Una storia di inventiva e di sconvolgenti trasformazioni, quella a cui Tracy Chevalier rivolge il suo sguardo poetico e il suo amore per la ricerca minuziosa: una saga familiare muranese che abbraccia um arco di cinquecento anni. The Glassmaker (Il Vetraio) è un romanzo di splendida fattura che svela l’arte tramandata nel tempo della lavorazione del vetro di Murano attraverso la vita di Orsola Rosso, una coraggiosa creatrice di perle del XV secolo, inizialmente costretta a lavorare alle sue creazioni in segreto. Anche se distanti solo trenta minuti di “voga dura”, sono ben distinti tra loro i mondi di Venezia e Murano, secoli di rivalità, cultura, relazioni che sono esplorati sullo sfondo della lavorazione artigianale del vetro.
Dalla prima volta che hai visitato Venezia a oggi, dopo aver scritto “The Glassmaker”, come è cambiato il tuo rapporto con Venezia e Murano?
Ho visitato Venezia per la prima volta nel 1993 e ho trascorso lì la mia luna di miele nel 1994. Da allora ci sono stata diverse altre volte, in particolare per andare alla Biennale d’Arte ogni due anni. Ho quindi un lungo rapporto con la città. Tuttavia, la situazione è parecchio cambiata da quando ho iniziato a scrivere The Glassmaker. Succede sempre quando faccio ricerche su un libro: imparo tantissimo su un argomento che non conoscevo in modo approfondito.
Un tempo ci venivo da turista, a Venezia. Ora ho una comprensione molto migliore della sua storia e delle sfide che ha di fronte oggi. Ad esempio, non sapevo che sono centinaia d’anni che Venezia è assediata dal turismo. Pensavo fosse un fenomeno più recente. Inoltre non avevo realizzato che Napoleone aveva consegnato Venezia agli austriaci, che la governarono per cinquant’anni nel corso del XIX secolo senza comprenderne la natura, portandola quasi alla rovina.
È stato bellissimo conoscerla meglio, Murano. Prima di scrivere questo libro, ero stata un paio di volte a guardare le dimostrazioni del vetro che sono organizzate a beneficio dei turisti. Durante i viaggi di ricerca ho soggiornato lì e ho conosciuto la Murano della vita quotidiana – com’è dopo che i turisti se ne tornano a casa (tranquilla!), com’è la gente. Ho stretto amicizie e ho visto di più dietro le quinte della produzione del vetro, la sua realtà, non solo la parte spettacolare per i turisti. È stato motivo di fascino e di piacere.
Quando hai rispolverato i depliant sulle perline che ti erano stati regalati e hai poi iniziato a conoscere la storia delle impiraresse di Venezia, cosa ti ha acceso la scintilla che ti ha fatto decidere che proprio la vita delle donne e dei vetrai muranesi sarebbe stata al centro del tuo nuovo libro?
Quando visiti Murano, di solito vedi uomini che lavorano il vetro. Ciò che ho appreso dai depliant sulle perline è che le muranesi sedevano al tavolo della cucina lavoravano creando perline con la fiamma – chiamate lavori a lume – per integrare il reddito familiare. Gravito su storie meno conosciute, spesso di donne che lavorano silenziosamente nell’ombra. Una volta che ho scoperto questi lavori a lume, e più tardi le impiraresse – donne che infilavano minuscole perline per prepararle per la spedizione – ho capito che avrei voluto scriverne.
Ho letto che inizi a scrivere i tuoi libri a mano, e che scegli un taccuino speciale per ogni progetto. Qual è il taccuino che hai scelto per “The Glassmaker”?
In realtà, ho smesso di scegliere quaderni speciali e ora uso solo quello che mi trovo a disposizione, purché la carta non sia a righe (Sono davvero pignola!). Scrivo ancora a mano, però, e alla fine della giornata digito al computer tutto ciò che ho scritto. Preferisco la sensazione tattile della penna sulla carta. Il computer, per quanto utile per l’editing, sembra troppo moderno e duro per scrivere di cose come la Venezia del XV secolo.
Sembra un libro esperienziale per via del “tempo alla Veneziana” che lo informa portandoci attraverso cinquecento anni di storia con personaggi avvincenti che invecchiano, ma solo nel naturale scorrere della vita. Come mai questa storia si è prestata a una manifestazione così magica del tempo?
Quando ho iniziato a scrivere il romanzo, sapevo che volevo raccontare tanto la storia di una famiglia quanto la storia di una città. Entrambi sembravano richiedere un lungo arco di tempo anziché solo pochi anni, se non addirittura cinquant’anni. Ma sapevo che i lettori avrebbero voluto restare con gli stessi personaggi: avrebbero cominciato a interessarsi a Orsola Rosso e alla sua famiglia, e avrebbero voluto sapere cosa succede a loro, non ai loro discendenti. È difficile per i lettori fare il salto e prendersi cura dei pro-pro-pronipoti! Eppure Venezia è cambiata così tanto in cinquecento anni, pur conservando la sua bellezza unica, e proprio di questo volevo occuparmi.
Ero perplessa su cosa fare e una notte a letto ho pensato: “Perché dovrebbero morire?” “Perché non lasciarli vivere attraverso i secoli?’ Mi trovavo a Venezia quando ho avuto questi pensieri, quindi m’aveva contagiato forse un po’ della magia senza tempo della città! Questo può farlo sembrare un libro di fantasia, ma in realtà è molto realistico. La famiglia fa semplicemente salti temporali.
