specchio ho fatto entrare il mondo nell’arte” (4)
Nel punto di svolta dell’umanità, riposizioniamo dunque il Futuro alle nostre spalle, affidandoci alla lentezza del dubbio e all’oracolarità degli eventi, riscoprendo le voci del mito e del simbolico che nutrono il sonno e la veglia dell’umanità dalla notte dei tempi perché l’ascolto del mondo (e della musica) ritorni all’uomo come l’acqua al mare.
non c’è limite di tempo.. comincia quando vuoi
Benjamin Button (Francis Scott Fitzgerald, “Il curioso caso di Benjamin Button”, 1922)
1 «Abbiamo invertito la rotta e navighiamo a ritroso. Persa ogni fiducia nell’idea di costruire nel futuro una società alternativa e migliore di quella in cui viviamo, molti si rivolgono all’indietro, alle grandi idee del passato, seppellite ma non ancora morte. Sono gli anni della retrotopia» (Zygmunt Bauman)
2. Liigi Nono, Altre possibilità di ascolto (1985)
3. «Lucio Fontana, dopo aver visto i miei primi Quadri specchianti, mi disse che avevo fatto una cosa alla quale lui non aveva pensato. Effettivamente la prospettiva era da sempre considerata come fuga in avanti. La visione prospettica si otteneva solo guardando dalla finestra o sfondando il muro di una stanza. Invece, quando nel 1961 ho trasformato la tela in specchio, la prospettiva si è girata su se stessa. Non ho avuto bisogno di sfondare il muro, il muro si bucava automaticamente perché davanti all’occhio del visitatore si apriva, come attraverso un varco, uno spazio illimitato senza la violenza e il dramma, che erano ancora presenti nel gesto di Fontana. Ma perché si creava questo spazio? Perché era il riporto di tutto ciò che stava dietro alle spalle dello spettatore, dunque la prospettiva si apriva in avanti facendoci guardare indietro. La prospettiva, attraverso il quadro specchiante, diveniva bidirezionale.» (Michelangelo Pistoletto e Alain Elkann, La voce di Pistoletto, Ed. Bompiani, p. 63)
4. Le trombe del Giudizio di Michelangelo Pistoletto Conversazione con Nicola Cisternino
Immagine di copertina: Nicola Cisternino, Zygmunt Bauman, Caminantes n.1, tecnica mista su carta cm. 29,5×43 (2021)
L’articolo Il grande inganno proviene da ytali..