Si chiude dopo cinquanta giorni l’occupazione dell’Università Ca’ Foscari, una delle più lunghe d’Italia. Il 3 luglio. A seguito dell’ultima assemblea collettiva tenutasi il giorno precedente alla sede occupata di San Sebastiano, aperta a studenti, docenti e personale tecnico, l’Assemblea studentesca per la Palestina libera ha preso definitivamente la decisione di sciogliere l’acampada cafoscarina. Ci si dà appuntamento a settembre, quando l’avvio dell’anno accademico porrà nuovamente le condizioni per riaprire lo scontro.
La lotta degli studenti per un cambio di rotta sul posizionamento delle università veneziane nei confronti del conflitto israelo-palestinese si scontra con l’invalicabile muro della chiusura estiva di Ca’ Foscari. Come riportato in una dichiarazione rilasciata dagli studenti di San Sebastiano a Venezia Today:
A Venezia, d’estate, la vita universitaria muore. Molti di noi sono fuorisede e in questi mesi in vari studentati le stanze che dovrebbero essere destinate a noi sono affittate ai turisti, impedendoci di poter continuare a vivere qui e condurre le nostre attività.
Continua invece, con maggiore intensità, la lotta allo Iuav, con la sede dei Tolentini nuovamente occupata dal 20 giugno, a causa dei dissidi sorti tra studenti e istituzioni accademiche a seguito della presentazione del progetto dell’Istituto di architettura per la ricostruzione di Gaza. Il rettore Benno Albrecht ha criticato le posizioni dei manifestanti, considerati come una minoranza esigua degli studenti, il cui atteggiamento starebbe provocando sia un danno economico per l’ateneo, costringendo il personale a turni straordinari di supervisione e pulizia della sede, sia un danno d’immagine per la comunità studentesca. A favore dei manifestanti dell’Assemblea permanente per la Palestina libera si è invece schierato il Senato degli studenti, rilanciando la propria richiesta per una mappatura dei rapporti dell’istituto con le università israeliane in vista del senato accademico del 17 luglio. Tuttavia, la scarsa presenza studentesca nei mesi estivi mette in seria difficoltà la protesta.
Ciò che realmente emerge da queste vicende, e che sottolinea l’ormai indissolubile legame creatosi tra le istituzioni veneziane e la macchina del turismo di massa, è proprio l’impossibilità, per gli studenti, di continuare una propria lotta politica durante la stagione estiva. Certo, a Benno Albrecht e Tiziana Lippiello, rettrice di Ca’ Foscari, la quale già da diversi giorni aveva fatto pressioni per intimare uno sgombero della sede occupata di San Sebastiano, l’idea di poter sfruttare la pausa estiva per rimandare di qualche mese lo scontro politico con il movimento studentesco non può dispiacere, tuttavia appare evidente l’enorme danno per il diritto allo studio e, per certi versi, il prestigio stesso degli atenei cittadini che questa logica di sudditanza economica impone. Un’università schiava del turismo non rappresenta certo un buon biglietto da visita per le istituzioni culturali cittadine.
Venezia è una città di fuorisede e pendolari. La stragrande maggioranza degli oltre ventottomila studenti di Ca’ Foscari e Iuav viene da fuori comune. Per molti trovare casa in città è diventata una vera impresa. Ad evidenziare questa situazione tragica è stata, negli scorsi mesi, l’indagine “Nove metri quadri. I perimetri dell’abitare”, realizzata dal collettivo omonimo e nata da uno studio di due dottorande dello Iuav, Naomi Pedri Stocco e Valtina Rizzi, studiose di arti visuali e pianificazione territoriale. L’indagine trae il proprio nome dalla tragica condizione in cui il ventiquattro per cento degli studenti intervistati ha dichiarato di abitare, ammassati in meno di nove metri quadri.
Il documento, completamente consultabile online e realizzato tramite un questionario distribuito capillarmente agli studenti veneziani, offre una prospettiva drammatica sulla crisi abitativa in Laguna. Prezzi troppo alti e scarsità di offerte sul mercato rappresentano i principali ostacoli per gli studenti che decidono di affidarsi ai privati. Tra coloro che sono stati costretti a interrompere la propria ricerca di una sistemazione, il ventitré per cento lo ha fatto dopo sei mesi di tentativi. Per l’ottantanove per cento di questi i motivi sono stati i prezzi troppo alti, mentre un altro cinquantasette per cento ha denunciato la poca disponibilità di stanze. A questi va poi aggiunta la grossa fetta di studenti che, pur fuorisede, ha rinunciato in partenza alla ricerca di una casa a Venezia, affidandosi a soluzioni da pendolari a volte particolarmente impegnative, trovando casa a Padova, Verona o Treviso.
