Molti campioni hanno giocato e giocheranno nel Real Madrid ma nessuno sarà mai come lui. Alfredo Di Stéfano, infatti, è stato il Real Madrid (che prima del suo arrivo era sicuramente indietro, per bacheca e prestigio, rispetto a Barcellona e Atletico Madrid), inventandone lo stile e incarnandone le vittorie e la grandezza, cui ha contribuito in maniera decisiva a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta e alla quale ha continuato a contribuire in seguito, in qualità di allenatore e dirigente, simbolo, bandiera e autentico DNA della Casa Blanca. Già dieci anni senza don Alfredo (scomparso a ottantotto anni il 7 luglio 2014) e l’assenza si fa sentire eccome! Basti pensare che ogni colpo “galactico” di Florentino Pérez non poteva prescindere, il giorno della presentazione, dalla presenza sul palco della “saeta rubia” (la freccia bionda), com’era soprannominato da giovane per la capigliatura bionda, capace di anticipare di vent’anni il calcio totale dell’Olanda di Michels e di interpretare più ruoli in un’epoca nella quale nessuno si sarebbe permesso di chiedere a un centravanti di tornare indietro a difendere. Di Stéfano lo faceva, perché per lui non esistevano ruoli predefiniti: esisteva il campo, la lettura della partita e il dovere di adattarsi a ogni situazione. E nel momento in cui i compagni vedevano un simile portento sacrificarsi e correre per due, era chiaro che nessuno potesse tirarsi indietro.
Se il Real è diventato il Real, se ha vinto ciò che ha vinto, se più che di un club si tratta di una leggenda, ebbene, sappiate che lo si deve soprattutto a quel furetto argentino, nato il 4 luglio del ’26 e sbarcato in Spagna nel ’53. A contenderselo, ovviamente, erano state Real Madrid e Barcellona, la cui zuffa venne risolta, con una discreta ingerenza da parte della politica, prevedendo che il fuoriclasse giocasse un anno con l’emblema della centralità dello Stato e il successivo con il simbolo della Catalogna anarchica e secessionista, in un’alternanza, allora più di oggi, improponibile. Il Barça, non a caso, si rifiutò di accogliere un giocatore che, pur essendo un portento, aveva indossato la maglia dell’odiato rivale, e il corso della storia cambiò per sempre.
Ribadiamo: nell’ultimo decennio il Real ha vinto tutto, incantato il pianeta con la classe dei suoi fenomeni e avviato un processo di progressivo rafforzamento che gli consente ora di avere a disposizione i giovani più interessanti e di maggior prospettiva che ci siano in giro. Ma quella presenza quasi mistica, quello sguardo ormai segnato dall’età ma ancora vivo e intenso, quel punto di riferimento che rubava la scena anche al cospetto di stelle come Zidane e Cristiano Ronaldo, quel mito senza tempo che ha rappresentato la storia di un universo sportivo senza eguali, don Alfredo, in poche parole, manca terribilmente. A breve, il Bernabéu si godrà la presentazione di Mbappé: sarà un evento planetario ma quello sguardo non ci sarà, e al funambolo transalpino mancherà la benedizione che tanti suoi predecessori hanno ricevuto e dalla quale hanno tratto giovamento. Vedere Di Stéfano, difatti, significava capire sin da subito cosa sia il Real Madrid, quale sia la sua unicità, la sua dimensione e la sua proiezione planetaria. Significa entrare a far parte di una comunità dal respiro globale. Significa insomma ricevere un passaggio di testimone, talmente impegnativo che occorrono notevoli qualità morali e intellettuali, prim’ancora che fisiche, per esserne all’altezza.
Don Alfredo, ribadiamo, di questa meraviglia ne è stato il capostipite, il padre nobile e l’alfiere, al punto che oggi lo stadio situato all’interno del centro d’allenamento di Valdebebas porta il suo nome, il che per un ragazzo delle giovanili vuol dire tantissimo.
Se n’è andato dieci anni fa, come detto, dopo aver assistito alla conquista della Décima, autentica ossessione madridista per oltre un decennio. Ne son seguite altre cinque, ma quella coppa dalle grandi orecchie ha rappresentato qualcosa di straordinario: senza di essa, non ce ne sarebbero state altre, non si sarebbe mai aperto il ciclo cui assistiamo, tuttora, con ammirazione.
La missione era ormai compiuta, ma il vuoto che ha lasciato è incolmabile.
Immagine di copertina: Real Madrid (1964): Vicente, Isidro, Santamaria, Pachín, Muller, Zoco, Amancio, Felo, Di Stefano, Puskas en Gento
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