[PARIGI]
La sinistra francese è riuscita a negoziare la suddivisione delle circoscrizioni. Anche se c’è un rapporto diverso in termini di peso politico ed elettorale, La France Insoumise (LFI) ha ottenuto un maggior numero di circoscrizioni. Il partito di Mélenchon ha negoziato 229 circoscrizioni, rispetto alle oltre 300 del 2022. Secondo il Parti Socialiste (PS) che ottiene 175 circoscrizioni e ne aveva 70 nel 2022. Stabile il Partito Comunista (PCF) con 50 circoscrizioni, mentre gli ecologisti (EELV) hanno visto scendere il loro numero di candidature dalle 100 del 2022 alle 92 nel 2024.
I problemi hanno riguardato poi quali circoscrizioni assegnare ai partiti.come il caso di Parigi dove la sindaca socialista Anne Hidalgo, che ha avversato la Nupes, la coalizione di sinistra che si è presentata alla legislative del 2022, voleva che più circoscrizioni fossero assegnate ai socialisti che in effetti avevano ottenuto risultati migliori alle elezioni europee rispetto a La France Insoumise.
Chi candidare per le circoscrizioni assegnate è spettato poi ai singoli partiti. E qui ci sono state enormi polemiche e colpi di scena che hanno fatto passare in secondo piano le proposte del Nouveau Front populaire e rimesso al centro del dibattito politico la gestione padronale de La France Insoumise da parte di Jean-Luc Mélenchon.
Un primo caso è quello della ri-candidatura del deputato uscente dell’LFI Adrien Quatennens nella regione Nord. Quatennens, considerato più volte come il successore di Mélenchon, è stato condannato per violenza domestica. All’epoca era stato anche difeso direttamente dal leader Mélenchon, a cui è vicino, creando enormi polemiche sul “doppiopesismo” di un partito che aveva sostenuto le ragioni del movimento #MeToo in Francia. Quatennens aveva chiesto qualche giorno fa in un appello pubblico il sostegno delle associazioni femministe, domandando di fidarsi di lui. Verdi e socialisti hanno espresso “riserve” sulla candidatura e non gli daranno il loro logo ma non metteranno nessuno contro di lui. Dopo tutto è una circoscrizione LFI e LFI decide chi corre, hanno fatto capire dal partito di Mélenchon.
Il secondo caso riguarda le “purghe” interne al partito di Mélenchon. La commissione elettorale di LFI che ha candidato Quatennens, un fedelissimo di Mélenchon, ha anche deciso di escludere dalle candidature cinque deputati, tre dei quali sono molto popolari e molto mediatici. Questi deputati sono entrati in collisione con Mélenchon nei mesi scorsi per aver sostenuto una linea più unitaria con gli altri partiti di sinistra e criticato la strategia di Mélenchon. I tre più noti – Raquel Garrido, Alexis Corbiere e Danielle Simonnet – hanno scoperto nella serata di venerdì di non aver ricevuto l’investitura dal partito a cui sono iscritti
Un’oscura commissione elettorale dell’LFI ha deciso di non investirmi come candidato. Una punizione per aver espresso una critica interna. Vergogna
ha scritto Alexis Corbière su X, il social una volta noto come Twitter, affermando di essere “ovviamente ancora candidato”.
Anche la sua compagna Raquel Garrido si è lamentata sul X di essere stata costretta a
pagare per il crimine di lesa maestà a Mélenchon. Vergognati Jean-Luc Mélenchon. Questo è un sabotaggio. Ma io farò di meglio. Faremo meglio. Metodi disgustosi
Simmonet ha invece scritto:
Mentre cercavo di riunire centinaia di cittadini nella mia circoscrizione questa sera, per email, come quattro altri compagni e senza nemmeno una telefonata, ho appreso che non sono stata candidata.
Anche altri due deputati uscenti – Hendrik Davi e Frédéric Mathieu – non sono stati ri-candidati.
Gli esclusi hanno comunque detto resteranno candidati, anche senza l’etichetta del Nouveau Front Populaire. Una purga – come è stata definita dagli interessati e dalla stampa – che ha costretto i partiti alleati ad intervenire per il danno d’immagine che sta creando. La leader dei EELV Marine Tondelier si è detta “estremamente scioccata”, ha denunciato “la purga” e ha riunito la direzione del suo partito. Il segretario del PS, Olivier Faure, ha accusato La France Insoumise di “infangare” la coalizione con “decisioni irresponsabili” e si è messo a lavorare per “risolvere la scandalosa esclusione”. Senza successo. “Nessuno è candidato a vita” ha risposto loro il leader LFI. I deputati esclusi quindi correranno nella loro circoscrizione contro i candidati ufficiali de La France Insoumise.
La questione di fondo è il peso di Mélenchon e il ruolo che gioca nel suo partito e nella sinistra francese. In palio ci sono la successione, anche se Mélenchon non sembra avere intenzione di lasciare la guida di LFI, il movimento da lui creato. Ma in gioco è anche l’immagine della coalizione: Mélenchon non è amato da una parte dell’elettorato di sinistra e temuto dagli elettori in generale.
La preoccupazione è che possa essere un elemento di debolezza per la coalizione. Tanto che l’idea che Mélenchon possa candidarsi nella circoscrizione nella quale il deputato uscente “purgato”, Hendrik Davi, contava di ricandidarsi, ha suscitato la reazione del sindaco socialista di Marsiglia, Benoît Payan, che ha minacciato di sfidarlo nella circoscrizione.
