Premessa
Uno spettro s’aggira in Europa: così Marx ed Engels nel 1848 iniziavano il loro Manifesto del Partito Comunista. Ancora oggi tra le cancellerie dell’Occidente, nel backstage del conflitto in Ucraina, vaga uno spettro forse ancora più temibile. È quello dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica ma le simpatie sono più ampie) che vuole sfidare l’attuale equilibrio geopolitico globale.
Volendo, è il vecchio spettro di Lin Piao che voleva il Sud contro il Nord del mondo, Mosca compresa. La novità rispetto ai tempi dell’URSS è che ora quest’ultima è schierata contro il Nord. La guerra tra Kiev e la Federazione Russa è parte di questa dinamica geostrategica globale. Di qui le preoccupazioni dell’ultimo Kissinger di tenere un canale di comunicazione con il Cremlino. Da sostenitore del divide et impera con gli avversari dell’Occidente fu fino all’ultimo preoccupato di “perdere” la Russia. Ecco la ragione per la quale la guerra in Ucraina rianima il fantasma. Dunque da Lin Piao all’Ucraina e ritorno.
Sulla guerra europea. Le righe seguenti si occupano di questa. Soprattutto della lettura, meglio la costellazione intellettuale, con la quale essa è letta al di qua della nuova cortina di ferro, fattuale sebbene impalpabile. Comunque, va contestualizzata. Per la ragione che ci fu un breve periodo post-URSS nel quale Mosca continuava come nel periodo bolscevico, di qui la critica di Lin Piao, a co-governare il mondo con l’Occidente (sull’opportunità di ciò, a partire dalla debolezze dell’unipolarismo degli Usa, cfr. C. PELANDA, La grande alleanza, Franco Angeli, 2007).
Viceversa l’Operazione Militare Speciale di Putin nasce in un contesto di relazioni internazionali opposto. Mosca legge le radici del confronto odierno nel mito della “promessa tradita” sull’allargamento a Est della NATO. Difficile da provare; e i fatti ex post dimostrano poco. Nondimeno la “broken promise”, una volta introiettata, spiega il risentimento russo. Il fatto è che l’Occidente ha dovuto scegliere tra due opzioni. Rispondere alla domanda di integrazione o continuare a tessere un rapporto con la Russia, il convitato di pietra degli equilibri esteuropei (G. NATALIZIA, M. MORINI, Il Fianco est: ritorno al passato, in G. NATALIZIA, L. TERMINE, a cura di, La NATO verso il 2030, il Mulino, 2023.
Il dilemma della sicurezza
Le scelte di cui si è appena detto esibiscono una prima radice (in realtà determinata dal mutare di fase storica tra Washington e Mosca) del conflitto che si combatte in Ucraina evidenziandone il rilievo geostrategico. Si tratta del cosiddetto “dilemma della sicurezza”. In linea teorica indica ciò che accade quando un attore internazionale per implementare la propria sicurezza adotta misure militari che automaticamente generano insicurezza crescente nell’altro (G.E. RUSCONI, Rischio 1914, il Mulino, 1987). È la storia dell’allargamento della NATO ai Paesi ex sovietici (ostili alla Russia) e del Nord Europa.
Per contrappasso, come spiega la Teoria delle relazioni Internazionali che vede i rapporti tra Stati come “competizione per la sicurezza” (tra i fautori del realismo politico J. M. Mearsheimer), la Federazione Russa interpreta tutto questo come tentativo d’assedio. Facilitata in questo dal sentirsi orfana dell’impero bolscevico e sofferente per il ruolo di potenza meramente regionale a cui gli Usa vorrebbero declassarla (l’incipit fu di Obama). Ormai il tempo di Pratica di Mare quando nel 2002 il presidente degli Usa e il presidente della Federazione Russa si davano la mano è lontano
Al contempo il sostegno in termini d’armi della Corea del Nord all’Armata Rossa in Ucraina (fino a ventilare l‘invio di truppe nordcoreane) individua bene la nuova fase.
