
L’espressione “Mediterraneo allargato” – al centro dell’ottimo convegno organizzato il 15 giugno scorso a Venezia da Fondaco Europa – indica un nodo geopolitico di straordinaria attualità e portata storica.
Non solo per l’accumulo di crisi in atto in quest’area, di qualità diversa ma tutte di rilevanza globale (il conflitto israelo palestinese; il disastro economico e sociale di Libia, Algeria e Tunisia; le ambizioni della autocrazia turca; la pirateria Huti, l’Iran, il conflitto russo-ucraino…) e per l’esodo di popoli che tutto questo innesca, con la speculazione che lo gestisce.
Ma perché, al tempo stesso, il Mediterraneo mantiene la sua forte centralità economica e resta uno snodo imprescindibile per il transito delle merci tra Asia e Europa (e viceversa): saperne cogliere la dimensione allargata può rispondere alla necessità di definire una strategia di convivenza e di dialogo, indispensabile per governare la dimensione globale e per evitare una deflagrazione che potrebbe facilmente tradursi in una globale catastrofe.
In tal senso, il Mediterraneo (meglio appunto se “allargato”) può tornare a essere, per la sua storia e per la sua condizione geopolitica, un luogo privilegiato di ricerca e sperimentazione di una strategia “pacifica”.
Come scriveva Braudel, il Mediterraneo è
mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre (…).
Questa affermazione induce a pensare che tra Europa, Asia e Africa di Mediterraneo non ne esista uno solo, ma anzi, di mediterranei (al plurale!) di mari in mezzo alle terre fra loro comunicanti, ce ne siano tanti.
Fino a un certo punto distinti e distinguibili, e poi fusi in un solo bacino liquido che raccoglie, inesorabilmente, anche i territori che lo abbracciano in un unico destino…
Se così è, dobbiamo saper riconoscere e valorizzare le specificità dei distinti mediterranei, ma al tempo stesso impegnarci di più perché si realizzi un progetto unitario – pacifico e “unificante” – esplicitamente rivolto al futuro.
Con riferimento al primo aspetto – le diversità e le specificità – è del tutto comprensibile che tra Paesi e regioni diverse si sviluppino differenti percezioni. Ma al tempo stesso è singolare – e interessante – che ciò accada anche all’interno, in aree diverse del nostro Paese.
Mi trovo a sperimentarlo facilmente, facendo la spola tra Venezia e Napoli.
Nelle due città, mediterranee entrambe, la direzione dei rispettivi sguardi è infatti specularmente rovesciata.
La proiezione economica e culturale di Venezia, e del Nord Est, è naturalmente rivolta verso Nord, verso l’Europa centrale e quella dell’Est.
E quando da Venezia si pensa al Mediterraneo, ci si rivolge spontaneamente all’Adriatico, si costeggiano i Balcani fino a Corfù, all’Egeo e più oltre, a Sud Est.
A Napoli, e nel Mezzogiorno tirrenico, si guarda invece spontaneamente verso Sud e Sud Ovest. Al canale di Sicilia, al Nord Africa, virando verso Gibilterra.
La collocazione geografica orienta e le distanze decidono: tra Venezia e Napoli ci sono 725 km, mentre tra Napoli e Tunisi 640.
A Napoli si respira il vento dell’Africa del Nord, cui si guarda con attenzione rinnovata come occasione di crescita e sviluppo. Nella sensazione che le crisi che attraversano il Mediterraneo siano un problema politico di oggi e che, dalle soluzioni che necessariamente si troveranno, possano derivare opportunità inedite di relazioni e sviluppo.
Soprattutto perché l’economia meridionale (non solo napoletana) sta vivendo una congiuntura espansiva.
Gli investimenti crescono del quattro per cento sul 2022 e del 17 per cento sul 2019. E nel primo trimestre 2024 (dati Istat) l’occupazione cresce al Sud, dell’1,3 per cento, contro lo 0,9 del Nord e lo 0,6 del Centro Italia.
