[PARIGI]
Martedì alle 18 era la data limite per il deposito delle candidature per il secondo turno delle elezioni legislative. Il giorno era atteso anche per comprendere le dimensioni delle desistenze tra i partiti che vogliono impedire che il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella possa ottenere il governo del paese. Nel caso infatti fossero rimasti in piedi molti scontri triangolari nelle circoscrizioni – ovvero scontri tra candidati di tre partiti passati al secondo turno – il rischio di una vittoria e soprattutto di una maggioranza assoluta al parlamento sarebbero aumentati. Evenienza questa che potrebbe essere stata scongiurata con le desistenze.
Dei 306 triangolari possibili al secondo turno, solo 89 avranno effettivamente luogo; dei 5 quadrangolari possibili, solo due sono sopravvissuti. L’alleata di sinistra del Nouveau Front Populaire aveva chiesto immediatamente ai suoi candidati al terzo posto di ritirarsi in caso triangolari con un candidato RN in testa. In tutto, sono stati 126 i candidati che si sono ritirati, mentre cinque hanno deciso di restare in corsa.
Per quanto riguarda la coalizione presidenziale, il primo ministro Gabriel Attal aveva invitato i candidati centristi al terzo posto a ritirarsi per evitare che l’estrema destra ottenesse “pieni poteri”. Alla fine 80 candidati si sono ritirati, tra questi anche quattro ministri e un segretario di Stato. Diciotto sono invece i candidati che hanno deciso di restare in corsa. La desistenza è avvenuta anche nei confronti dei candidati de La France Insoumise (LFI), rispetto ai quali la coalizione presidenziale aveva espresso al propria contrarietà.
Per i candidati Les Republicains (LR), i post-gollisti, la regola generale è stata quella di non ritirare le candidature. In totale ci sono state due desistenze mentre 11 candidati rimangono in corsa in triangolari.
Di conseguenza, la stragrande maggioranza delle circoscrizioni (409) sarà contesa da due candidati.
Le desistenze non sono avvenute senza ambiguità, da parte della coalizione presidenziale, e senza drammi, da parte della sinistra. L’attuale maggioranza ha avuto difficoltà ha esprimere una posizione chiara e solo l’intervento di Attal aveva chiarito la posizione di Ensemble, inizialmente poco incline a riritarsi di fronte a candidati de La France Insoumise. Molti candidati di sinistra si sono invece dimostrati sofferenti all’idea di dover lasciar il passo a ministri dell’attuale governo o o di governi passati, come l’ex primo ministro Elisabeth Borne.
Ci sono stati anche candidati RN che si sono ritirati dalla corsa ma per altri motivi. Una candidata si è ritirata dopo che una sua foto con un berretto nazista è diventata virale, mentre altri due si sono ritirati per evitare che un candidato di LFI vincesse le elezioni.
Ora la parola passa agli elettori che possono decidere se seguire o meno le consegne di voto. L’osservato speciale sarà l’affluenza. Se sarà molto simile a quella del primo turno e gli elettori dovessero seguire le consegne di voto RN non dovrebbe ottenere la maggioranza assoluta. Molto dipenderà da quanto gli elettori si mobiliteranno per votare un candidato di un partito che potrebbero detestare: un elettore macroniano voterà per un candidato LFI? Un elettore LFI potrebbe votare per un candidato di Horizons, il partito di centrodestra dell’ex primo ministro Eduard Phillippe? Il celebre “fronte repubblicano” contro l’estrema destra è infatti sempre più in difficolta, indebolito dalla polarizzazione politica e ideologica.
E alcuni dati sembrerebbbero confermare questi problemi. Secondo un’inchiesta Ifop, in una contrapposizione tra la sinistra e il Rassemblement National, l’opinione differisce a seconda del partito da cui proviene il candidato sostenuto dall’unione della sinistra. Il 53% degli elettori vorrebbe che vincesse un candidato dell’alleanza di sinistra appartenente agli Ecologisti o al Partito Socialista, contro un candidato del Rassemblement National. In questa configurazione, il “fronte repubblicano” sarebbe efficace, dal momento che il 77% degli elettori della maggioranza presidenziale e il 52% degli elettori della destra tradizionale vorrebbero veder vincere un candidato socialista o ecologista contro il Rassemblement National.
Nel caso di duello tra un candidato del Rassemblement National e un candidato de La France Insoumise, un elettore su due (50%) vorrebbe vedere vincere un candidato del partito di Jordan Bardella. Sebbene gli elettori di sinistra siano ancora più entusiasti di vedere vincere un candidato de La France Insoumise, gli elettori del centro sono più “diffidenti”: il 66% degli elettori di Ensemble! e il 41% degli elettori di Républicains vorrebbero vedere vincere un candidato de La France Insoumise in questa configurazione.