È stato un piacere imbattersi in personaggi familiari, le famiglie di maestri vetrai Barovier e Seguso, uno sbarazzino Casanova, l’eccentrica marchesa Luisa Casati e l’imprenditore del vetro Antonio Salviati. Con cinque secoli da esplorare, in un romanzo storico, come hai fatto a decidere quali sarebbero apparse le vere personalità veneziane?
Mi è piaciuto inserire persone reali nella storia, per conferirle verosimiglianza. Sapevo di voler ambientare una sezione in ogni secolo, a partire dal 1400, quando Venezia era al suo apice. Ho pensato a ogni secolo e a ciò che era più importante toccare: la peste, Venezia come meta del Grand Tour, Napoleone e l’occupazione austriaca, la Prima Guerra Mondiale, l’aqua granda e il Covid. Poi ho capito quali persone reali, famose e interessanti, avevano un legame con Venezia a quei tempi, e come avrei potuto inserirle nella storia. Da qui Maria Barovier, che ha inventato la famosa perla rosetta, Giuseppina Bonaparte, che visitò Venezia nel 1797, Casanova, Luisa Casati. Mi è soprattutto piaciuto scrivere di questi ultimi due, mi sono così divertita con la loro decadenza.
Quando Orsola inizia a imparare a creare perline, avvertiamo la sua impazienza, la sua frustrazione, poi, man mano che s’impadronisce del mestiere, sentiamo la sua soddisfazione. Da Alessia Fuga hai imparato il lavoro a lume. Come è stato di sostegno alla tua capacità di raccontare il percorso creativo di Orsola?
Mi piace sempre, se possibile, fare quello che fanno i miei personaggi, perché così è molto più facile descriverlo. In passato ho provato a dipingere, a tessere, a scovare fossili, a fare la trapuntatura, il ricamo. A Murano sono andata due volte da Alessia Fuga, bravissima artista del vetro e paziente maestra, per imparare a realizzare le perle. Mi ha fatto capire quanto sia difficile controllare il vetro! Sono stata anche in grado di intrecciare certi dettagli specifici dell’esperienza. Ad esempio, Alessia mi ha detto che un modo per esercitarsi a maneggiare il vetro fuso è spostare il miele da un bastoncino all’altro. Ci ho provato prima io, e poi l’ho fatto fare a Orsola.
Sei una maestra nelle minuzie che conferiscono una superba autenticità alla tua storia. Niente sfugge alla tua attenzione. Dalle cupole di vetro della maschera del medico della peste al profumo inebriante dell’attar di rosa e un misterioso zendale di seta nera, sono meravigliosi dettagli che vividamente riportano in vita il passato. Qual è il tuo processo di ricerca sugli elementi storici dei secoli passati?
Su certi temi si è scritto poco. Venezia è l’opposto: ci sono migliaia di libri sulla città. La difficoltà è stata quella di trovare quelli giusti da leggere! Ho chiesto agli esperti, ho letto e preso appunti, sono andata nella rete e ho girato tra i tanti buchi veneziani. Non c’è niente di meglio che andare in quei posti, però. Ho fatto diversi viaggi (e ne avrei fatti di più se non fosse stato per la pandemia!). Sono andata in giro, ho fatto domande, ho scattato foto. Alla fine di ogni giornata prendevo appunti, anche se non riuscivo a descriverli a parole: si trattava di assorbire le sensazioni del luogo e delle persone. Sparsi durante la ricerca c’erano quei piccoli dettagli che ho notato e talvolta utilizzato. (Non sempre: faccio molte più ricerche di quante il lettore possa accorgersene.) È difficile spiegare la magia che scatta durante la ricerca, ma è quella che dà vita alla storia e talvolta ne è la fonte. È la parte del processo che preferisco.
Sia Venezia sia Murano sono inseparabili dall’acqua. Nel libro, le barche sono utilizzate come mezzi di trasporto: gondola, traghetto, sandalo, peata e caorlina. Come è cambiata la tua percezione della voga quando hai imparato a remare con Nan McElroy (Row Venice) e hai sperimentato la visione della città muovendoti sull’acqua?
Sono sempre stata affascinata dallo strano modo in cui i gondolieri remano. Nel romanzo lo descrivo come una zuppa che si mescola in modo non uniforme. Sembra non vada in profondità eppure spinge così bene la gondola. È difficile da padroneggiare e avevo bisogno di rendermene conto da sola. Nan mi ha portato a bordo di una batellina, una barca a fondo piatto un po’ più facile da controllare di una gondola, ma pur sempre difficile! È una grande insegnante e abbiamo riso molto. Sulla barca ero così impegnata a cercare di usare correttamente il remo e a mantenere l’equilibrio che non riuscivo neppure a guardare gli edifici! Ma sono stata sulla barca di un amico, nei canali, e sono anche andata in kayak, e poi ho potuto rendermi conto di come in realtà Venezia sia stata costruita attorno all’acqua. Un tempo gli ingressi principali degli edifici erano sull’acqua e la gente si spostava più sulle barche che a piedi, e questo appare chiaro quando si è nei rii.
“The Glassmaker” eleva il lavoro dei produttori di perline ma anche degli infilatori di perline. La luce splendente delle tue pagine illumina queste tradizioni e l’importanza delle perle veneziane nel corso della storia. Pensi che contribuirà a cambiare la nostra percezione di questo bellissimo mestiere artigianale e del lascito delle donne di Venezia e Murano?
Be’, penso che la percezione stia già cambiando. Nel 2020 l’UNESCO ha incluso le perle di vetro nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, un riconoscimento ufficiale dell’importanza storica e culturale delle perle. Sarò felice se The Glassmaker contribuirà a consolidare questa reputazione che cresce.
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