Le elezioni europee hanno certamente ricevuto l’attenzione che meritano da parte dei principali media americani a stampa e televisivi. Sul New York Times, Washington Post, Wall Street Journal e le altre testate mainstream numerosi articoli hanno rilevato l’avanzata della destra in tutto il continente, la tenuta del centro (popolari e socialisti), analizzato le possibilità di formare una maggioranza parlamentare e quali altri sbocchi per le istituzioni europee che saranno a breve rinnovate.
L’attenzione c’è stata, ma di spalla e spesso di seconda o quarta pagina, dopo la condanna di Hunter Biden, le ultime mattane di Trump, gli echi delle celebrazioni del D-Day, i provvedimenti anti-immigrazione di Biden, la guerra di Gaza e di Ucraina, gli articoli di colore. Ciò che è mancato nei servizi dei corrispondenti esteri e degli opinionisti in patria è l’analisi dei rapporti tra Stati Uniti e Unione Europea: quali sono e come potrebbero cambiare dopo questa tornata elettorale. Le elezioni europee sono state messe in fila con le altre, di cui i media americani hanno dato debito conto, che si sono svolte nelle settimane precedenti in India, Sud Africa, Messico. Infine, più o meno con lo stesso rilievo, in Europa.
Ciò può apparire sorprendente se si pensa che al contrario non c’è evento politico di rilievo in qualunque paese europeo che non venga visto per le implicazioni che ha o potrebbe avere nei rapporti con gli Stati Uniti. Qui da noi i risultati delle elezioni europee sono stati commentati con dovizia di analisi in relazione alla politica interna ed estera americana: è Trump che ha fatto da battistrada all’Europa o viceversa? L’ascesa delle destre indebolirà il fronte occidentale filoamericano e fino a che punto, in particolar modo rispetto alla guerra di Ucraina? Quali possibilità di costruire una politica estera o di difesa comune europea distinta dalla Nato e dalla politica estera americana? Eccetera, eccetera.
In contrasto a ciò negli Stati Uniti (almeno sulla stampa quotidiana e sulle principali reti televisive) nessuno si interroga sui rapporti con l’Europa a seguito delle recenti elezioni, né si sofferma sulle opzioni strategiche che gli europei si stanno ponendo (e vieppiù dovranno porsi). Certamente nei think tank e nelle università le varie questioni vengono approfondite con la consueta expertise, ma per quel che riguarda il pubblico che legge i giornali (quindi un pubblico relativamente piccolo e informato) i rapporti Stati Uniti-Europa non sono certo al centro dell’attenzione. E ancor meno per il grande pubblico che i giornali non li legge.
La ragione è semplice e culturalmente complessa ad un tempo. C’è anche una data di inizio di questo atteggiamento in un episodio narrato dal futuro presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson all’epoca in cui era ambasciatore in Francia (1785-1789). Ad una cena ufficiale i francesi sedevano tutti da una parte e gli americani dall’altra. Il famoso naturalista Buffon discettava sugli effetti degenerativi sul corpo e sulla mente delle persone nei climi freddi e umidi d’America. Jefferson propose allora un brindisi e chiese ai presenti di alzarsi: da un lato della lunga tavola si videro gli americani alti, abbronzati e muscolosi, e dall’altro i francesi bassi, grassi e incipriati. La teoria degenerativa di Buffon e con essa la sicumera europea subirono un durissimo colpo.
Da allora questo è stato il paradigma con cui gli americani hanno guardato all’Europa: il luogo dell’origine, da rimuovere psicoanaliticamente, da mettersi dietro le spalle, da compatire anche e da aiutare nei momenti di necessità, proprio perché ci si sente superiori. Accogliendo le decine di milioni di immigrati europei, per lo più piccoli scuri e straccioni, rimanendo rigorosamente estranei alle periodiche guerre sul continente; riversando su di esso, a partire dalla fine dell’Ottocento, la immensa ricchezza della sua agricoltura e le mirabolanti invenzioni della sua industria; difendendo poi nel corso del Novecento l’Europa da se stessa e dalle sue follie totalitarie nella prima e nella seconda guerra mondiale, con un modesto contributo (modesto rispetto a quello degli europei) di soldati e un immenso contributo di armamenti; difendendola ancora per quasi cinquanta anni dalla minaccia comunista con il suo scudo atomico, i suoi soldati stazionati in tutta Europa, le sue flotte in tutti gli oceani..
