Il sindaco di Barcellona, il socialista Jaume Collboni, ha appena annunciato che l’amministrazione non rinnoverà alla loro scadenza, alla fine 2028, le autorizzazioni di casa vacanze e che non ne emetterà di nuove. La misura si affianca a un’altra importante decisione, lo stop dell’obbligo per le imprese immobiliari di destinare il 30 per cento delle nuove costruzioni a affitto sociale.
Il sindaco ha parlato di un intervento “di carattere strutturale che affronta il principale problema della città, l’accesso alla casa”. Le politiche della casa, ha sottolineato, “non hanno mai un risultato immediato” ma le due misure sono “un punto di svolta” “che aprirà un dibattito politico e sociale nella città”. La delegata del sindaco all’Urbanistica, Laia Bonet, ha detto che la città otterrà “l’equivalente di costruire diecimila appartamenti”, con l’effetto di aumentare l’offerta residenziale e calmierare i prezzi.
Il sindaco sembra colpire al cuore del problema, avviando un conto alla rovescia verso il suo azzeramento. Eppure è stata accolta anche con scetticismo dai settori che si occupano del problema della casa nella capitale catalana, non solo per la sospensione dell’obbligo di destinare a uso sociale una percentuale delle nuove costruzioni. Proviamo a capire di cosa si tratta.
Dei problemi che l’enorme crescita del turismo genera nelle città i lettori di ytali non necessitano spiegazioni. Caro affitti, eliminazione di immobili dal mercato delle lunghe locazioni, stravolgimento umano e sociale dei quartieri, cancellazione dei commerci di vicinato, sono pane quotidiano dei centri storici delle città d’arte e delle località turistiche in genere — si pensi alle difficoltà per le scuole e le attività turistiche di trovare personale che rifiuta lavori e assegnazioni non potendo sostenere gli esorbitanti costi d’affitto generati dalla domanda turistica. A Barcellona ci sono attualmente 9.600 licenze per uso turistico, con grande concentrazione in alcuni quartieri. Da tempo si parla di regolarle. Già la sindaca Ada Colau fece un primo passo nel congelare le licenze esistenti, le 9.600 già citate più alcune centinaia pendenti di ricorsi in giudizio, per un totale di circa 10.160 nel mercato legale. I numeri del mercato illegale sono difficilmente quantificabili.
Dal 2016 la giunta Colau iniziò a agire strutturalmente contro questi affitti. Oltre al congelamento delle licenze nacque uno specifico ufficio con settanta dipendenti che monitora quotidianamente le diverse piattaforme. In questi anni sono stati analizzato quasi settntamila annunci, aperto circa 23 mila istruttorie che si sono concluse con circa 9.700 ordini di chiusura attività e quasi 10.500 sanzioni pecuniarie (dati aggiornati al 2023). Ogni mese il comune chiede alle piattaforme digitali la cancellazione di circa cinquecento annunci non rispondenti alle norme.
Il fenomeno, in una città come Barcellona, è particolarmente complesso. Ci sono gruppi che controllano numerosi appartamenti, anche interi palazzi, e non si fanno nessuno scrupolo. Recentemente il comune ha emesso una sanzione di ben seicentomila euro contro quella che la polizia autonomica ha definito una vera trama immobiliare che coinvolge ben undici società, promossa da accademici ed economisti stranieri. Il gruppo aveva acquistato appartamenti — l’acquirente era un accademico straniero con curriculum e pubblicazioni scientifiche, in attivo o prossimo alla pensione — fatto opere di divisione illegali e messo sul mercato degli affitti brevi oltre settanta unità immobiliari. Ci sono poi proprietari di palazzi, privati o società, che utilizzano modalità da speculazione nel Bronx. Oltre a insediare B&B, infilano falsi occupanti in alcuni appartamenti per rendere la vita impossibile ai residenti e così convincerli a abbandonare alla scadenza dei contratti. Il proprietario di uno stabile, che copriva le sue responsabilità con finti affitti a prestanome, è stato multato di ben 460 mila euro, continuando però a operare avendo opposto procedimenti legali che ritardano l’applicazione dei divieti. Un’altra modalità è quella dei finti expat. Affabili nord europei, russi o canadesi che affittano legalmente nel mercato residenziale a lungo termine facendosi passare per professionisti che intendono trasferirsi a Barcellona per godere del lavoro da remoto o della pensione sulle sponde del Mediterraneo. Poi le divisioni illegali e l’appartamento sulle piattaforme di affitti brevi. I tempi della giustizia sono tali che, calcolate anche le multe, agli speculatori l’affare conviene sempre. Mentre i proprietari, che devono fare causa e aspettare un paio d’anni perché venga discussa, si vedono anche comminare dal comune sanzioni per le attività ricettive illegali.
