In una Spagna dalla politica infiammata il fútbol non poteva certo restare indenne dal clima generale. Calcio e politica, Spagna plurale e nuovi spagnoli, nazionalismi e questione territoriale, in questo europeo vittorioso tutti i temi del dibattito pubblico si sono riverberati nel racconto del torneo e della nazionale.
Vedremo come ma bisogna dire che, per la prima volta da anni — almeno dal 2012, quando vinse l’Eurocoppa infliggendo proprio all’Italia un sonante 4 a 0 — la Selección ha unito il Paese, comprese le comunità autonome che hanno il segno della nazionalità, come Catalogna e Paese basco — i galiziani ritengono forse il pallone questione troppo seria per mischiarla con politica e bandiere.
I tifosi di calcio e gli spagnoli in genere si sono sentiti rappresentati da un gruppo sano e coeso, una nazionale simpatica che miscela sapientemente giovani e giovanissimi con veterani, di cui sono evidenti i buoni e forti legami personali, capace di giocare un calcio allegro. Un gruppo plurale anche nelle sensibilità politiche, sportive e identitarie.
Il tema classico — Spagna, Catalogna e Paese basco —, pur presente, non ha acceso gli animi più di tanto. Altre vicende sono state più calde e si è anche sfiorato l’incidente diplomatico, con l’Inghilterra per Gibilterra. Andiamo con ordine.
Esclusi i più accesi nazionalisti, centralisti e periferici — o il consueto snobismo sugli undici uomini in mutande che eccetera, eccetera — pochi hanno preso le distanze dalla squadra spagnola, soprattutto lamentando la possibile selezione nazionale basca o catalana. Se in provincia non si è festeggiato molto, né son stati approntati maxi-schermi per seguire la finale, le capitali basca e catalana sì che hanno seguito il torneo — i bar che davano le partite si sono moltiplicati rispetto agli scorsi appuntamenti calcistici e indossare la maglietta della Roja non costituiva più una “provocazione spagnolista”.
Si è anche celebrato, con moderazione, la vittoria. Il segno di una mutazione generazionale in cui i giovani, cresciuti senza la violenza dell’Eta, vivono senza complessi la doppia identità spagnola e basca, come ha suggerito all’edizione in spagnolo del NYT Dani Álvarez, direttore dell’informazione di Radio Euskadi, l’emittente pubblica basca, in un articolo che indaga il nuovo rapporto tra i baschi e la nazionale.
Del resto, se un “blocco” c’è in questa nazionale, è quello basco della Real Sociedad (la Real, mentre il Real è la squadra madrilena) con Mikel Oyarzabal, Mikel Merino, Álex Remiro, Martin Zubimendi e Robin Le Normand (francese naturalizzato per le sue origine basche spagnole). Menzione anche per l’Andalusia, con la cittadina di Los Palacios y Villafranca, meno di quarantamila abitanti a una trentina di chilometri da Siviglia, che ha dato i natali a ben tre giocatori, un record: Jesús Navas, il veterano della squadra, Fabián Ruiz e Gavi, giovane colonna del Barcellona e della nazionale che ha perso la fase finale per infortunio.
La Selección di Luis De La Fuente, non basata su un blocco, normalmente Real Madrid o Barcellona, non ha dato carburante alla polemica territoriale. Vedere l’intesa tra Dani Carvajal, del Real Madrid, e Lamine Yamal, del Barcellona, il cercarsi subito per festeggiare dopo le azioni da gol, ha stupito più i commentatori che il pubblico. Fuori dal campo, i madridisti celebrano i dribbling di Lamine Yamal, i barcellonisti esultano per le carvajalinhas, le giocate del madridista Carvajal.
De La Fuente non aveva acceso grandi speranze, né simpatie. Compromesso con la vecchia gestione della federazione spagnola, era stato uno di quelli che più entusiasticamente aveva applaudito l’ex presidente Luís Rubiales quando, nella conferenza stampa nel pieno della bufera lo scorso agosto, annunciava che non si sarebbe dimesso per le molestie in diretta televisiva mondiale a Jennifer Hermoso durante la premiazione della nazionale femminile campione del mondo — uno scandalo che ha travolto il calcio spagnolo. Il tecnico, che aveva sostituito Luis Enrique, anch’egli colpito da quel terremoto, non era visto con simpatia da stampa e pubblico e giunse molto vicino all’esonero ma la scampò e fu confermato.
