È stato bello e utile leggere il libro di Paolo Franchi L’irregolare. Una vita di Gianni De Michelis (Marsilio Editore).
Bello perché ha ridato fiato alla mia memoria appannata dal tempo e dalla quotidianità delle finte informazioni a buon mercato elargite nei social per palati deboli e fragili.
Utile perché, secondo me, ha restituito qualcosa a Gianni De Michelis.
Cosa?
La dignità del pensiero e delle scelte.
Paolo Franchi bisogna conoscerlo.
È persona che la politica l’ha vissuta negli anni in cui era “eroica” mentre poi l’ha letta e descritta con grande autorevolezza nei suoi momenti successivi, normali o straordinari che fossero.
Paolo ha sempre saputo cavarne un succo gustoso che mediava tra i fatti, i personaggi ed il suo stesso modo di vedere e di intendere realtà e pensieri.
A dir il vero non sono mai stato capace di leggerlo senza pensare che queste sue capacità le avrei volute vedere nella politica vera e non nel suo racconto.
Ma è andata così.
Gianni De Michelis è stato mio collega in Consiglio Comunale a Venezia.
Un Consiglio che era un concentrato di valori, di esperienze, di progettualità.
Visentini tra i repubblicani, Pellicani e Paolo Cacciari tra i comunisti, Degan e Longo a guidare i democristiani fino a Gradari, Luciani e Premoli rispettivamente nell’MSI, in DP e nel PLI, solo per citarne alcuni.
Gianni veniva poco in Consiglio ma quando c’era si sentiva.
Ed era una “chiave” per capire le cose.
Rispettatissimo da quasi tutti e temutissimo da molti.
Con lui valevano solo i superlativi, in positivo o in negativo.
Non ho guardato e ascoltato mai solo lui. Guardavo i suoi compagni del PSI che amandolo o odiandolo lo seguivano sempre.
Tutti e in tutto.
In ogni sua parola o gesto.
E così anche molti altri, per rispetto, interesse e stima, tra cui la persona che più sentivo vicina, Gianni Pellicani, il comunista vice sindaco.
Molti anni dopo De Michelis – cosa rara – ammise di aver avuto torto a non permettergli di fare il Sindaco della Città.
Gianni De Michelis, Gianni Agnelli e Giovanni Spadolini all’inaugurazione della mostra Arte italiana a Palazzo Grassi (1989) (photo Gorup de Besanez, Wiki Commons)
Quel che scrive Paolo Franchi trova in me due reazioni contemporanee.
Da una parte collegate alla mia militanza nel PCI che con il PSI collaborava e competeva a sinistra e dall’altra al mio essere “collega” in Comune ove si potevano cogliere gli aspetti politici certo ma anche quelli più personali, della quotidianità.
E qui il libro è molto importante.
Restituisce a Gianni De Michelis una vera e forte autorevolezza.
E lo fa non negando l’altra parte di Gianni, quella della vitalità e degli eccessi.
Ma integrandola come parte “naturale” del suo carattere: appunto, “l’Irregolare”.
C’è una parola che io accomuno al leader socialista ed è “sparigliare”.
Si usa giocando a carte e significa sostanzialmente “scompagnare una situazione, un gioco”.
Gianni “sparigliava” di continuo le carte ma non per fare il “bastian contrario”.
Lo faceva perché aveva in testa un destino, un progetto.
E tu potevi avversarlo ma non negarne la dignità e la forza.
Tutto il libro di Paolo Franchi segue questo percorso tracciando le fila di una vita tutt’altro che casuale.
In cui studio e progetto si intersecano sempre con la “sfida” desiderata, cercata in prima persona.
Lo sguardo di Gianni non era sempre facile a sopportare.
Ti misurava dandoti la sensazione sbagliata ma poco piacevole del disinteresse.
Direi che in questo era spietato e pronto a cogliere le contraddizioni e i limiti del tuo pensiero.
Non aveva certo bisogno di quei nani e di quelle ballerine che gli furono poi attaccati addosso confondendo immagine con sostanza.
E vivere le passioni politiche, i rapporti con il movimento operaio, l’interesse per le vicende internazionali attraverso il racconto che il libro intreccia nelle sue pagine è importante perchè restituisce il senso più profondo di un uomo protagonista del secondo Novecento.
Un testo onesto che non aggiunge e non toglie “senso” alla sua figura senza motivo.
Che racconta senza ferire.
Che non si accontenta dei bisbigli manichei.
Forse ne esce un po’ di tristezza per ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato.
Paolo Franchi sceglie un modo tutto “suo” per farlo.
Il soggetto vero è la storia di quel che accadde in quegli anni e che Gianni De Michelis percorre affiorando da protagonista tutte le volte che ha senso, che ve ne è motivo.
Direi un “protagonista naturale”.
E Paolo questo metodo lo usa con ragione.
Era l’unico modo per guardare alla realtà senza confondersi nei pettegolezzi, negli scherzi di carnevale più o meno veri e da tempo seminati.
E ciò funziona con grande ragione nel libro.
Forse con qualche “pecca” sulla Venezia di De Michelis che fu più amara per Gianni di quanto si racconta ed in cui il suo protagonismo fu meno forte e più fallace di alcuni interessati ricordi.
Ma sono appunti marginali perché ciò fu solo piccola parte del De Michelis che impariamo a conoscere e che il libro ci racconta.
Infine una nota su un tema conosciuto.
Sono felice che il libro racconti in maniera seria, concreta, breve e precisa di ciò che accadde a Gianni De Michelis con tangentopoli.
E non solo perchè di fronte a decine di accuse documenta le poche condanne.
Ma perchè così facendo non sfugge alla verità di ciò che fu ma evita che questa parte della vita di un uomo irrompa totalizzante nel giudizio sulla sua storia.
Gianni De Michelis non se lo sarebbe meritato.
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