A Cagliari dovrebbero erigergli un monumento, come del resto a Firenze, a Valencia, a Londra sponda Chelsea, a Torino sponda Juve, a Roma sul versante giallorosso, naturalmente a Leicester e ovunque sia stato, negli ultimi tre decenni, a dispensare bel calcio e buonumore. Perché mister Ranieri, diventato sir Claudio dopo il capolavoro compiuto alla guida di una squadra su cui nessuno, all’inizio, avrebbe puntato una sterlina, ha compiuto una delle più grandi rivoluzioni che si ricordino a memoria d’uomo: non è cambiato, pur avendo attraversato da protagonista decenni di calcio ai massimi livelli. E ora che dice basta, che annuncia il ritiro dopo aver compiuto l’ennesimo miracolo, salvando un Cagliari che senza di lui, con ogni probabilità, avrebbe rischiato di non farcela, ora molti si accorgono di aver a lungo sottovalutato un patrimonio che andrebbe invece valorizzato al meglio, ad esempio offrendogli a esempio un posto a Coverciano. Non sappiamo, infatti, cosa voglia fare da grande questo ragazzo di settantadue anni, con la vita che splende in viso e l’entusiasmo di un ventenne.
Con la competenza che ha, potrebbe fare di tutto, compreso il commentatore, e sarebbe un toccasana in un racconto troppe volte arido e intriso di considerazioni insulse. Sarebbe bello, tuttavia, se Spalletti lo volesse al suo fianco, poiché Ranieri, con questo bel cognome principesco, appartiene a tutti e in azzurro troverebbe finalmente il riconoscimento che troppo spesso gli è stato negato. Altri chiacchieravano tanto, lui otteneva risultati; eppure, a parte alcune parentesi, nessuna grande ha mai davvero creduto in lui. Probabilmente, perché si tratta di una personalità ingombrante; forse, perché non è tipo da accettare ordini; quasi sicuramente, perché si è portato dietro, per tutta la carriera, l’assurdo pregiudizio di non essere un allenatore adatto a determinate platee.
Vero è che sir Ranieri il meglio di sé lo ha dato in provincia, là dove bisogna lottare su ogni pallone, insegnare calcio, e non solo ai giovani, e nulla può essere dato per scontato. Altrettanto vero, però, è che alla Juve ha conseguito un terzo e un secondo posto, con una squadra che veniva da Calciopoli e i berlinesi del 2006 ormai a fine carriera. Senza contare che non si viene chiamati in Spagna e in Inghilterra se non si è cultori del bel gioco, e questa probabilmente è stata una delle “pecche” principali del nostro: non aver mai accettato la logica dei risultatisti, ahinoi egemone in un Paese che non ammette i vinti e difetta di cultura sportiva. Del resto, basta vedere qualche partita del suo Cagliari, a cominciare dall’epica rimonta contro il Frosinone, quando i sardi passarono dallo 0 a 3 al 4 a 3, per rendersi conto che lui li ha portati in Paradiso senza mai rinunciare a un gioco di qualità, coniugando grinta, passione e momenti di autentica meraviglia.
E poi la persona. Ranieri è quanto di più vicino possa esistere, parlando in termini cagliaritani, a Gigi Riva, pur essendo meno schivo e più incline alla battuta rispetto al fuoriclasse che, purtroppo, ci ha recentemente detto addio. Ma, soprattutto, siamo al cospetto di un galantuomo che, dovunque sia andato, ha lasciato ricordi positivi.
Va in pensione all’età giusta. Si ferma mentre tutta Italia lo acclama e grida al miracolo, con la sciarpa rossoblu al collo e il buon sapore di un artigianato di qualità: una perfetta miscela di individuale e collettivo, dignità della persona e crescita del gruppo, affermazione dei singoli e trionfo della comunità.
sir Claudio da San Saba, nato e cresciuto nella Roma verace e poi andato a spigolare gloria nel Catanzaro di Palanca, il fenomeno di provincia che riusciva a far gol da calcio d’angolo, appende dunque la giacca al chiodo.
Ci rivedremo da qualche parte, statene certi, perché uno così all’odore dell’erba non rinuncia. E più invecchia, più torna bambino. Saggio lo è sempre stato. Anche troppo per quest’Italia che sovente predilige i cialtroni.
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