Il contesto del conflitto ucraino
Il 24 febbraio 2022, alle ore 5:30 del fuso orario di Mosca Putin annuncia l’inizio dell’Operazione Militare Speciale. A quel punto le opzioni strategiche sul campo sono poche. In qualche modo molti dei “dati geopolitici” sono tratti. Mosca e le cancellerie dell’Occidente almeno nell’immediato avevano la strada segnata.
Questo perché nell’immaginario occidentale la Russia così tornava a essere l’eterno Orso brezneviano. L’ipotesi più probabile, considerando che almeno dalla Dottrina Strategica dell’Amministrazione Clinton l’avversario primo è Pechino, è che si pensi alla Russia ormai come una potenza di rango secondario. In altri termini il sostegno a Kiev, a parte gli obblighi di un Lord protettore verso un ceto politico che gli si è affidato, avrebbe pure il compito d’indebolire l’avversario minore moscovita (o percepito tale) prima del confronto decisivo col celeste Impero. Dunque coprirsi le spalle con la Russia prima del grande confronto con l’impero Celeste (su questo conflitto come destino cfr. G. ALLISON, Destinati alla guerra, Fazi Editore, 2018). Ma la Russia di Putin non è quella di Gorbaciov/Eltsin.
La situazione in Ucraina per quel che mostra la “nebbia della guerra”: la fine di illusioni sulle “guerre leggere”
L’Ucraina ha difficoltà belliche. Difatti, nonostante l’appoggio dell’Occidente la situazione delle sue forze armate presenta problematicità sotto tre aspetti. È lo stesso vertice di Kiev a dirlo. In primis si tratta di carenze di capitale umano. Infatti le perdite hanno aperto vuoti difficili da colmare sia numericamente sia per addestramento (questo richiede tempo che è una risorsa scarsa). Poi vi sono le carenze di armamento/munizioni che trovano nei paesi contermini (sostanzialmente l’area NATO) difficoltà di reperimento per difetto di capacità produttiva.
Infine necessitano mezzi la difesa antiaerea per proteggere truppe e logistica. Sebbene l’Occidente pensi di combattere col pieno dominio dei cieli, nondimeno qui fatica nel sostenere l’alleato dato che nei cieli domina e colpisce la Federazione Russa. Non a caso le richieste del governo ucraino in materia sono pressanti. Il fatto è che i “pezzi” antiaerei sono pochi. Tant’è che l’unico modo rapido di loro consegna – dati i tempi di costruzione – è quello di cannibalizzazione delle riserve dei paesi NATO. Logico che i loro vertici militari siano perplessi per il degradarsi delle singole difese nazionali.
Le difficoltà di approvvigionamento sono la superficie. Qui emerge la debolezza militare di un’ideologia che all’atto pratico è sempre stata nulla fuor dalla retorica che l’ha accompagnata. Nel senso che l’Occidente, quindi l’Alleanza Atlantica, si è illusa che nel dopo URSS si sarebbero potute “mettere in soffitta” le vecchie “guerre pesanti”. Illusioni, forse già da prima. È un immaginario più politico che militare che nel dopo guerra fredda narra che sia giunto il tempo di governo globale (per la critica D. ZOLO, Cosmopolis, Feltrinelli, 1995) e di impieghi di truppe intesi come atti di polizia per ripristinare l’ordine internazionale violato.
Al massimo, dinnanzi a punti di resistenza a Pechino e a Mosca la superiorità tecnologica degli Usa sarebbe bastata a dissuadere giusto per il tempo che la logica dei mercati integrasse pure queste ultime nell’unipolarismo liberal.
Tuttavia già le vicende in Iraq e in Afghanistan avevano mostrato i limiti di recenti dottrine politiche sulla guerra che si volevano post-storiche. Cioè coerenti con l’idea di matrice hegelo-marxista (poi traslatasi in ideologia neocon dell’unipolarismo Usa) di fine della storia come zenit dell’evoluzione dello Spirito umano (da A. KOJEVE, Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi, 1996 a Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, UTET, ult- ed. 2023). L’Operazione Militare Speciale di Putin le ha falsificate.
