Quaranta gradini non sono sufficienti per arrivare a sfiorare il celo. Possono però aprire uno spiraglio per sbirciare al di là della cupola bigia dei nostri affanni. Una fessura, nell’appiattimento delle nostre percezioni quotidiane, simile a quelle aperte dal gesto di Lucio Fontana alla ricerca di altre dimensioni dello spazio e del tempo.
I quaranta gradini – larghi come quelli della scala elicoidale del palazzo ducale di Mantova, che consentivano il transito anche alle cavalcature – sono quelli della più recente opera dell’artista tedesco Carsten Höller, nato e cresciuto a Bruxelles, che vive oggi tra la Svezia e il Ghana. Una scala. Una scala vera e propria, che ha la funzione fondamentale di collegare i due piani nobili di Palazzo Diedo, a Santa Fosca. A realizzarla materialmente ha contribuito anche lo studio di architettura Silvio Fassi che si è occupato della progettazione e del restauro del palazzo.
É una scala che non c’era. E la cosa non deve apparire strana, giacché a Venezia, più che in altre città, l’attuazione dei progetti architettonici è sempre stata influenzata dalle fortune, non necessariamente costanti, dei committenti. Così, a palazzo Diedo, progettato da Andrea Tirali nella prima metà del Settecento, tra il pianterreno e il primo piano nobile si saliva, e si sale, montando su gradini in pietra d’Istria. Giunti al Portego, la scala finiva.Tra i cinque livelli dell’edificio, i collegamenti avvenivano quindi attraverso una modesta scala sul lato nord, di servizio si potrebbe dire. E non così ampia da adattarsi alle esigenze di un luogo aperto al pubblico come è diventato palazzo Diedo oggi, acquistato dalla fondazione Berggruen Arts and Culture che ne ha fatto una museo che è anche un cantiere. Lo è di fatto, per la decisione di aprirlo, sebbene con delle parti non ancora ultimate, rendendolo simile a tutte le ‘fabbriche’ dell’architettura monumentale. lo è metaforicamente perché il divenire, il work in progress, è l’anima del progetto espositivo di Mario Codognato, direttore della fondazione voluta dal mecenate Nicolas Berggruen, affiancato dalla curatrice Adriana Rispoli.
Da ambienti di servizio creati nella seconda metà del secolo scorso – nel palazzo che è stato nel Novecento dapprima scuola e successivamente sede di uffici giudiziari – è stato così ricavato lo spazio per collegare adeguatamente il primo piano nobile al secondo. Ma, per una intuizione di Nicolas Berggruen e di Mario Codognato, la nuova scala non è solo un elemento architettonico funzionale. É, anche, un’opera d’arte permanente – sebbene costruita per essere completamente amovibile – e si aggiunge ad altri interventi “site specific” divenuti parte integrante del museo – cantiere.
La nuova scala non è un’opera d’arte da guardare, sebbene la sua forma elicoidale catturi lo sguardo.”Inclined Oval Staircase” è una installazione pensata, come tutte le opere di Höller, per sollecitare visivamente, psicologicamente e dal punto di vista sensoriale il pubblico. Al centro del suo lavoro – che rimanda spesso al pensiero di Aldous Huxley – c’è l’esplorazione dei confini della percezione con allusione anche all’antropologia culturale o all’uso rituale di sostanze psicotrope. Come, ad esempio, nell’opera che fa parte della collezione permanente della Fondazione Prada a Milano, con le gigantesche Amanite Muscarie, i funghi rossi e bianchi dei libri di favole, da cui si ricavano sostanze allucinogene.
I funghi giganti di Höler alla Fondazione Prada di Milano
A Venezia, a palazzo Diedo, il visitatore, utilizzando la scala ovale, per un tempo sia pur breve, entra fisicamente in una dimensione percettiva alterata. Con una inclinazione di cinque gradi – non tale da provocare disturbo, dunque, ma comunque in grado di spiazzare, senza danno, il nostro senso di equilibrio – la scala, il vano che la ospita così come le finestre che la illuminano, passo dopo passo, incrinano le nostre sicurezze percettive e lasciano filtrare un senso di indeterminatezza, di visione vagamente deformata e “altra” che evoca l’infinito dentro allo spazio finito.
Un infinito che echeggia anche nell’elicoidale forma del manufatto così simile alle eleganti spirali delle Ammoniti – così somiglianti alle volute del Nautilus – e di tante altre conchiglie che hanno lasciato la propria impronta nelle pietre. Fossili che perpetuano le forme di organismi dissolti, ne conservano la memoria e sfiorano quasi l’idea di immortalità. Come quei gusci inglobati nei quaranta gradini di pietra di Vicenza utilizzata per questa opera di Carsten Höller.
Ha una singolare sfumatura grigia questa pietra che conosciamo normalmente per le tonalità dorate e calde. E non posso non pensare che anche la scelta del colore sia parte del gioco percettivo: inganna l’occhio esattamente come fa la spirale di gradini e quella del corrimano metallico. Sembra, questa pietra, qualcosa che non è: a uno sguardo superficiale può apparire comune cemento. Ma, se l’attenzione si lascia afferrare, affiorano le tracce di ere geologiche passate.
Ls scala di Palladio alle Gallerie dell’Accademia e la scala dell’Ospedaletto a Venezia
C’è il tempo con la T maiuscola in questa scala. Ma c’è anche la storia: quella delle architetture veneziane che il miracolo dello stare sull’acqua sottrae a tutte le norme che regolano l’edilizia in ogni altro luogo. E c’è l’universo epico delle scalate delle narrazioni bibliche, dei miti, delle fiabe. E in questa Oval Staircase c‘è la scia di tutte le rampe a lumaca – col loro miracoloso ascendere in poco spazio – di Venezia. Carsten Höller l’ha progettata pensando alla scala del palazzo dei Canonici Lateranensi di Andrea Palladio, che é oggi parte delle Gallerie dell’Accademia, alla panoramica scala Contarini del Bovolo. Ma le spirali a gradini sono tante a Venezia, all’Ospedaletto, a Palazzo Cini, a Palazzo Grimani. E se anche salendo i quaranta gradini non si arriva a toccare il cielo, si può provare la vertigine immaginando di tentar di farlo.
L’articolo Una chiocciola in palazzo Diedo proviene da ytali..