La concentrazione della proprietà immobiliare è un altro problema. Secondo un rapporto dell’Osservatorio immobiliare metropolitano di Barcellona oltre il cinquanta per cento delle case sul mercato degli affitti appartengono a proprietari di cinque o più immobili, e un 14 per cento sono di proprietari di oltre cinquanta appartamenti, tra cui anche grandi gruppi finanziari internazionali. Il 35,3 per cento appartiene a persone giuridiche — amministrazioni pubbliche, imprese, enti senza scopro di lucro, istituzioni religiose e condominii — mentre il parco abitativo pubblico ammonta a appena il 3 per cento del totale. Il resto sono piccoli proprietari, da uno a cinque appartamenti. Se quello della concentrazione proprietaria è un problema generale della casa in Spagna, le grandi società finanziarie mirano alla massimizzazione dei profitti per i loro azionisti e non sono per niente dei buoni padroni di casa, il fatto che abbiano messo l’occhio anche sull’affare degli affitti turistici, che ormai interessa anche i quartieri non centrali, comincia già ad avere le prime conseguenze sugli inquilini di stabili potenzialmente utilizzabili a quello scopo, in particolare quelli in difficoltà economica.
Ma torniamo alle misure del comune di Barcellona. La Generalitat, il governo regionale, nell’ambito della sua autonomia legislativa ha emesso nel novembre 2023 un decreto nel quale dà la data di scadenza a tutte quelle esistenti, circa 28 mila in tutta la Catalogna, nelle cosiddette zonas tensionadas (zone critiche).
Le zone critiche sono una delle novità incluse nella Legge 12/2023 per il Diritto alla casa, varata dal parlamento su impulso del governo Sánchez nel maggio dello scorso anno. La norma dà alle Comunità autonome la facoltà di definire le zone a criticità abitativa e emettere norme di regolazione degli affitti, sulla base del compimento di almeno uno dei questi due criteri: che il carico medio del mutuo o dell’affitto corrisponda superi il trenta per cento della media degli ingressi o della rendite dei nuclei famigliari nella zona in questione; che il prezzo di vendita o di affitto sia aumentato nei cinque anni precedenti di almeno tre punti percentuali superiori alla percentuale di crescita dell’Indice dei prezzi al consumo della Comunità autonoma.
L’Autonomia catalana ha concesso cinque anni di validità delle licenze turistiche in essere, a titolo di rimborso, che possono essere rinnovati di altri cinque se si dimostra di aver fatto interventi di miglioramento della struttura dei quali rientrare, e ha delegato ai comuni la gestione delle nuove concessioni, imponendo alcuni paletti, il principale dei quali è di non superare il rapporto di dieci appartamenti turistici ogni cento abitanti. Una regolazione influente per Barcellona che potrebbe anzi moltiplicare esponenzialmente le licenze, se applicata nel massimo della forbice, avendo Barcellona circa 1,7 milioni di residenti che porterebbero sino a 170 mila le licenze potenzialmente erogabili restando nei termini di legge.
Collboni non fa che applicare il decreto autonomico, a sua volta basato sulla legge nazionale, evitando però di fare una regolazione e quindi arrivando alla cancellazione delle licenze. Una mossa scaltra, il comune non ha regolato quindi non ci sono atti da impugnare né norme da ricorrere; la legislazione di riferimento prevede il quinquennio, rinnovabile, come rimborso quindi il municipio è al sicuro anche su quel fronte. Ma è anche una mossa a cui non mancano criticità.
Il Sindacato degli inquilini di Barcellona è molto critico con l’iniziativa che definisce come “fumo”
La prima è nei tempi. Cinque anni, che possono diventare dieci, non sono certamente una risposta immediata, se mai ve ne possono essere, ai problemi della casa. Poi, nel 2027 si vota, nel 2028, o 2032, e potrebbe esserci un’altra giunta, nulla garantisce che la non regolazione continui. Inoltre, seppure la scelta di non normare ha disinnescato la possibilità di impugnare il provvedimento, è lo stesso decreto autonomico a essere stato impugnato dal Partido popular al Tribunale costituzionale, perché considera che la normativa agisce su competenze dello stato e vulnera il diritto di proprietà. L’associazione che rappresenta i proprietari di residenze turistiche della città, Apartur, ha inoltre già annunciato che porterà la norma al Tribunale di giustizia europeo.
La misura sembra radicale, dunque, ma ha molte incognite. La cancellazione dell’obbligo di destinazione sociale di parte delle nuove costruzioni, giustificata col basso numero di licenze richieste, non sembra andare nella stessa direzione. Se le associazioni degli albergatori sono soddisfatte quelle di inquilini e per il diritto alla casa non lo sono altrettanto. Denunciano che il problema è costituito più che dagli affitti turistici da quelli temporanei, ricordando come il Psc, assieme agli indipendentisti di centrodestra di Junts, si sia opposto a una loro regolazione restrittiva che pure la nuova legge del governo Sánchez consente. Denunciano che la vera finalità della norma è coprire la cancellazione dell’obbligo di destinazione ad affitti sociali nelle nuove costruzioni. Guardano con timore all’appoggio del Psc verso progetti, come l’Hard Rock hotel, un mega centro turistico e del gioco d’azzardo che aumentano l’offerta turistica della città.
Immagine di copertina: il sindaco Jaume Collboni annuncia le nuove misure sugli affitti brevi
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