Questi dati non risolvono il gap con il Nord, che resta alto, ma la spinta a guardarsi attorno e fuori da sé diventa normale. E la “vicinanza”, l’occasione più prossima per il Sud è, ovviamente, proprio il Nord Africa.
Potremmo dire che la sponda Sud del Mediterraneo potrebbe rappresentare quello che è stato l’Est Europa per il Nord Est italiano dopo la caduta del muro di Berlino…
Ma, diversamente da quella esperienza, in un’ottica di collaborazione sulla qualità, più che di sfruttamento delle differenze salariali e normative più vantaggiose.
In questa ottica, la prospettiva più efficace è rappresentata dall’allungamento delle filiere produttive italiane verso uno sviluppo di produzioni integrate con le industrie emergenti nei Paesi nord africani.
Si pensi all’agroalimentare, alla manifattura e, in chiave molto innovativa, alla tecnologia informatica e digitale, che per esempio a Napoli sta avendo uno sviluppo senza precedenti…
Esiste poi il grande problema dell’approvvigionamento energetico, soprattutto per liberarsi dalla dipendenza russa, che dovrebbe rappresentare anche l’occasione per investire di più verso le rinnovabili che non verso il fossile…
A sostegno di questa linea si stanno sviluppando progetti di integrazione tra le università napoletane (Napoli ha cinque Università!), campane e del Sud con quelle tunisine, algerine, marocchine…
Questo fervore di relazioni poggia su basi storicamente consolidate. Non è casuale che una delle più importanti istituzioni cittadine, molto cara ai napoletani, si chiami “Mostra d’Oltremare”. Retaggio di improbabili avventure coloniali del ventennio ma, rigenerato, buon esempio della prospettiva verso la quale si può guardare oggi…
In questo scenario, pesa l’assenza di un attore fondamentale. Si avverte, cioè, la mancanza di una strategia europea sul Mediterraneo.
Napoli, che è l’ottava metropoli europea (e la prima d’Italia per numero di giovani!) e ha una raffinata e consolidata cultura internazionale, sente particolarmente questo vuoto.
L’assenza di una strategia europea sul Mediterraneo, che vada oltre la sola gestione dei migranti (peraltro del tutto inadeguata!) rappresenta un handicap che l’Italia non può affrontare da sola.
L’Italia, però, ha il dovere di provarci, anche per la sua particolare condizione geografica di piattaforma naturale al centro del Mediterraneo, primo approdo per le navi che escono da Suez e che possono essere, perciò, intercettate, consentendo loro di risparmiarsi un lungo viaggio fino a Rotterdam o Anversa.
Per questo motivo, l’Italia può anche fare da catalizzatore dei Paesi europei che sul Mediterraneo si affacciano. Purtroppo, però, il piano Mattei predisposto dal governo Meloni, ambizioso (e costoso), sembra più determinato dalla urgenza di gestire (per rallentare!) l’immigrazione che da una strategia di crescita condivisa…
Resta il fatto che il silenzio dell’Europa priva qualsiasi ragionamento della cornice necessaria.
Insieme a un piano “nazionale”, è necessaria anche una azione politica decisa per sensibilizzare l’Europa sulla importanza fondamentale di una visione mediterranea.
La radicata presenza russa, ma ancor di più la pervasività cinese, che sta già controllando una significativa parte del traffico marittimo e dei porti, mentre sviluppa investimenti in tutta l’Africa, non si argina con la disdetta della via della seta, decisa dal governo italiano, ma con un piano europeo di investimenti.
Come il NGEU ha messo in moto l’economia europea del dopo Covid, così bisogna pensare a un PNRR per il Mediterraneo.
In tal modo le specificità sono salvaguardate, ma possono essere ricondotte a quella visione globale sulla coesistenza, la pace e lo sviluppo congiunto che rappresenta la sola speranza per il futuro e che può trovare nel Mediterraneo la sperimentazione più concreta.
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