Vergogna, vergogna, vergogna!.
Nel pomeriggio del 22 maggio circa trecento studenti cafoscarini, radunati nella corte della sede centrale di Dorsoduro, hanno accolto così, tra urla e fischi, il comunicato della rettrice Tiziana Lippiello, sinologa e docente di lingua cinese classica, la quale, dopo ore di estenuante attesa, ha annunciato la mancata approvazione della mozione presentata dalla comunità accademica, respingendo le richieste di dimissioni dal comitato scientifico di Med-or e ignorando l’appello dei manifestanti, i quali ormai da una settimana occupano con le loro tende il rettorato di Ca’ Foscari e la sede di San Sebastiano:
Il senato accademico accoglie come segnali di partecipazione attiva le manifestazioni studentesche a favore della pace in Palestina. Nel corso della seduta odierna del senato accademico è stata illustrata, su richiesta di alcuni componenti del consiglio di amministrazione, una mappatura dettagliata e completa delle collaborazioni in essere, in particolare a livello di ricerca tra l’ateneo ed enti pubblici e privati dello stato d’Israele. Da questa ricognizione non sono emerse collaborazioni che si prestino ad usi militari. […] Respingiamo la logica di un boicottaggio indiscriminato e ribadiamo l’importanza della libera collaborazione tra ricercatori e ricercatrici.
In maniera analoga, anche il contemporaneo senato accademico dell’Istituto universitario di architettura di Venezia (Iuav) ha respinto, parzialmente, l’appello della rappresentanza studentesca per l’istituzione di una commissione volta a una mappatura delle università e degli enti governativi israeliani, coinvolti in rapporti di ricerca attivi con l’ateneo veneziano, che non hanno condannato pubblicamente i crimini di guerra commessi dall’Idf in Palestina. Per quanto riguarda Iuav l’assemblea è stata partecipata da circa duecento persone, le quali hanno tentato di aprire uno spazio di dialogo con il rettore Benno Albrecht.
In mattinata un nutrito gruppo di ragazzi, professori e simpatizzanti si era radunato sotto le finestre del rettorato universitario, al grido di “scendete giù!”, per un presidio cittadino, volto all’apertura di una discussione con i vertici accademici. Le richieste dei manifestanti sono state presentate al senato di Ca’ Foscari tramite un appello congiunto da parte di studenti, docenti, personale tecnico amministrativo, collaboratori ed esperti linguistici, ricercatori e dottorandi, aperto in questi giorni a sottoscrizioni per tutta la comunità accademica e arrivato a milletrecento firme. Circa il trenta per cento del personale tecnico e amministrativo dell’università ha aderito all’iniziativa. L’appello ha mantenuto salde le istanze emerse durante le occupazioni. L’interruzione dei rapporti con le università israeliane:
Che non hanno espressamente condannato i crimini contro l’umanità perpetrati in Palestina dallo Stato d’Israele,
l’inserimento nello statuto della possibilità di scindere gli accordi di ricerca con realtà coinvolte nella guerra o nell’industria bellica, la stipula di accordi con le università di Gaza e della Cisgiordania, con la creazione di borse di studio a favore della comunità accademica palestinese e infine la revisione del piano strategico di ateneo e del codice etico di comportamento:
Introducendo i principi e le pratiche dell’ethical procurement (la procedura di riscontro dell’eticità delle collaborazioni con partner esterni) rispetto ai rapporti con le imprese e con le istituzioni nell’ambito della ricerca, della didattica e della terza missione.
Diversi professori hanno scelto di scendere in piazza e appoggiare pubblicamente i manifestanti, spingendo gli studenti a continuare la propria lotta. Filippo Maria Pontani, docente di filologia classica, e Francesco Vacchiano, antropologo, oltre a essere intervenuti durante l’assemblea, si sono spesi per spingere il senato accademico ad anticipare la discussione delle richieste studentesche, che nel frattempo era stata fatta slittare dal dodicesimo al sedicesimo posto dell’ordine del giorno. Anche Marco Simionato, rappresentante del personale tecnico amministrativo e dei collaboratori ed esperti linguistici nel Consiglio di amministrazione, è intervenuto per portare il proprio sostegno all’assemblea.
