Il Partito del Congresso ha sette vite come i gatti, forse di più. Smentendo tutti i sondaggi e tutti gli osservatori (compreso il sottoscritto), nelle recenti elezioni indiane il partito è risorto dalle sue ceneri e c’è da giurare che nei prossimi anni darà del filo da torcere al ridimensionato primo ministro Narendra Modi. Un Modi che comunque si è guadagnato un terzo mandato alla testa del governo di New Delhi, un’ impresa che in precedenza era riuscita solo a Jawaharlal Nehru, uno degli eroi della lotta per l’indipendenza.
Ma vediamo i risultati annunciati il 4 giugno a conclusione di un processo elettorale lungo sei settimane e che ha visto la partecipazione di oltre 640 milioni di elettori (gli aventi diritto erano quasi 970 milioni su una popolazione di 1,4 miliardi di persone):
il Bharatiya Janata Party (BJP, Partito del Popolo Indiano) di Modi ha ottenuto 240 seggi (sui 543 del Lok Sabha, il Parlamento);
la coalizione guidata dallo stesso BJP, la National Democratic Alliance o NDA ha avuto 293 seggi, 20 in più dei 272 necessari per avere la maggioranza e formare il governo;
la coalizione degli oppositori chiamata INDIA, guidata dal Congress Party di Rahul Gandhi ha ottenuto 230 seggi, superando di gran lunga le previsioni. Il solo Congress ha quasi raddoppiato la sua rappresentanza, passando da 52 a 99 deputati.
Un ruolo chiave nella legislatura spetterà a due alleati del BJP, il Telegu Desam Party – un partito regionale dello stato meridionale dell’Andra Pradesh -, che ha avuto 16 deputati, e il Janata Dal (United), forte nel Bihar (nord) ma anche nei piccoli stati dell’Arunachal Pradesh (nordest, ai confini con la Cina) e Manipur (est), che ne ha avuti 12. Entrambi sono guidati da politici di lungo corso: Chandrababu Naidu è il leader del Telegu Desam, Nitish Kumar è alla testa del Janata Dal.
Nel suo discorso della “vittoria”, Modi, nascondendo a fatica il disappunto, ha ringraziato gli elettori, ha sottolineato che il BJP da solo ha avuto più seggi della coalizione avversaria e che formerà il prossimo governo. Tutto vero, solo che lui stesso aveva più volte ripetuto nel corso della campagna elettorale che l’obiettivo del suo partito era di “superare i 400” deputati. I 230 che ha ottenuto sono poco più della metà. Tutta la campagna del BJP – anch’ esso evidentemente preda dei sondaggisti e degli osservatori – è stata incentrata sulla sua persona.
Cosa molto grave per il partito è stata la netta sconfitta subita a opera del Samajwadi Party (un partito regionale ) alleato del Congress, nello stato settentrionale dell’Uttar Pradesh, l’enorme territorio che ospita 240 milioni di persone, elegge 80 deputati e che è sempre stato, fino ad ora, dominato dal BJP. Per capirci, il tempio di Ayodhya, eretto sulle macerie di una moschea demolita dagli estremisti hindu in una violenta campagna contro i musulmani indiani che segnò negli anni Novanta l’inizio della crescita del BJP, si trova in Uttar Pradesh. Quest’anno, il partito di Modi e i suoi alleati hanno avuto 36 deputati mentre la rivale NDA ne ha avuti 43.
Sul fronte dell’opposizione, i risultati sono un grande successo per Rahul Gandhi e sua sorella Priyanka, che lo ha affiancato nella campagna impegnandosi in particolare nell’Uttar Pradesh. Mentre la “magia” di Modi sembra dunque svanita, quella della famiglia che ha dominato il Congress fin dalla sua fondazione, i Nehru-Gandhi, sembra essere stata ritrovata dopo gli insuccessi degli anni scorsi.
I commentatori indiani mettono l’accento sui problemi causati nella società dalla prepotente crescita economica nei dieci anni scorsi, il “decennio di Modi”: la disoccupazione, che colpisce in particolare le nuove generazioni e l’inflazione, che a tratti è apparsa fuori controllo. Inoltre, molti vedono nei citati risultati dell’Uttar Pradesh la prova che la politica basata sulla contrapposizione tra hindu (l’80 per cento della popolazione) e i musulmani (il 14 per cento), che ha fatto la fortuna del BJP, ha esaurito la sua carica e che ora i cittadini sono più preoccupati dei problemi pratici della vita di tutti i giorni come la casa, il lavoro, le prospettive per figli e nipoti.
La situazione dei leader dei due unici partiti nazionali, il BJP e il Congress, è ora rovesciata rispetto agli anni scorsi: Rahul Gandhi, 52 anni, può guardare con ottimismo ai prossimi anni, nei quali dovrà cercare di consolidare le alleanze che hanno permesso il buon risultato delle elezioni, sperando di sedere in futuro sulla poltrona di primo ministro; al contrario per Modi (74 anni) inizia il declino e nel suo partito inizierà la ricerca di un possibile successore, con il controverso ministro dell’interno Amith Shah in pole position.
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