Anche lo stesso presidente Macron ha cercato di utilizzare il leader LFI, dichiarando che una vittoria della sinistra significa avere Mélenchon come primo ministro. Il primo ministro di Macron, Gabriel Attal, che conduce la campagna elettorale per Renaissance, ha anche tentato di invitare ad un dibattito Jordan Bardella, candidato RN come primo ministro, e appunto Mélenchon, che ha tuttavia rifiutato.
L’ombra del leader di LFI pesa sulla discussione su chi potrebbe essere primo ministro in caso di vittoria della coalizione di sinistra. Mélenchon in un’intervista televisiva si è detto “capace” di essere primo ministro in caso di maggioranza della sinistra all’Assemblea Nazionale. I socialisti, che hanno rotto con Mélenchon sull’attacco di Hamas contro i civili israeliani, hanno ripetuto in questi giorni di non considerarla una candidatura utile.
Raphaël Glucksmann, capolista socialista alle europee – che ha ottenuto qualche voto in meno della lista del partito del presidente Emmanuel Macron – ha dichiarato:
Il leader di questa unione non sarà Jean-Luc Mélenchon. Serve una persona che faccia consenso, figure infinitamente più consensuali come il deputato insoumis François Ruffin, i socialisti Boris Vallaud e Valérie Rabault, o l’ex leader del sindacato CFDT Laurent Berger
Stessa posizione per il segretario socialista Olivier Faure:
Mélenchon è stato il candidato della Nupes per questa funzione. All’epoca aveva una legittimità molto forte, era l’uomo del 22 per cento [delle elezioni presidenziali, ndr]. La situazione oggi è diversa perché LFI ha ottenuto il 10 per cento alle europee. Quando la nuova coalizione sarà maggioritaria, dovrà riunirsi e scegliere chi tra loro è più in grado di placare il paese, rassicurarlo e riallacciare i fili del dialogo. Ciò richiede un profilo non necessariamente il più divisivo, ma che permetta di federare.
Ovvero non Mélenchon. Sulla stessa linea Carole Delga, presidente socialista della regione Occitania e avversaria storica dell’alleanza con Mélenchon, che ha dichiarato a Le Monde:
“Jean-Luc Mélenchon non sarà primo ministro”
Una posizione quella socialista che trova supporto tra molti insoumis, critici della leadership di Mélenchon (e con un occhio a sostituirlo, anche in vista delle presidenziali del 2027).
La deputata LFI Clémentine Autain, un tempo vicino al leader della sinistra, ha dichiarato in televisione che la coalizione ha bisogno di “un profilo che non sia divisivo” per essere primo ministro. “Abbiamo bisogno di qualcuno che sia in grado di unire”, ha continuato, “decideremo su una candidatura che sia consensuale all’interno di questa diversità della sinistra e degli ecologisti.” Ha anche aggiunto di essere lei stessa pronta a ricoprire questo ruolo.
Situazione simile per il deputato insoumis François Ruffin che i socialisti vedrebbero bene come primo ministro. Passato per varie fasi – da melenchonista a gilet giallo, a socialdemocratico – Ruffin ha dichiarato che il leader del suo partito, Jean-Luc Mélenchon, suscita “preoccupazione” tra gli elettori.
Adesso, in tutta franchezza, durante i primi porta a porta, il suo nome ricorre, e con preoccupazione. Ed è per questo che penso che faccia bene a mettersi in disparte. Sembra evidente che non sarà Primo Ministro.
Una situazione di conflitto – indicativa dello stato dei rapporti della sinistra francese – nella quale si è inserito l’ex presidente socialista François Hollande. L’ex leader socialista e Mélenchon si detestano. Mélenchon lo aveva definito come una tarantola che “tesse la sua tela e aspetta perché gli altri vi restino intrappolati.” Un’inimicizia che risale al 1997, quando i due si scontrarono durante un congresso del Partito socialista per la posizione di segretario. Il voto fu viziato da numerose irregolarità e Jean-Luc Mélenchon in vista di un possibile fallimento aveva chiesto a Hollande di trovare un accordo per non essere umiliato. Il futuro presidente si mise d’accordo per dargli almeno il 15 per cento dei voti e i relativi posti nel partito. Ma, alla fine, Jean-Luc Mélenchon si ritrovò con un misero 8 per cento, e minor peso nelle strutture del partito. Un “tradimento” che non gli ha mai perdonato, un fossato allargatosi poi dal punto di vista ideologico.
L’ultimo sgarbo. Mentre Mélenchon lotta per essere primo ministro, Hollande ha deciso di candidarsi all’Assemblea Nazionale. Il tutto senza che il suo partito, il Ps, ne sapesse nulla. Il segretario Faure, intervistato dai giornalisti mentre partecipa alla marcia parigina convocata dai sindacati contro l’estrema destra, dice di non saperne nulla, nuovo episodio in queste folli settimane della politica francese. La candidatura di Hollande è stata decisa infatti dal partito locale del feudo di Hollande.
Il PS ne prende atto e per la prima volta un ex presidente della Quinta Repubblica potrebbe diventare deputato, dopo la fine del suo mandato. Un ex che forse ambisce a qualcosa di più. In questi anni l’ex presidente non ha mai nascosto il desiderio di poter ritornare all’Eliseo. E se la strada per la sua candidatura da parte della sinistra nel 2027 passasse proprio per Matignon, la sede del primo ministro, e dalla fine politica di Mélenchon? E siamo solo a due settimane dal primo turno.
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