I manifestanti hanno atteso pazientemente nel cortile per ore, tra bandiere palestinesi, manifesti, striscioni, interventi, letture, cori e inni storici del movimento studentesco, come Rossa Palestina, canzone composta nel 1973 da Umberto Fiori per denunciare il coinvolgimento americano nel conflitto israelo-palestinese, oltre alle politiche portate avanti da Israele. L’attesa è stata snervante e la tensione era palpabile. Tra gli studenti c’era chi premeva per tentare un’irruzione nell’edificio:
Quarantamila persone ammazzate non possono aspettare. Allora, invece che stare qui ad aspettare che scendano, tanto non lo faranno mai, raccogliamoci tutti quanti, saliamo queste scale, apriamo questa porta e diciamo in faccia a queste persone che prendono le decisioni: scendete giù!
Altri erano più titubanti. C’era il timore che la stampa potesse ricamare un ritratto violento della protesta. Alla fine, dagli organizzatori, è arrivata la proposta:
Chi sta discutendo sopra le nostre teste sa cosa sta avvenendo e sa quali sono le nostre richieste. Sta prendendo tempo invece che parlarne, quindi la nostra proposta, visto che la nostra lotta non finisce oggi, è quella di creare quaggiù un’assemblea. Un senato alternativo. Un contro-senato.
Decine di manifestanti hanno avviato il loro sit-in. Studenti, professori e personale accademico, seduti gli uni accanto agli altri attorno a una grande bandiera palestinese, hanno dibattuto per ore. Le posizioni erano differenti e i temi, certamente, complessi, ma sono stati in molti, tra i presenti, a sottolineare l’importanza del momento. Per la prima volta, il movimento studentesco veneziano è apparso unito su una stessa battaglia. “Siamo tutti un fronte comune contro un genocidio”, hanno gridato gli studenti. Non si tratta di una casualità.
Nella serata del 19 maggio si è tenuta online l’assemblea nazionale delle acampade d’Italia, promossa dal movimento Giovani palestinesi, alla quale hanno partecipato, in video-collegamento dalle loro tende, i manifestanti dalle ormai decine di sedi universitarie occupate in tutta la penisola. Sembrerebbe trattarsi di un tentativo di introdurre un coordinamento nazionale al movimento spontaneo delle “acampade”, il quale, nelle ultime settimane, è stato caratterizzato da un’eterogeneità di posizioni e attori coinvolti piuttosto evidente e, talvolta, in conflitto tra loro. Anche rimanendo nell’ambito della sola sinistra radicale, la più coinvolta nel supporto al popolo palestinese, la “galassia” di sigle e formazioni, che più o meno intensamente hanno sostenuto le occupazioni, appare già piuttosto variegata: Unione degli universitari, Fronte della gioventù comunista, Unione dei giovani di sinistra (ala giovanile di Sinistra italiana), Giovani comunisti, Link – coordinamento universitario, Cambiare rotta, a cui vanno poi aggiunte decine di sigle locali e collettivi più o meno indipendenti. Ogni occupazione presenta poi degli equilibri politici differenti, che rispecchiano il diverso radicamento di ciascuna formazione nel territorio. Si tratta di gruppi che, normalmente, si trovano spesso in contrapposizione tra loro e la mancanza di un coordinamento rischia di far naufragare piuttosto rapidamente l’iniziativa studentesca.
