Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Italia? La famosa frase attribuita a Henry Kissinger, a proposito di un’Europa priva di un centro decisionale con cui interagire, s’attaglia perfettamente all’Italia di Giorgia Meloni, l’Italia “a brandelli” o la “mezza Italia”, come l’ha fotografata perfettamente Elly Schlein nella discussione parlamentare sulla riforma dell’autonomia differenziata.
Ci vorranno anni perché la riforma possa essere completata ed entrare in vigore, ma intanto gli effetti politici della sua approvazione sono già enormi. Le tensioni tra le diverse parti del paese emergono con forza, ed è inutile da parte del governo pensare di sedarle, imponendo contemporaneamente il premierato, una riforma volta a equilibrare come contrappeso – è il racconto di Meloni – il maggiore potere regionale e a contenere la frammentazione che scaturisce dall’autonomia differenziata.
Sono due riforme che non hanno percorsi parlamentari e tempi paralleli e che solo in astratto possono essere considerate complementari.
Nel frattempo c’è un dato politico che colpisce molto gli osservatori europei. Come pensa, il governo, di poter disporre di una forza contrattuale maggiore sui tavoli europei, essendo l’Italia ormai percepita come un paese sull’orlo della secessione, balcanizzato, nel quale ogni singola parte cercherà una relazione in proprio con Bruxelles, cosa che già in parte accade da tempo (infatti le Regioni hanno proprie sedi presso le istituzioni comunitarie)?
Il livello d’inaffidabilità italiana, in Europa, dopo l’esultanza in aula con le bandiere regionali ostentate dai leghisti, è in evidente contrasto con l’infantile presunzione e illusione della sovranista Meloni di poter partecipare alle trattative nella Ue da posizioni di forza, di dare addirittura lei le carte, in virtù di una sua supposta vittoria elettorale (conseguita con la perdita di quasi seicentomila voti), rappresentando una nazione “a brandelli”.
La percezione di una penisola con una mappa multicolore come quelle che si trovano nei libri di storia e che illustrano l’Italia preunitaria dà corpo nuovamente a timori di possibile attrazione delle parti più prospere dell’Italia settentrionale nell’orbita di Austria/Germania e di Francia.
Henry Kissinger in realtà smentì la paternità dell’affermazione che gli è stata attribuita e mille volte ripetuta, e lo fece nel corso di un incontro pubblico, nel 2012, a Varsavia con il ministro degli Esteri polacco Radek Sikorski, ipotizzando che fosse stato un ministro degli Esteri irlandese il primo a usare l’espressione. “Non sono sicuro di averlo detto io”, dichiarò l’allora l’89enne ex segretario di Stato delle amministrazioni Nixon e Ford, per poi aggiungere: “però questa è una buona citazione, quindi perché non prendersene il merito?”.
Quella frase continua ad avere ancor oggi senso? Sì, molto meno però che in passato, a dispetto del periodo molto travagliato che attraversano l’Europa e le sue istituzioni. Che hanno saputo resistere bene all’uscita del Regno Unito. Ma ora è la sorte di un altro paese membro, tra i fondatori peraltro dell’Unione, a impensierire, a mettere alla prova la tenuta dell’edificio europeo, con una riforma che ne mette seriamente a rischio la relazione con la UE.
L’articolo Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Italia? proviene da ytali..