De La Fuente ha messo insieme una squadra senza stelle, tranne Álvaro Morata e Rodrigo Hernández detto Rodri (entrambi madrileni, il primo gioca nell’Atletico Madrid, il secondo nel Manchester City), con alcuni veterani, come Navas (del Siviglia) e Carvajal (della provincia di Madrid e in forza al Real), dando fiducia a giovani che stelle sono diventati durante il torneo, come i giocatori del Barcellona Nico Williams (nato in Navarra e di ascendenza ganese) e Lamine Yamal (nato nella provincia di Barcellona da padre marocchino e madre della Guinea Equatoriale); poi Marc Cucurella (catalano della provincia di Barcellona che gioca nel Chelsea) e Mikel Oyarzabal (basco della provincia di Guipúzcoa)
Una nazionale plurale, come la Spagna, senza divi, che ha imparato dagli errori iniziali, la sconfitta contro la Scozia a marzo, trovato il coraggio di cambiare, mostrato gran gioco e maturità e vinto tutte le partite del torneo — comprese quelle con quattro campioni del mondo come Italia, Germania, Francia e Inghilterra — laureandosi campione con pieno merito e facendo progressivamente innamorare la Spagna.
Yamal rivendica il suo provenire da Rocafonda, quartiere popolare di Mataró, segnando con le dita le ultime cifre del Cap, gesto ripetuto dai giovani abitanti del quartiere come testimoniato da un bel reportage del fotografo Manu Mitre per El Periodico
Qualche brutto episodio c’è stato. Qualche nazionalista catalano o basco a marcare distanza dalla “Spagna imperialista”, una vigliaccata contro Mikel Oyarzabal, con un tazebao contro “l’assimilazione della nazionale spagnola” affisso nel paese della madre, spettri paranoici di un nazionalismo decadente e decaduto, qualche nazionalista spagnolo a lamentare il colore della pelle di alcuni giocatori. E qui entriamo nel campo della grande guerra culturale in atto.
Le destre spagnole tentano di ridisegnarsi. Esaurita la strategia aznariana dell’asse tra Pp e Vox, che impedisce ai popolari patti con le altre destre spagnole, esaurita la deriva indipendentista catalana, le destre della penisola tentano di ricostruire un messaggio che non si basi solo sullo scontro tra nazionalismi, cadendo fatalmente nel tema, declinato come allarme, della migrazione. I catalani di Junts, la formazione di Carles Puigdemont, hanno a destra un concorrente come Alliança catalana (Ac), formazione indipendentista apertamente xenofoba che fa della lotta all’immigrazione, in territori catalani dove questa è indispensabile all’economia che rende ricche quelle zone, la sua bandiera simbolica.
Il Pp e Vox si misurano con Se acabó la fiesta (Salf), formazione populista autoritaria xenofoba inventata dall’influencer Alvise Pérez. Il capo della comunicazione Vito Quiles chiese di cacciare Yamal quando appena quindicenne e già convocato, per poi oggi dire che “sarà sempre benvenuto perché non somiglia per niente agli (immigranti) illegali”. Il portavoce di Vox nell’assemblea andalusa, dopo aver chiamato “turisti” i minori stranieri non accompagnati, del gol contro la Francia ne ha minimizzato la figura dicendo che “se non avesse segnato Yamal sarebbe stato qualcun altro”.
Estopa omaggia Yamal, donando un inno alla Spagna per l’Eurocoppa
Malgrado tutto, alla fine, questa nazionale ha travolto le polemiche e il quartiere di Rocafonda, a Mataró (Barcellona), definito dal leader di Vox Santiago Abascal “letamaio multiculturale”, si è preso la sua rivincita con l’orgogliosa rivendicazione delle sue origini esibita da Yamal mimando con le dita il numero 304, codice di avviamento postale del quartiere. E così, Williams ha rivendicato la lotta dei genitori che “attraversarono scalzi il deserto” per giungere in Europa da immigrati clandestini. Per Yamal, Estopa, popolare artista che festeggiava 25 anni di attività, ha riadattato il pezzo di flamenco di Príncipe gitano “Obi, oba, cada día te quiero más“, diventato inno cantato nelle piazze dei festeggiamenti.
Tifosi spagnoli arrivati a Berlino da Toledo per vedere la finale cantano per Lamine Yamal
Il recente psicodramma sulla ricollocazione di 347 (!) minori stranieri non accompagnati dalle Canarie alle altre autonomie spagnole sottolinea la fase. Vox e Junts hanno votato contro, Alberto Nuñez Feijóo, segretario del Pp che appoggia il governo di minoranza di Coalición Canaria, ha detto che le comunità amministrate dal Pp faranno il loro dovere. Intanto nelle Canarie sono almeno 2.500 i minori da ricollocare e il governo sta modificando la legge sull’immigrazione per introdurre l’obbligo di ripartizione tra le autonomie.