In questi giorni non sono mancati i momenti di tensione, anche piuttosto gravi. Si è parlato molto sulla stampa della denuncia, lanciata dai Giovani comunisti e dal Fronte della gioventù comunista, del pestaggio, avvenuto il 21 maggio all’Università di Milano, di alcuni studenti occupanti da parte di militanti di Lotta comunista, organizzazione leninista fondata nel 1965 e ancora attiva nella diffusione del proprio giornale. Uno studente sarebbe finito all’ospedale a causa dell’assalto subito. Va tuttavia chiarito che Lotta comunista – formazione settaria e da sempre guardata con diffidenza se non con sospetto nel mondo della sinistra radicale – si è spesso espressa in modo ambiguo sul conflitto in atto, schierandosi su posizioni filosioniste, e non ha mai appoggiato il movimento delle occupazioni.
Sebbene le diverse anime delle “acampade” sembrino aver tacitamente acconsentito a una “tregua”, per concentrarsi sulla battaglia comune, la difficoltà nel coordinamento di gruppi politici così diversificati rimane una sfida particolarmente complessa per il movimento, specie in un Paese come il nostro, dove alla parola “sinistra” viene spontaneo associare il termine “scissione”. Nella stessa Venezia tale scontro di posizioni è risultato evidente, con la netta divisione tra Li.s.c. e l’Assemblea studentesca per la Palestina libera, che ha portato alla particolare situazione delle tre diverse occupazioni presenti oggi in città. Tre presidi che, almeno inizialmente, non hanno manifestato un interesse a una collaborazione tra loro.
A questo “ecosistema” di gruppi e collettivi si devono poi aggiungere tutti quegli studenti indipendenti, i quali hanno partecipato alle occupazioni di propria iniziativa, senza approdarvi a seguito di un percorso politico. Sono stati proprio loro a sottolineare, nel corso del contro-senato del 22 maggio, come l’esperienza di questa prima grande manifestazione studentesca abbia rappresentato un momento di vera formazione politica e individuale. Il presidio comune, convocata mercoledì, segna quindi un cambio di rotta importante, nello scenario veneziano, con un possibile avvicinamento tra le diverse componenti politico-studentesche delle occupazioni, quantomeno nell’ottica della lotta attualmente in corso.
Ciò che si è potuto notare a Venezia, in particolare a partire da lunedì 20 maggio, è stata non solo un’intensificazione dello scontro politico tra gli studenti e i vertici accademici, sfociato nell’appello congiunto promosso dalla rappresentanza studentesca, ma anche un diverso approccio nell’organizzazione delle varie occupazioni, le quali hanno definitivamente abbandonato la spontaneità, inizialmente confusionaria, dei primi giorni per introdurre una proposta politica più strutturata. Alla sede di San Sebastiano, in particolare, le giornate del 20 e 21 maggio hanno visto una programmazione particolarmente articolata e variegata, ricca di momenti di dibattito, con ospiti e professori, ma anche di convivialità, con cene sociali o concerti di gruppi emergenti sulla scena della musica politicamente impegnata locale, come Diplomatico e il collettivo Ninco Nanco, esibitisi a San Sebastiano nella serata di lunedì 20. Anche a Dorsoduro Li.s.c. ha promosso iniziative simili, con, ad esempio, un aperitivo e jam session, nella serata del 21 maggio, volti a coinvolgere i giovani veneziani nella protesta prevista per la giornata successiva e il dibattito del 23 maggio, presso Ca’ Borin, su “Università e regime di guerra – movimenti, nuovo internazionalismo, prospettive politiche”. Non sono mancate assemblee, sessioni di volantinaggio e cortei, tutte iniziative utili sia a formare una coscienza collettiva sugli eventi per i quali si sta protestando, svolgendo un’opera di divulgazione e approfondimento di livello accademico, sia a “pubblicizzarsi” aumentando la visibilità e l’interesse intorno alla propria lotta.
