Ogni volta che la tenebra imperversa e sembra quasi sul punto di avere il sopravvento, confidiamo nel soccorso della luce. Anche Renato Pennisi, in questo poemetto allegorico articolato in sei stanze che non sarebbe dispiaciuto agli Illuministi, si dispone a guardare a tale ausilio, dal momento che si è trovato a vivere negli anni grigi e cupi seguiti alla caduta del muro di Berlino, anni di guerre, stragi efferate e scempi di ogni tipo ai danni dell’ambiente. E le luci a cui il poeta siciliano si affida sono alcuni tra i fari indiscussi della nostra letteratura, come della nostra storia, a cominciare dall’Alighieri del VI del Paradiso, di cui viene riportata una terzina come esergo, per arrivare a Pasolini e Sciascia, oppure ad amici catanesi quali Ettore Iaci o poeti come Salvo Basso. È la luce della loro stessa parola, testimoniata talora con la vita, che Pennisi ci propone quale antidoto al malgoverno, al qualunquismo, alla corruzione, alle manovre sottobanco, al razzismo, al malaffare, al primato del profitto, in una parola a tutte le colpevoli storture che stanno portando a picco il nostro Paese e il mondo intero.
Luce
di Renato Pennisi
Carabba edotore, 2024
Prezzo: euro 14,00.
È dunque un libro politico Luce e nelle sei sezioni che lo compongono si respira la stessa indignazione civile che era dei grandi Provenzali o di Dante: è trasparente, al riguardo, il parallelismo, anche stilistico, tra il canto XVII del Paradiso (ma pure, allo stesso tempo, del X e del XV dell’Inferno, nei vaticini di Farinata Degli Uberti, prima, e di Brunetto Latini, poi, assai infausti per il pellegrino), in cui Cacciaguida preannunciava al congiunto l’amaro destino d’esilio, e la sezione II di Luce [(Le profezie di Sciascia. Salvato da Alì il berbero. La donna felina)], dove è Leonardo Sciascia ad assolvere la funzione di maestro, guida e profeta: «Tieni a freno la tua ira / dal giusto essa nasce / ma non farne arma dolorosa / tienila in equilibrio / distraiti, lo sguardo volgi altrove / finché l’attimo sarà / nella quiete sciolto. / Una volta, e due e tre volte / sarai, amico mio, tradito / perché ognuno di noi è un libro / e la tua storia è un filo d’inganni» (pp. 14-15).
E sono numerose le prossimità tra l’itinerario dantesco nell’aldilà e i dialoghi del nostro con i suoi spiriti-guida nel presente, non senza qualche lontana affinità con Eliot, soprattutto nel valore allegorico di alcune figure umane o della luce e, ancor più scoperte, con Pasolini: «Due braccia forti sotto le ascelle / mi sollevarono e fu talmente / imprevedibile / il soccorso che me ne scossi / e poi nel suo petto rannicchiato / a modo di un bimbo infermo / salvato» (ivi, p. 16: sembrerebbe Virgilio che viene in soccorso a Dante, mentre si tratta di un berbero Alì). Il dissesto che il poeta denuncia con lucidità s’estende dal sociale all’economico fino all’ambiente: «il vasto mare delle cose inutili / perennemente brucia / e i veleni colano s’interrano / i liquami gli scarti / tutte le tossine / scorrono nelle pozze / i corrotti il potere che non vede / gli autori di questo matricidio / gli olî gli umori il veneficio / il distillato ultimo / dei nostri giorni / e delle civiltà / dal proficuo essere in disparte / e dalla opaca diffusa / necessità di avere» [sez. IV. (Mercanti e predicatori. Ettore. Il cimitero nella fabbrica) p. 30]. Ma i suoi strali più acuti, Pennisi li riserva all’opera dei potenti e del maligno che tutti li governa: «Porto la guerra e la violenza / e porto il buio e la demenza / sono Satana / porto la luce tossica del petrolio / porto l’atomica, i fumi fossili / la stupida potenza delle nazioni / che vinte e vincitrici / tutte oscurerò» [V. (Un politico. Nel Parlamento), p. 33].
Alle sferzate all’indirizzo di politici, opinionisti, tuttologi e comici prestati alla politica, Pennisi affianca, in positivo, l’indicazione della strada da seguire, sintetizzata in tre “rimedi”: «È la competenza la prima medicina / nata dallo studio e da costanza / strumento d’ogni agire / l’equilibrio è la seconda medicina / amicizia degli estremi / dubbio a sistema e metodo / e la pazienza è la terza medicina / forza di braccia / e fedeltà alla rotta per il mare / tranquillità del cuore» [VI. (Nello studio televisivo. Il commiato di Ettore. La distruzione del sapere. Forse una possibilità), p. 38]. Poi, da fine intellettuale, pur se quasi vinto dallo sconforto, la disanima chirurgica sulla causa prima del presente degrado, quella colpevole ignoranza che è alla radice di tutti i nostri mali: «Ma cosa fa quell’altra donna? / Sostiene libri alla rinfusa / posti nella scatola della birra / li getta a due a tre / nel cassone delle immondizie. / Da un’auto la raggiunge un uomo / un’altra cassa / altri libri lascia cadere. / Ma cosa fai? / «Tutta roba inutile di mio padre» / e leggo sulle copertine / Joyce, Cecov, Pirandello / «Tutta roba inutile / e devo fare spazio». / I sonetti di Shakespeare / e l’accarezzo lo porto al cuore» (ibidem, p. 41).
E sarà forse il caso di segnalare lo scarto stridente che intercorre tra lo spessore incommensurabile dei grandi classici e la vile natura dei luoghi a cui sono destinati (la cassa della birra o il cassonetto della spazzatura), alla pari della leggerezza con cui qualcuno se ne sbarazza, atto che evoca l’amaro epilogo di Fahrenheit 451, o roghi ancora più sinistri nella nostra storia.
Copertina: Foto di Jez Timms su Unsplash
L’articolo Il soccorso della luce proviene da ytali..