Se non ci fosse stato il suo gol, a un passo dal novantesimo, pochi istanti prima che il peruviano Yamasaki fischiasse la fine dell’incontro, Italia -Germania sarebbe passata alla storia come una delle partite più noiose che si ricordino a memoria d’uomo. L’angelo biondo della Germania Ovest, invece, pareggiò il gol iniziale di Boninsegna e i trenta minuti successivi sono valsi a quella semifinale dei Mondiali la definizione di “Partita del Secolo”.
Parliamo di Karl-Heinz Schnellinger, che se n’è andato ieri all’età di ottantacinque anni. Come per i grandi scrittori, i grandi attori e i grandi registi, c’è il rischio concreto che quella sfida ponga in secondo piano tutto il resto. D’altronde, Cent’anni di solitudine e 2001: Odissea nello spazio costituiscono capolavori difficilmente replicabili, anche se ti chiami Márquez o Kubrick e ogni tua opera è un gioiello. Allo stesso modo, neanche il mito di Düren, roccioso tedesco della Vestfalia, poteva disputare altre partite del genere. Ciò non gli ha impedito, tuttavia, di affermarsi come uno dei migliori terzini sinistri di tutti i tempi, di rendere grandi il Mantova, la Roma e, soprattutto, il Milan di Rocco, di vivere infinite avventure in Nazionale e di diventare un simbolo, una bandiera e un beniamino dei tifosi, al punto che è morto a Milano, la città che gli ha dato tutto e nella quale aveva deciso di stabilirsi.
Quando pensiamo a personaggi come lui, ci tornano in mente il profumo dell’erba, quel calcio che non c’è più, quell’allegria bambina che un tempo ci caratterizzava, la spensieratezza di quelle notti messicane in cui la guerra si era trasferita su un campo di calcio, quei figli dell’anno zero, sia da noi che da loro, che avevano saputo trasformare la rabbia in bellezza, la forza d’animo dei padri del dopoguerra e la nostra rinascita, silenziosa e vera, scanzonata e sincera, profonda come i sentimenti di cui eravamo capaci all’epoca e verso cui oggi non possiamo che provare nostalgia.
Schnellinger, quello dell’Azteca, raggiunge lassù gli altri marcatori di quella sfida, Tarcisio Burgnich, Gigi Riva e Gerd Müller (Gianni Rivera e Roberto Boninsegna, per fortuna, sono ancora qui!), come se gli dèi provassero un senso d’invidia nei confronti di noi umani che abbiamo avuto la fortuna di assistere a quel miracolo sportivo e volessero replicarlo a casa loro.
Addio Karl-Heinz! Ti abbiamo odiato per qualche minuto e poi amato senza limiti, perché quella notte ci hai aiutato a capire che si poteva anche giocare all’attacco, credere fino in fondo in noi stessi e vincere non una semplice partita di calcio ma la gara della vita, quella lotta per la dignità e l’affermazione individuale e collettiva che ormai è sparita dai radar.
Immagine di copertina: [da DFL Deutsche Fußball Liga @DFL_Official] “Grande tristezza per Karl-Heinz #Schnellinger L’ex giocatore della nazionale, che ha preso parte a quattro Campionati del mondo con la @DFB_Team ed è diventato campione tedesco con la @fckoeln nel 1962, è morto all’età di 85 anni. I nostri pensieri sono con la sua famiglia e i suoi amici.”
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