Negli ultimi giorni è esplosa sui social la polemica tra gli studenti occupanti e coloro che, non partecipando alle manifestazioni, hanno voluto svolgere i propri esami in presenza. La pagina Instagram “Spotted Unive”, la quale funge da bacheca per gli studenti di Ca’ Foscari, ha pubblicato, in una serie di post, un botta e risposta tra anonimi, dai toni particolarmente accesi, che, come si può notare nei commenti, ha molto diviso la comunità studentesca. Da un lato si accusa i manifestanti di aver creato un disagio agli altri studenti, scendendo in piazza più per moda che per i propri ideali e denunciando una presunta mancanza di prese di posizione nei confronti degli accordi di ricerca con le università russe. Dall’altro dalle occupazioni si fa notare la necessità della lotta che si sta portando avanti, sottolineando la propria volontà di alzare l’intensità della protesta a fronte della sordità delle istituzioni sulla questione palestinese.
Al di là dell’analisi sulla veridicità di quanto riportato dai due commentatori, il vero spunto di riflessione che emerge da questa polemica è un altro. Vi è un evidente disagio, quantomeno in parte della comunità studentesca. Il tema sono le occupazioni che proseguono ormai da quasi due settimane, un disagio certamente del tutto normale per eventi di questo tipo, che si fondano proprio sulla creazione di una situazione scomoda per dare maggior risonanza al proprio messaggio, ma che allo stesso tempo indica una resistenza interna all’emergere di questo nuovo movimento studentesco. Se l’accusa, rivolta ai manifestanti, della mancata presa di posizione circa gli accordi con le università russe, appare fondata su presupposti lacunosi, oltre a risultare del tutto inutile, considerando che, contrariamente al caso israeliano, tali accordi sono stati terminati ufficialmente già nelle prime fasi del conflitto russo-ucraino, d’altro canto è indubbio che la spontaneità della protesta, soprattutto nella sua prima fase, e la mancanza di un vero centro organizzativo e di coordinamento, può aver influito nell’aumentare il disagio tra gli studenti, creando un danno d’immagine che dovrà essere affrontato nella nuova fase delle “acampade” che sembra aprirsi in questi giorni.
Il 22 maggio si è tenuto il senato accademico dello Iuav, il quale, analogamente a quanto accaduto a Ca’ Foscari, ha respinto parte delle richieste della comunità universitaria, nonostante lo sforzo della rappresentanza studentesca di modificare la mozione, per renderla meno controversa agli occhi dei vertici dell’ateneo. Il Senato degli studenti, organo che riunisce i rappresentanti degli iscritti all’istituto di architettura, da febbraio si era impegnato, assieme a Li.s.c. e al Collettivo cocomero, gruppo propalestinese con sede a Venezia, in una raccolta firme volta a presentare in senato accademico una mozione sul cessate il fuoco definitivo in Palestina. Il 22 maggio, ha seguito della mancata approvazione del documento, ha pubblicato sui social il seguente comunicato:
Iuav, non ci basta! Oggi si sarebbe dovuto discutere della mozione di intervento a sostegno della popolazione palestinese, condanna del genocidio e agevolazione dell’aggregazione studentesca durante il senato accademico di Iuav, dopo la costituzione di un’assemblea permanente che vive giorno e notte negli spazi universitari da sei giorni. Eppure, non tutti i punti, né il titolo della mozione, sono stati approvati dal senato accademico. […] La mozione ha subito delle modifiche sostanziali, tra le quali: il cambio del titolo, anche se non concordato, l’eliminazione del termine genocidio e la parte sui crimini di guerra, nonostante le ultime dichiarazioni della corte penale internazionale. Ci aspettavamo almeno la composizione di una commissione che portasse avanti una mappatura dettagliata delle collaborazioni tra l’Università Iuav e gli enti governativi, culturali, aziende e società connesse a Israele che non hanno espressamente condannato i crimini di guerra contro l’umanità perpetrati in Palestina. Da novembre aspettavamo una ferma posizione sul cessate il fuoco definitivo in Palestina, ad oggi, dopo le posizioni di vari atenei italiani, vogliamo qualcosa di più!
