Non capiremo mai per quale motivo un allenatore capace e motivato come Davide Nicola sia, di fatto, tenuto ai margini del nostro calcio, chiamato in causa solo quando si tratta di salvare squadre ormai considerate derelitte e poi, a miracolo compiuto, prontamente accantonato per affidarsi, ancora una volta, agli autori dei disastri cui gli si chiede, a metà campionato, di porre rimedio. Va così da quasi dieci anni, da quando cioè riusci a centrare un’assurda salvezza alla guida del Crotone, compagine che tutti, nei nostri pronostici, ritenevamo ormai condannata alla retrocessione. Non pago dell’impresa compiuta in Calabria, il nostro è riuscito a rianimare anche Genoa e Torino, prendendole in fondo alla classifica e portandole al sicuro, e persino la Salernitana, tirandola fuori da guai non dissimili da quelli che quest’anno le sono costati, invece, il ritorno in Serie B. Ora si è ripetuto a Empoli, la formazione a detta di molti più scarsa dell’intera Serie A, in grado di racimolare la miseria di 13 punti in venti gare e ben 23 da quando il presidente Corsi, disperato, ha deciso di affidarsi a questo rivoluzionario di provincia, con i capelli lunghi e il volto scavato dalle esperienze della vita, tra cui la perdita di un figlio, capace di lottare con una grinta fuori dal comune e di non perdersi mai d’animo.
Sarebbe bello se fosse confermato a Empoli, diciamo anzi che sarebbe il minimo. Sarebbe, tuttavia, il caso che qualche media squadra, o persino qualche grande bisognosa di essere rianimata, la smettesse di guardare a lui come a un allenatore secondario, buono al massimo per condurre in salvo le ultime della fila, e gli offrisse l’opportunità di dimostrare fino in fondo il suo talento. Perché Nicola, a nostro giudizio, è molto più di un tecnico coi fiocchi. È un esempio e un punto di riferimento, un motivatore e un uomo, soprattutto un uomo, con dei valori solidi e dei riferimenti culturali profondi. Raramente, nel mondo del calcio, si incontrano persone del genere. Raramente, si assiste a una simbiosi così totale fra un timoniere e i suoi ragazzi. Raramente, si ha a che fare con una meraviglia umana come quella che traspare da ogni suo gesto e iniziativa.
Forse resterà per sempre in provincia, a regalare gioia ai poveri ricevendone in cambio la gratitudine eterna. Forse, vien da pensare che sia persino felice in questo modo. Uno come lui, abituato alla tuta e al profumo dell’erba, alla fatica e alla sofferenza, a guardare in faccia l’abisso, non solo sportivo, e ad andare avanti anche con le lacrime agli occhi, uno così, infatti, non è tipo da copertina o da rivista patinata. Uno come Davide sta bene in trattoria, fra amici sinceri e selezionati. Sta bene con giocatori umili e desiderosi di crescere. Sta bene dove è rispettato davvero. Eppure, è davvero incredibile un simile spreco. Non sanno cosa si perdono, le grandi, a non dargli fiducia! Non è detto che vincerebbe, non è detto che riuscirebbe a gestire determinate tensioni, non c’è nessuna certezza; fatto sta che, qualora dovesse trovare la giusta alchimia anche con i campioni, uno così potrebbe vincere scudetto e Champions col sorriso sulle labbra, senza neanche rendersi conto di ciò che ha fatto, con la beata incoscienza di un professionista dell’impossibile, un calabrone che non sa di non poter volare e dunque vola lo stesso, incurante di pregiudizi e maldicenze, ironie insensate e snobismi da due soldi.
Ti vogliamo bene, caro Davide. Forse hai sbagliato epoca. Forse sei troppo vero per questo calcio tutto business e apparenza. Per favore, rimani così. La tua vittoria più grande, difatti, è l’abbraccio sincero di chi senza di te non ce l’avrebbe mai fatta e grazie a te, invece, ha accantonato la rassegnazione e preso in mano la propria vita. Lustrini e pailettes li lasciamo volentieri ad altri. E se il prezzo da pagare per salire su certi palcoscenici è quello di snaturarsi, che si tengano pure i loro riflettori. A noi basta l’entusiasmo che riesci a trasmettere ogni volta per sentirci in pace con noi stessi e col mondo.
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