È una piacevole serata primaverile d’aprile e in campo Santa Margherita m’imbatto in un gruppo di persone riunito a cerchio. Sono a qualche centinaio a di metri dai bar e dai ristoranti che cominciano appena ad accogliere i clienti della prima serata, e si sono ritrovati lì, nel campo, per uno spritz. Stanno brindando a qualcosa, e precisamente all’apertura di una nuova sede della Rete Solidale per la Casa (RSC), che in inglese si traduce Housing Solidarity Network, un’organizzazione veneziana di volontariato creata dai residenti, per i residenti a Venezia che hanno bisogno di aiuto per questioni relative all’alloggio.
Il nome può certamente essere tradotto in inglese, ma il concetto che lo sottende mal s’adatta al vocabolario e allo scenario immobiliare correnti in America. Qui negli Stati Uniti, dove l’alloggio è ora considerato “inaccessibile” per oltre il cinquanta per cento degli affittuari, la crisi degli alti costi di locazione e dell’offerta limitata di alloggi “accessibili” si è fatta acuta – milioni di unità nella fascia dei seicento dollari al mese sono scomparse, sostituite da affitti del triplo o anche più. Se uno cerca in internet gruppi nati con lo scopo di aiutare i residenti in un contesto abitativo che si è fatto drammaticamente ostile nei confronti dei percettori di reddito medio-basso (cioè persone che lavorano, a volte con più lavori), tutto ciò che trova sono siti web governativi e agenzie che forniscono assistenza nelle procedure di locazione. Liste d’attesa e richieste di case in affitto.
Va subito detto – e l’apprendo discutendo dell’attuale situazione abitativa a Venezia con la fondatrice di RSC Susanna Polloni – che, riguardo alla questione dell’alloggio, i problemi quotidiani in cui ci si trova a misurarsi vanno ben oltre il pagamento dell’affitto, per quanto importante (e difficile) sia. Manutenzione, contratti di affitto, sfratti, gestione delle disabilità, richiesta di alloggi pubblici, senzatetto e povertà sono solo alcune delle numerose sfide che i residenti devono affrontare, per lo più da soli (e negli Stati Uniti, evidentemente del tutto da soli) – ma non a Venezia, perché a Venezia l’aiuto per il disagio abitativo ha il volto umano di chi ascolta e aiuta i residenti: la Rete Solidale per la Casa.
C’è una frase popolare in America che dice “Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare” … e quella sera, seduto tra loro in Campo Santa Margarita – lavoratori e abitanti di Venezia che si prendevano il martedì sera per parlare tra loro, pubblicamente, delle loro esperienze e idee sull’edilizia abitativa a Venezia – mi ha fatto venire in mente una versione diversa di quella frase:
Quando il gioco si fa duro, i veneziani s’organizzano
Susanna Polloni è stata così gentile da condividere con noi un po’ del suo tempo per rispondere ad alcune domande su RSC: cosa fa, come funziona, e sulla politica abitativa a Venezia. Qui si seguito la nostra conversazione:
Grazie, Susanna, per il tempo che ci dedichi. Puoi dirci qualcosa di te? Come e perché hai iniziato a impegnarti con l’RSC?
Sono una mamma di cinque figli e faccio ricerca, occupandomi di manoscritti medievali e moderni. Sono cresciuta a Venezia e amo molto questa città, i miei nonni avevano un negozio “storico” di libri in centro. Mi angoscia molto la deriva verso cui questa città sta andando, perché stiamo perdendo troppi residenti per una gestione completamente sbagliata, che vede la città come un oggetto da usare per fare profitto, asservendola al turismo di massa e togliendo tutto agli abitanti. È una città che li espelle e uno degli elementi basilari è assicurare a tutti, come una volta, il diritto all’abitare. Così con un’amica, di cui avevo assistito il vero e proprio calvario per l’assegnazione di un alloggio pubblico, abbiamo deciso di riunire un gruppo di residenti che aiutino altri residenti a capire quali sono i propri diritti e a farli valere nei confronti degli enti preposti alla gestione delle case popolari. E ad accompagnarli nel percorso.
La Rete Solidale per la Casa (RSC) ha ormai più di un anno e ha da poco aperto una terza sede, a Campo Santa Margherita. Come è vista RSC da quando è stata costituita? Come valuti la sua accoglienza in città e la sua interazione con la città?
La Rete è prima di tutto un luogo di ascolto. In un mondo in cui la rete sociale si va sempre più disgregando anche questa è una cosa molto importante. Poi si cerca insieme di trovare una soluzione, e questo è stato subito molto apprezzato dalle persone. Ci ospitano un circolo culturale nel sestiere di Castello, un centro di associazioni di volontariato a Santa Margherita e un sindacato di base a Marghera. La parola ‘Rete’ vuole essere evocativa di condivisione e di sostegno. Abbiamo molti utenti ogni settimana e ormai si è creato un passaparola in tutto il Comune.