Nel frattempo il RN ha anche deciso di cambiare idea rispetto al rifiuto di governare senza maggioranza assoluta. Marine Le Pen ha infatti ventilato la possibilità di una maggioranza relativa di “270 deputati” del suo schieramento alla quale potrebbero aggiungersi – con un accordo di coalizione o di sostegno esterno – rappresentanti di altri partiti per superare la soglia dei 289 eletti. I sospetti principali cadono su LR il cui “ni-ni” – né con il fronte repubblicano, né con l’estrema destra alle elezioni – è stato visto come un modo per lasciare aperta la porta di un eventuale accordo di governo. Quello che Macron non è riuscito a fare negli ultimi due anni.
E se non bastassero i deputati LR? Qui entra nuovamente in gioco la coalizione presidenziale, per quanto a pezzi e profondamente scossa dalla scelta del presidente.
Lunedì il primo ministro aveva detto che se RN non avrà la maggioranza assoluta, “l’alternativa è chiara”. La Francia, ha detto, avrà “un’Assemblea nazionale plurale, con diversi gruppi politici di destra, di sinistra e di centro, che lavoreranno insieme progetto per progetto per servire gli interessi del popolo francese”. Anche se si è premurato il giorno dopo di dire che non parlava di una coalizione e sarà il parlamento a decidere. Ma il segnale, inedito per il sistema francese, è stato lanciato.
E anche a sinistra si comincia a parlare del dopo. La segretaria nazionale degli Ecologisti, Marine Tondelier, ha dichiarato martedì a Libération:
”La questione non è tanto con chi, ma per quale scopo. Se il RN non vince […] la coalizione sarà costruita attorno al blocco repubblicano che è uscito vincitore, che molto probabilmente sarà il Nuovo Fronte Popolare. Non ci sarà un primo ministro macronista, per esempio. Questo è stato deciso al primo turno”.
Un’idea quella della grande coalizione verso la quale la portavoce del governo, Prisca Thevenot, si è mostrata abbastanza favorevole, dicendo che si tratta di un “principio di buon senso”. Sulla stessa linea la presidente uscente dell’Assemblèe Nationale, Yaël Braun-Pivet (Ensemble!), che ha parlato di una “grande coalizione che va dagli LR agli ecologisti e ai comunisti”. François Bayrou, presidente del MoDem, partito della coalizione presidenziale, ha invitato “repubblicani” e “democratici” a lavorare insieme se domenica RN non dovesse ottenere la maggioranza assoluta.
Marine Tondelier, segretaria degli Ecologisti, e Olivier Faure, segretario del PS
Xavier Bertrand, presidente di LR della regione Hauts-de-France ed ex candidato alle primarie presidenziali per il suo partito, ha invece chiesto la formazione di “un governo provvisorio” per evitare una situazione di stallo (in caso infatti di assenza di accordi non si torna ad elezioni visto che tra una dissoluzione e l’altra deve passare almeno un anno). In questo governo provvisorio non ci dovrebbero tuttavia essere “né LFI, né RN”, ha aggiunto.
Diverse le posizioni a sinistra. Anche se Tondelier ha proposto un governo di grande coalizione, una delle figure più importanti degli ecologisti, Sandrine Rousseau, si è detta contraria a un governo con i centristi e LR. Stesse parole da parte di LFI.
“Gli ‘insoumis’ governeranno solo per applicare il loro programma, nient’altro che il programma, tutto il programma”, ha ribadito martedì su BFMTV il coordinatore de La France insoumise Manuel Bompard, escludendo la partecipazione a una grande coalizione. Anche il suo collega Eric Coquerel, presidente della commissione finanze, ha espresso dubbi su questo scenario.
In attesa dei rapporti di forza parlamentari, la questione della leadership della sinistra continua a riemergere. François Ruffin, deputato di LFI e avversario interno di Mélenchon, ha assicurato che il leader de La France Insoumise “non sarà mai primo ministro” perché
“I comunisti non lo vogliono, gli ecologisti, non lo vogliono, i socialisti non lo vogliono. E nemmeno io lo voglio”
E nella (ex) maggioranza presidenziale? Sembra che ci sia la percezione che sia finita una fase, dopo che il presidente “ha ucciso la maggioranza” come ha dichiarato l’ex primo minitro Eduard Phillippe. E in attesa di questa nuova e inedita fase, il governo sta effettuando molte nomine: una trentina tra cui ambasciatori, alti magistrati e la riconferma del commissario europeo Thierry Breton. Un modo per evitare che la coabitazione o una situazione con una maggioranza meno favorevole di ora possa bloccare il processo di nomina che ha bisogno dell’accordo tra il presidente e il primo ministro.
L’articolo Il triangolo, no proviene da ytali..