È un po’ come se la vecchia “talpa dello Spirito” (Shakespeare, Amleto, atto V°) abbia scavato oltre la coscienza degli attori (la narrazione del mondo unipolare) riportando sul palcoscenico della storia le grandi battaglie del passato. Forse più simili in Ucraina alla modernizzazione del campo di battaglia della I^ Guerra Mondiale: ovvero le trincee con l’aggiunta dei droni. Il conflitto Kiev/Mosca insegna che la scala del questo può tornare ad essere ampia. È la dura “guerra d’attrito” (l’espressione tedesca Materialschlacht – guerra di materiali – ne dà l’immagine visiva) dal forte impatto logistico che esclude che gli eserciti possano “cavarsela con scorte modeste di munizioni e di armamenti” (GEN. D. PETRAEUS, A: ROBERTS, L’arte della guerra contemporanea, cap. 10, UTET). Lo si vede nella sua forza di logoramento delle capacità dei cobelligeranti ad Ovest.
Insomma, è la guerra classico/moderna a essere riapparsa. Forse non è mai sparita. Lo mostrano per nell’immediato Secondo Dopoguerra vari episodi bellici dalla Corea all’odierna Gaza. Sono le “operazioni di polizia internazionali” l’eccezione essendo legate alla possibilità di definire un ordine giuridico violato e dunque da ricostruire. Condizioni che richiedono, per essere, o l’accordo delle grandi potenze o l’egemonia di una di esse (l’unipolarismo degli Usa oggi in difficoltà).
Piuttosto la guerra in Ucraina per alcuni versi ricorda più la Seconda Guerra Mondiale che la Prima. Quantomeno per il suo carattere ideologico: la guerra tra le forze liberal-capitaliste e la comunista contro il nazifascismo. Che oggi tende a configurarsi, a danno sia della Realpolitik che conseguentemente della diplomazia, come confronto tra capitalismo liberale e autocrazie. È l’incubo della politologia “realista” occidentale. Quasi che l’Occidente giocasse a rilanciare solo la “testa” che guarda ad Oriente dell’Aquila Imperiale Russa.
È il sogno panslavo del populismo russo (A. DUGIN, L’ultima guerra dell’Isola–Mondo, AGA Editrice, 2018) che l’approccio occidentale alla guerra favorisce. Dando modo allo spettro di Lin Piao di ripensare il suo vecchio quadro strategico nel nuovo tempo. Che per il generale si potrebbe materializzare in Europa con le liberal/democrazie, persa Mosca (la III^ Roma, l’ortodossa), assediate. Quadro lontano ma da esorcizzare subito. Lecito quindi dire che dopo il gelo imposto dalla guerra fredda le ceneri sepolte dal crollo dell’Impero dello Zar e d’Austria/Ungheria hanno ripreso ad ardere con forza.
Il conflitto tra il dopo Kabul, la corsa Usa al Pacifico e la sicurezza europea.
Così la “fine della fine della Storia” ha incendiato il Vecchio Continente. Le sue classi dirigenti esposte più o meno indirettamente al conflitto esibiscono tanta retorica quanta carenza di esplicite finalità (cfr. il n. 4/24 di Limes sui pericoli di una guerra in assenza del “canone clausewitziano della preminenza del politico sulle armi). Danno così l’impressione più di esserne trascinate che di governare gli eventi.
Inoltre il fronte desta preoccupazione. La ragione è che nonostante gli aiuti le forze armate di Kiev possano cedere. Sarebbe una “botta” pesante alla credibilità dell’Occidente – dagli States, l’UE e pure NATO pur finora avendo sinora una posizione di seconda fila sul conflitto Kiev/Mosca – provata per l’abbandono dell’Afghanistan (un tragico errore geopolitico degli Usa).
Evento che ha scosso le architravi dell’egemonia occidentale. Perché la fuga afghana ne ha minato l’appeal politico/ideologico. Cosa che si riverbera pure in Ucraina provocando dubbi sulla tenuta delle classi dirigenti atlantiche. Limitandosi al quadrante europeo, probabilmente per esorcizzare in anticipo il dilemma intervento/non intervento, provano a giocare d’azzardo fuggendo in avanti. Tocca all’Eliseo fare il “canarino in miniera” annunciando del possibile invio di forze in Ucraina.