È proprio questa volontà di ottenere “qualcosa di più” che sembra spingere i manifestanti a continuare la propria protesta a Venezia anche nelle prossime settimane. La chiusura nei confronti delle richieste dei manifestanti da parte dei senati accademici della università veneziane, e in particolare della rettrice Tiziana Lippiello, rispecchia la posizione espressa dalla Conferenza dei rettori delle università italiane, riunitasi il 23 maggio. Il documento emerso dalla riunione, nonostante le numerose aperture verso i manifestanti, sottolineando la volontà di premere per la richiesta di un cessate il fuoco e per l’apertura di collaborazioni con gli studenti e gli atenei palestinesi, esprime un netto rifiuto riguardo la possibilità di recidere gli accordi di ricerca con le università israeliane, impegnandosi a:
Proseguire la collaborazione scientifica con le università straniere di ogni Paese. Interrompere gli accordi con le università significa infatti rigettare l’importanza di luoghi di riflessione, pensiero critico e confronto costruttivo. Scienza e cultura sono garanzia di liberi spazi di dialogo anche nella differenza di opinioni e visioni.
Una proposta che, sebbene su carta possa sembrare la più democratica e trasparente possibile, non convince i manifestanti e gli attivisti per la Palestina, specie se confrontata con l’apertura manifestata dalle università spagnole (lo stesso governo del primo ministro socialista Pedro Sánchez, attraverso le dichiarazioni della ministra della scienza e dell’innovazione Diana Morant, si è detto “orgoglioso” della partecipazione studentesca alle proteste). Un doppiopesismo che rischia di minare profondamente la credibilità degli atenei italiani. La volontà di mantenere aperte queste collaborazioni di ricerca, soprattutto a seguito della recente netta condanna della Corte penale internazionale, appare come un tentativo di preservare quel legame oscuro e controverso che sembra essersi creato tra le università italiane e l’industria bellica. Una posizione che, certamente, continuerà ad alimentare la fiamma della protesta studentesca.
Il 17 maggio è arrivata con un comunicato stampa anche la dura condanna da parte di Elena Donazzan, assessore regionale all’istruzione e candidata per Fratelli d’Italia alle prossime elezioni europee, nei confronti delle occupazioni studentesche:
Tutta la mia vicinanza alle Rettrici dell’Università di Padova e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, al rettore dell’Università Iuav di Venezia e a tutti i docenti e studenti che hanno subito disagi nell’esercizio dei diritti all’insegnamento e all’apprendimento a causa di violenti prevaricatori che hanno occupato le nostre Università. […] Ciascun cittadino oggi dovrebbe ribellarsi ed indignarsi di fronte a questa violenza che riporta ai tempi bui della sovversione. Sappiamo che l’unico obiettivo di questi violenti è quello di cogliere una foto, un video dove i nostri poveri servitori delle forze di polizia e dell’ordine sono costretti a difendersi passando poi per aggressori ad opera di una propaganda studiata nel dettaglio.
Una dichiarazione che non lascia spazio ad alcun tipo di dialogo con i manifestanti. Gli studenti padovani, ritenendo insufficiente la risposta dell’ateneo alle richieste presentate dall’appello congiunto della comunità accademica, già dal 18 maggio hanno deciso di smontare le tende a Palazzo Bo, per continuare la protesta in altre forme. L’occupazione si è chiusa con un lungo corteo che ha attraversato il centro di Padova. Si è quindi avviata una fase di riorganizzazione del movimento, con la creazione di assemblee ramificate nei vari distretti universitari. A Venezia, invece, la lotta, per il momento, continuerà tra le tende delle occupazioni. Dopo la netta chiusura da parte della rettrice e delle istituzioni, il movimento sembra intenzionato ad aumentare l’intensità della propria protesta. Per ora gli occhi di tutti sono rivolti alle grandi manifestazioni nazionali per la Palestina convocate per l’1 e 2 giugno.
Immagine di copertina: Presidio cittadino nella corte del rettorato di Ca’ Foscari del 22 maggio.
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