Il cinquantacinque per cento di chi ha trovato una stanza dichiara di averci messo tra i due e i sei mesi di ricerca, e meno del due per cento c’è riuscito tramite servizi offerti dalle università. Chi riesce a trovare casa si ritrova, in certi casi, a firmare contratti d’affitto al limite della legalità, con studenti cacciati nei mesi estivi per fornire le stanze ai turisti, godendo però della tassazione agevolata al dieci per cento che l’affitto agli studenti offre. Meno di uno studente su sei ha un contratto di affitto a lungo termine, mentre l’otto per cento dichiara di non avere un regolare contratto d’affitto. Nonostante le condizioni spesso sovraffollate e fatiscenti, i prezzi restano elevatissimi. Tra chi paga autonomamente la propria quota d’affitto, il novanta per cento dichiara che questa incide oltre il trenta per cento sulle proprie entrate.
D’altro canto, la situazione non migliora tentando di appoggiarsi agli studentati universitari, per la maggior parte gestiti da enti terzi e che dovrebbero garantire agli studenti, tramite i servizi di Esu, affitti agevolati. Nel caso, ad esempio, del campus di Santa Marta, solo il ventotto per cento dei seicento cinquanta posti letto è a disposizione per i partecipanti al bando. Il resto? Riservati ai turisti o affittati a prezzi esorbitanti che toccano i novecento euro al mese per una singola. La situazione non migliora in terraferma. Al campus di Mestre solo il trentacinque per cento dei posti letto è disponibile per il concorso tramite Esu, mentre gli affitti arrivano a ottocento settanta euro al mese. Come riportato tra le testimonianze raccolte nel documento:
È frustrante vedere come non solo gli appartamenti privati, ma anche le residenze universitarie stiano cominciando a riservare sempre più posti ai turisti. Qualche anno fa avevo chiesto se ci fosse disponibilità in una residenza universitaria da fine agosto o inizio settembre e mi era stato detto che non ci sarebbero state stanze libere perché avrebbero dovuto riservarne un certo numero per i turisti. In ogni caso il prezzo sarebbe stato esorbitante. In generale l’aumento dei prezzi anche nelle residenze Esu mi ha messo molto in difficoltà.
Il bando 2023-2024 di Esu ha messo a disposizione quattrocento ottantadue posti letto per gli oltre ventiquattromila studenti cafoscarini. Un numero evidentemente insufficiente, specie per una comunità accademica come quella veneziana.
A fronte dello scenario presentato dall’inchiesta di nove metri quadri, i cinquanta giorni di occupazione, oltre alle numerose mobilitazioni studentesche promosse negli ultimi mesi, appaiono in realtà straordinarie e frutto di una comunità accademica attiva e vivace, in grado di affrontare, almeno sino ad ora, le enormi difficoltà logistiche che una città come Venezia impone, causate dalla crisi abitativa dilagante e, per quanto riguarda i pendolari, da un sistema di trasporto pubblico sempre più in sofferenza. Allo stesso tempo si tratta di una comunità, tanto quanto la popolazione veneziana, vittima della piaga dell’overtourism.
Proprio come i cittadini lagunari, anche gli studenti veneziani vengono spinti fuori dalla città tramite sfratti e affitti troppo esosi, per fare spazio ai turisti, secondo l’amministrazione locale, il vero “petrolio” della città. Venendo allontanati, è loro impedito organizzarsi e far sentire la propria voce.
Ed è così che il turismo di massa si trasforma, indirettamente, in uno strumento di repressione della protesta giovanile. Un’università che muore nei mesi estivi, impedendo alla comunità accademica di portare avanti le proprie attività, e in questo caso le proprie proteste, in nome del primato economico del turismo è rappresentativo di una città malata. La crisi abitativa, ormai sempre più fuori controllo, toglierà per mesi la voce agli studenti, facendo perdere lo slancio ad una protesta che si stava dimostrando un laboratorio politico esemplare per il resto del Paese. Appare chiaro che la “rivoluzione” a Venezia non ha casa, questa volta letteralmente.
Immagine di copertina: Il cancello della sede centrale di Ca’ Foscari imbrattato di vernice rossa.
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