Quante persone sono impegnate nella RSC e come gestite gli sportelli nelle diverse sedi in termini di turni e presenza del personale, orari di apertura, ecc.?
Siamo quattro volontari per gli sportelli e collaborano con noi un avvocato e un architetto, quest’ultimo per i problemi relativi alle manutenzioni. Poi ci sono altri residenti che ci aiutano per le attività che organizziamo, come per esempio assemblee pubbliche e i volantinaggi. Ogni sportello ha quattro ore di apertura al mese, ma siamo raggiungibili tutto il giorno, sette giorni su sette, telefonicamente e diamo appuntamenti anche fuori orario se necessario e siamo sempre disponibili per le urgenze.
Rispetto a quali tipi di bisogni abitativi RSC aiuta le persone? Puoi farci uno o due esempi di casi “tipici” di cui ti occupi?
Abbiamo persone senza fissa dimora, anche lavoratori, perché questa città spesso non dà lavoro continuativo e tutelato; persone portatrici di disabilità che abitano case pubbliche al terzo piano senza ascensore; casi di sfratto esecutivo che non trovano una soluzione alternativa; case pubbliche assegnate in cui non viene effettuata la necessaria manutenzione. In particolare mi ha colpito il caso di una signora, nullatenente, sola con un grave problema di salute e un bambino piccolo che da sette anni vive in una casa occupata, fatiscente e senza acqua corrente. È andata molte volte dagli assistenti sociali, che però non le assegnano una casa pubblica.
Secondo te, RSC fornisce servizi che in realtà dovrebbero essere erogati dalle istituzioni pubbliche? In altre parole, qual è lo spazio che RSC cerca di colmare nel settore degli alloggi, e chi dovrebbe di regola colmarlo, a parte un gruppo di cittadini volontari?
No, assolutamente. Non intendiamo assolutamente colmare vuoti lasciati dalle istituzioni. Anzi, lo scopo è quello di spingere le istituzioni a fare il loro dovere nei confronti della tutela dei cittadini e di rendere i residenti consapevoli dei propri diritti per farli valere.
RSC è impegnata in attività di civismo politico o si concentra principalmente sul servizio pubblico?
Vogliamo essere consapevoli di ciò che è bene per la città e per i residenti, e studiare, in senso “politico”, strategie di gestione degli alloggi pubblici e strategie che tendano a rendere accessibile il libero mercato anche per i residenti.
Un’ultima domanda: in una città come Venezia, in particolare, la questione abitativa è vista dall’opinione pubblica e dalla stampa soprattutto attraverso la lente del mercato e dell’effetto degli affitti turistici sui prezzi e sullo sviluppo del settore immobiliare. Al di là della regolamentazione del mercato degli affitti turistici, quali sono secondo te le principali cose di cui Venezia ha bisogno come parte di una politica abitativa efficace che serva meglio sia i residenti attuali sia quelli potenziali?
In realtà l’effetto degli affitti turistici sui prezzi ha un grosso impatto anche per i residenti attuali, per i quali diventa impossibile sia acquistare una casa, sia prenderla in affitto e che non si vedono rinnovare i contratti perché per il proprietario sono enormemente più vantaggiose le locazioni brevi. Noi abbiamo studiato un “piano casa” per capovolgere la situazione:
Deve essere assolutamente aumentata la percentuale di alloggi di edilizia residenziale pubblica (Erp) assegnati, tali da coprire almeno la fascia di popolazione sotto il livello di povertà.
Utilizzare fondi pubblici per ristrutturare alloggi Erp (abbiamo perso l’occasione dei fondi PNRR per l’irrealizzabile progetto del Bosco dello Sport).
Le case costruite con fondi pubblici devono in gran parte restare Erp (NO all’eccessivo utilizzo del parternariato pubblico/privato per le ristrutturazioni).
I canoni del Social Housing devono essere calmierati rispetto a un libero mercato non drogato dalle affittanze turistiche, in modo da riportare la spesa per l’affitto vicino alla media nazionale. Bisogna quindi lavorare alla definizione di un regolamento per le affittanze brevi e incentivare in ogni modo la residenzialità creando deterrenti anche fiscali per chi affitta a turisti e misure che incoraggino chi affitta per lunghi periodi a residenti.
Le fasce ISEE per Edilizia Residenziale Pubblic e Social Housing non devono essere sovrapponibili creando confusione: è necessario alzare la fascia ISEE per la partecipazione ai bandi SH, perché così si spinge la politica della casa verso strategie per una maggior assegnazione di alloggi ERP e si permette ai giovani, che sono costretti a presentare l’ISEE congiunto a quello dei genitori, di potersi emancipare ottenendo un alloggio pubblico.
Crediamo che il progetto di depauperamento del patrimonio Erp tramite eccessivo ricorso al privato per le ristrutturazioni, alienazioni e abbattimenti non siano assolutamente funzionali alle necessità della popolazione. Puntiamo ad una conservazione del patrimonio pubblico e ad una maggiore assegnazione di case popolari con affitto calcolato in base al reddito.
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