In primis appare un messaggio simbolico su due fronti: tranquillizzare Kiev escludendone il destino di “nuova” Kabul; ma anche ricordare a Washington i suoi impegni in Europa. Questa volta per evitare una Kabul 5.0. Ma soprattutto potrebbe essere un messaggio a Washington per ricordare Oltreoceano gli impegni per la sicurezza degli Stati europei. Del resto l’ansia da ritiro Usa è da sempre sottotraccia in Europa. Lo era già negli anni ’80 del ‘900 ai tempi dell’installazione degli SS 20 sovietici.
Al tempo il timore era che questi missili a medio raggio, cioè capaci di raggiungere l’Europa senza minacciare direttamente gli Usa, di fatto annullassero la credibilità alla deterrenza statunitense. Cioè portassero al decoupling” tra i due lati dell’Atlantico col risultato politico della neutralizzazione del Vecchio continente. Figurarsi oggi dinnanzi ad un eventuale collasso ucraino e con la testa di Washington “persa” nel Pacifico. La qualcosa potrebbe spiegare le rigidità euroatlantiche con Mosca nonostante i molti interessi economici dell’UE col Cremlino. Logico perché l’economia rispetto alla sicurezza (sopravvivenza) è il parente povero nei rapporti quantomeno internazionali.
L’incubo dell’intervento diretto in Ucraina e la possibile escalation in Ucraina
L’impegno dei ceti politici atlantici a sostegno di Kiev è stato da subito ancorato ai miti del “diritto internazionale di rito wilsoniano, il cosiddetto “globalismo giuridico” (contra D. ZOLO, Per una filosofia moderna e realista del diritto internazionale, Jura Gentium, 2007). Viceversa la riflessione strategica è stata minima, forse assente. Ed ora temono di dover affrontare il possibile dilemma: o allargare la guerra o perdere la faccia. La questione è ineludibile per tutto l’Occidente. Perché un ipotetico collasso di Kiev avrebbe conseguenze esplosive da Formosa alla Corea del Nord. Il motivo è che nella “Terza Guerra Mondiale a pezzi (copyright papa Francesco) tutto si tiene.
Di qui, restando al fronte ucraino, il senso del già richiamato “canarino in miniera” del Presidente francese Macron. Parigi si assume un rischio politico (CECILIA EMMA SOTTILE, Il rischio politico, Luiss University Press, 2019) di porre a tutto l’Occidente alternative reali ma gravide d’incognite. Quindi, per dire con l’analista Di Gobbi: <<o si decide di schierare i nostri soldati sul terreno o si obbliga di fatto Kiev a trattare e accettare la pace>> (A. LI GOBBI, Stoltenberg la NATO e le armi occidentali in Ucraina, Analisi Difesa, 227/05/2024). Così il mondo Atlantico ha dinnanzi il suo Rubicone.
Visto da Mosca potrebbe significare la perdita di fiducia occidentale su di una facile vittoria e il tentativo di salvare la faccia giocando d’azzardo. Pericoloso, però, salvo che il Cremlino accetti il gioco condividendo le stesse linee rosse impossibili da superare. Mancano le garanzie. Il guaio sarebbe grande se Mosca volesse vedere il bluff magari alzando il tiro magari sulla Transnistria. Dipende anche da “cos’è” il conflitto per la Russa. Se fosse una “guerra esistenziale” i calcoli occidentali sarebbero un’illusione.
Un abbaglio che porta ad una pericolosa forma di sonnambulismo politico. (C. CLARK, I sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra, Laterza, 2012). Il motivo è che se nel confronto strategico una parte pone in cima alla scala valori non-negoziabili la conseguenza è quella di un escalation senza contrappesi frenanti (in letteratura G. E. RUSCONI, Scambio, minaccia, decisione, il Mulino, 1984 e B. CHIARINI, P SBRIGLIA, Il “male strategico” della guerra, Rubettino, 2024). Ecco dunque la possibile alternativa del diavolo: il progressivo allargamento del conflitto in Europa fino a coinvolgere la NATO.