Il Pp di Feijóo tenta un accordo col Psoe, in bilico tra il differenziarsi da Vox e la necessità di competere sul suo terreno. Vox arriva a rompere in cinque governi autonomici, Castilla y León, Aragón, Comunitat Valenciana, Murcia e Extremadura, un terremoto nella destra spagnola su cui ritorneremo in altra occasione. Junts respinge la proposta unendo rivendicazione indipendentista e xenofobia, direbbe sì alla ricollocazione obbligatoria solo se questa escludesse la Catalogna. L’immigrazione, la xenofobia, il razzismo, alimentano la nuova fase del populismo di destra (Salf, Ac), quello che viene dal basso, cioè non dai partiti tradizionali, dalle reti sociali, dalla fasciosfera. Costringendo le destre “tradizionali” a misurarsi su quel terreno
La politica è entrata nel dibattito attorno alla nazionale attorno a questo tema, all’identità rivendicata, all’ostilità “bianca”. Tutto è cominciato con Kylian Mbappé, che martedì ha firmato davanti a 75 mila persone il nuovo contratto col Real Madrid per cui giocherà col numero 9, e il suo richiamo ai giovani per andare a votare contro il Fronte nazionale nelle elezioni francesi. Razzismo e nuove società multiculturali. Il portiere spagnolo, Unai Simón, ha rivendicato la scelta di non mischiare la politica col suo ruolo sportivo.
La pluralità della squadra è stata usata da sinistra a sottolineare il valore della multiculturalità. La destra ha fatto buon viso a cattivo gioco — come opporsi alla vittoria? — cercando sottili differenziazioni, manifestandosi. È stato Carvajal a rappresentare le destre col freddo e scostante saluto a Pedro Sánchez, ostentando lo sguardo altrove, durante il ricevimento dopo la vittoria.
Il capitano della Selección è amico personale di Santiago Abascal e considerato simpatizzante di Vox, anche se ha minacciato querele. Molto attivo nelle reti sociali, in cui non risparmia apprezzamenti per i post della società di Desokupa, impresa gestita da simpatizzanti di destra che offre servizi al limite della legalità per facilitare gli sfratti, di Alvise Pérez e di Vito Quiles, con cui si fece fotografare poco dopo gli attacchi al giovanissimo Yamal. Durante la rivolta della nazionale femminile fu tra i più vicini alla presidenza Rubiales, mentre molti colleghi esprimevano la loro solidarietà alle compagne. Insomma, che fosse di destra si sapeva. In una società in cui i personaggi dello sport e dello spettacolo non si fanno problemi a esprimersi su temi pubblici, a differenza dei sempre silenziosi colleghi italiani, e in cui a sinistra è salutato l’impegno in tal senso, non stupisca che chi è di destra si esprime, anche se sarebbe meglio non farlo così malamente in un ricevimento ufficiale. Ma il sottofondo è lo slogan di Vox, tanto ripetuto dal Pp, del Sánchez presidente “illegittimo” e “traditore”, e politici di destra, come il sindaco di Madrid, José Luis Martínez-Almeida, che ha dichiarato che Carvajal “ha fatto quel che doveva fare”.
A chiudere questa carrellata di passioni politiche associate alla Selección campione d’Europa, giungiamo all’incidente internazionale. Gibilterra, El Peñon — la Rocca o the Rock, come la chiamano gli inglesi — un lembo di terra che affaccia sullo stretto di Gibilterra, prendendone il nome, collegando l’Atlantico col Mediterraneo, è un territorio d’oltremare della Corona d’Inghilterra, diventato proprietà britannica col Trattato di Utrecht del 1713. La disputa se proprietà corrispondesse a sovranità ha attraversato i rapporti tra Spagna e Gran Bretagna nei secoli.
Nel contesto calcistico quale migliore sfottò contro gli inglesi che rivendicarne la spagnolità? Cose che accadono in ogni curva ma è successo che, dagli spalti ,lo slogan è arrivato agli scenari dei festeggiamenti. È stato Rodri che, domenica, durante la trionfale accoglienza a Madrid della nazionale, dal palco ha cantato “Gibraltar es español”, imboccato da Morata che gli ha rinfacciato scherzosamente di giocare in Inghilterra.
La cosa non è piaciuta al governo di Gibilterra, che in un comunicato l’ha definita “inadeguata, discriminatoria e offensiva”, mentre la Federazione calcio di Gibilterra ha annunciato un ricorso alla Fifa.
Nel gioco a trovare tracce dell’epoca nella nazionale spagnola e nel discorso pubblico attorno a essa, questa volta, tutto sommato, si registra che la maggioranza della società si riconosce in questa nazionale e che la squadra rappresenti il paese. Anche nei suoi contrasti politici, identitari, culturali. Il divertissiment non inganni. I temi, le criticità, sono quelli di quest’epoca, della battaglia culturale in corso nelle democrazie, e anche nei regimi, in crisi e mutazione in occidente e nel resto del globo. Battaglia planetaria, che passa per la Casa Bianca, Europa e America Latina, Medioriente e Russia. Che si gioca fuori dagli stadi, a cominciare dalle elezioni presidenziali Usa del prossimo 5 novembre.
Immagine di copertina: dall’ex-Twitter di 20Minutos.es
L’articolo Fútbol y política proviene da ytali..