L’Europa è timida, priva di un vertice politico capace di unificarla, priva di una politica estera riconoscibile, e di un parlamento con poteri adeguati al suo carattere rappresentativo, di una politica economica ed industriale efficace, priva ovviamente di un esercito, nonostante gli avvertimenti USA. In cui l’Italia gioca a fare la parte che nella nostra penisola hanno giocato gli staterelli preunitari del primo ottocento.
È per reagire a questa situazione che andiamo a votare l’8 e il 9 giugno. Ormai vicinissimi. Sarebbe bello lo facessimo avendo letto il libro di Paolo Valentino, Nelle vene di Bruxelles. Storie e segreti della capitale d’Europa (Solferino Editore 2024), gradevolissima introduzione a una città, e soprattutto efficace racconto della nostra Unione dal di dentro, delle persone che ci lavorano, delle passioni che le muovono, e dell’importanza veramente – ed incredibilmente – mondiale delle decisioni che producono. Se vogliamo che in quelle decisioni conti di più il Parlamento europeo, che scegliamo noi con le nostre preferenze, votiamo chi vuol far crescere l’Unione, non soffocarla bambina.
Nel leggere Paolo Valentino si comprende come stia avvenendo che la Commissione (composta da 27 Commissari, uno per paese), che è stata il motore del progresso delle istituzioni europee, sia ora sminuita nel peso e nell’iniziativa. E tuttavia resti il luogo in cui (con i suoi trentamila funzionari) si costruisce l’antropologia europea, in cui si capisce che è possibile individuare un interesse comune europeo alla fine più vantaggioso dei singoli interessi nazionali. Difficile? Si, ma pensate a quante difficoltà sono state superate fin qui, dal 1957 (firma del Trattato di Roma).
Volete un esempio in negativo di che cosa significa costruire un’antropologia europea? Un interesse comune che supera i singoli interessi nazionali? Salvini, riferendosi al presidente italiano della Commissione, disse: “Gioca con la maglietta di un’altra nazionale”. A parte l’offesa (essere venduto agli interessi di un altro paese), significa non capire che in quella sede, l’Europa, è all’interesse comune che si deve guardare. Ma tant’è, ci sono e restano coloro che dell’Europa sono nemici.
Smettiamo di occuparcene e guardiamo invece a quella parte del libro di Valentino che mette in rilievo lo straordinario potere che già oggi l’Unione europea ha, pur con tutte le sue manchevolezze.
Il potere di regolare i mercati mondiali. Di dettare le regole per il loro (relativo) miglior funzionamento. Come si devono condurre le transazioni commerciali. Le regole della concorrenza. Gli standard di protezione ambientale, di sicurezza alimentare, di protezione della privacy, e molti altri.
È l’Unione a stabilire in che modo il legname deve essere raccolto in Indonesia e il miele prodotto in Brasile. Quali pesticidi possono usare i produttori di cacao nel Camerun, quali sostanze chimiche possono essere usate nei giocattoli made in Japan, o quali macchinari dalle aziende casearie in Cina. Si chiama: The Bruxelles Effect.
Ma, il mercato regolato dall’UE non è quello interno? Ovvio che sì, la diffusione mondiale è l’effetto della dimensione e dell’attrattività del mercato dell’Unione: cinquecento milioni circa di consumatori consapevoli. A questo mercato – che supera quello degli Stati Uniti – non è possibile rinunciare, assolutamente impensabile. Quindi si applicano le regole europee, scusate se è poco.
E questa colossale macchina umana dovrebbe essere buttata alle ortiche?
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