Alla luce di questa loro “generosità” e di questo sottostante senso di superiorità (culturale, militare, democratica) gli americani rimasero molto stupiti e indignati quando nel 2003 molti europei si rifiutarono di sostenerli nell’invasione dell’Iraq. Per rappresaglia le signore di Washington versarono bottiglie di vino francese nelle acque del Potomac e intellettuali come Robert Kagan coniarono la formula secondo cui gli Europei vengono da Venere e gli Americani da Marte, intendendo con ciò che l’Europa è il luogo della pace, del benessere e della “dolce vita”, proprio grazie al fatto che esiste l’America “marziana” (marziale) che la difende contro le minacce esterne con le armi in pugno (proprio come lo sceriffo buono dei film western); e la guida nella politica estera impedendo che per ingenuità o avventatezza faccia scelte sbagliate.
È successo per tutti gli anni della guerra fredda, è successo di nuovo convincendo gli europei che era nel loro interesse allargarsi ai paesi dell’Est liberati e ammetterli nella Nato; è successo di recente quando gli Stati Uniti sono dovuti intervenire per frenare l’infatuazione degli europei verso la Cina e la Nuova via della seta, senza tuttavia (ancora) riuscire a bloccare il robusto interscambio economico. È successo soprattutto con l’invasione russa dell’Ucraina rispetto alla quale gli europei erano inizialmente titubanti ma, grazie alla forte opera di persuasione americana (di cui l’amministrazione Biden non cessa mai di vantarsi inserendola nel più ampio contesto della lotta delle democrazie contro i totalitarismi), adesso gli europei sono in prima fila, se non nell’invio di armi, di aiuti economici e sempre più inflessibili rispetto alle pretese russe.
In sintesi: gli americani vedono da (quasi) sempre gli europei come un junior partner, che può dare un valido contributo sulla scena internazionale a condizione che segua la guida americana, mentre invece costituisce un elemento di disturbo (ma niente più data la sua scarsa forza militare) quando se ne allontana. Questo il punto di vista americano. Ma anche quello europeo non è molto diverso nella sostanza (lo è naturalmente a parole): fare affidamento sull’ombrello atomico e convenzionale americano tutto sommato non è la peggiore soluzione. Promuovere la difesa europea? Chiedete ai polacchi e ai cechi cosa pensano del riarmo tedesco. Ombrello atomico francese? Chiedete ai tedeschi e a tutti gli europei. Fine della Nato? Il fatto è che i famosi tre obbiettivi per la sua creazione — tenere sotto i tedeschi, tenere fuori la Russia, tenere dentro l’America — sono tuttora validi e americani ed europei lo sanno bene, anche se non lo dicono allo stesso modo.
Non stupiamoci quindi dello scarso interesse americano per le nostre elezioni europee. Una potenza mondiale ha cose più importanti di cui occuparsi: contrastare la Cina, sconfiggere la Russia, riportare un po’ di pace in Medio Oriente. Insomma, governare il mondo. Il suo potenziale militare è immenso, la sua economia cresce tre volte quanto quella europea, il dollaro forte garantisce ai “marziani” che vengono in vacanza su Venere uno sconto del dieci per cento rispetto a un anno fa. C’è stato un momento, in cui l’economia europea sembrava impensierire quella americana, ma la crisi finanziaria del 2009-2011, e soprattutto il protezionismo dell’ultimo decennio hanno sventato la minaccia. Ora l’economia americana tira al ritmo del 3,5 per cento mentre quella europea ristagna sotto l’uno.
Quindi per i pochi americani che si occupano di politica estera va tutto bene. Non c’è motivo di perdere troppo tempo a seguire ciò che succede in Europa. Se poi tra qualche mese tornerà Trump sarà lui a decidere cosa fare della Nato, della Russia e della guerra in Ucraina – non certo gli europei.
L’articolo Chi decide per l’Europa? proviene da ytali..