L’escluderlo a priori è una chimera alla cui base c’è l’ipotesi che gli Stati siano attori dotati di perfetta razionalità calcolante. Quindi assoluta cognizione sia della situazione sia delle intenzioni della controparte. Peccato che questa capacità di calcolo/scelta ottimale sia utopica e priva di isomorfismo con le situazioni “reali”. Il fatto è che si si decide in condizioni cognitive limitate anche per l’assenza di un <<optimum di razionalità universale>> (M. CROZIER, E. FRIEDBERG, Attore sociale e sistema, ETAS LIBRI, 1978, pp. 221 ss e M. LOMBARDI, M. MACCHI, I processi decisionali, Nerbini, 2016).
Pertanto si dovrebbe chiudere la crisi dell’Ucraina prima che vittorie sul campo di chicchessia la portino fuori controllo. Vale per il possibile tracolo di Kiev, inaccettabile ad Occidente, come per l’eventuale ’implosione della Federazione Russa. Perché entrambe aprirebbe a situazioni potenzialmente imprevedibili.
Da Clausewitz ad Eisenhower passando per il 38° parallelo
Resta che il collegarsi della guerra dall’Europa ad altri punti di crisi (dalle tensioni Nord/Sud in Corea, alle esercitazioni militari attorno a Taiwan fino all’arco di crisi che dall’Iran giunge passando per i Libano in Israele) potrebbe accadere sebbene nessuno sembri volerlo. La qualcosa è favorita specie a Occidente da una narrazione bellica, come già accennato, giuridico internazionalista. Cioè più ideologica (principi) che politico/diplomatica (orientata a obiettivi fattibili): in sostanza pensano la guerra in essere “contro Clausewitz”.
Paradossalmente le élite dell’Occidente paiono richiamare una lettura “forzata” del Prussiano. In altri termini lo leggono con occhiali leninisti (G. R. RUSCONI, Clausewitz e il marxismo-leninismo, in Clausewitz, il prussiano, cap. VI°, § 6, Einaudi, 1999) il rapporto con Mosca in relazione al conflitto posto sulle linee di faglia tra Impero Asburgico e Zarista. In tal modo la politica da fattore limitante (il vincolo della realtà oggettuale) diviene essa stessa “politica militarizzata”. La conseguenza: pensare al limite solo obiettivi massimi: ad esempio schiantare la Russia con sanzioni e l’offensiva autunnale (suicida) Ucraina.
Infatti Lenin (LENIN, Note al libro di von Clausewitz “Sulla guerra e la condotta della guerra”, Classici del marxismo, dispense, 1970), commentando il famoso <<La guerra non è null’altro che la continuazione della politica di Stato con altri mezzi>>, ne dà un’interpretazione totalizzante. Legata alla logica dell’annientamento del nemico. La cui politicità, diversamente dal Tedesco, dà il senso totalizzante dello scontro di classe. È una lettura “produttiva socialmente”, cioè progressiva, della guerra (per ulteriori considerazioni su marxismo oltreché leninismo e guerra cfr. U. CURI, Pensare la guerra, edizioni Dedalo, 1999). Qui le classi politiche dell’Occidente mimano il leader bolscevico solo sostituendo in perfetto stile neocons la sua semantica classista e rivoluzionaria con la dicotomia democrazia/autocrazia.
La logica però è la stessa e si perde ciò che Clausewitz riteneva fondamentale: il senso disciplinante del predominio pieno della politica sulla guerra. Ma le classi dirigenti occidentali credono veramente agli obiettivi massimi dichiarati? Probabilmente no. Nondimeno, è irrilevante perché la rete concettuale in cui si sono impigliate le obbliga a percorrere certi sentieri per mantenere la credibilità. Certo quella Ucraina è ancora “quasi” guerra per procura – ufficialmente a combattere ufficialmente sono solo gli ucraini nonostante la possibile guida occidentale delle armi più sofisticate – ma è in atto di fatto una silente escalation.
Attenzione: il rigetto della “guerra clausewitziana” implica la “scissione tra politica e guerra” (Limes, n° 4/24, cit). È la “guerra assoluta”. Ma un conto è applicarla ad attori internazionali di minore dimensione (Iraq, Libia) o in una guerra per procura (l’URSS in Vietnam contro gli Usa; questi in Afghanistan contro Mosca; ecc.) e altra cosa, tutt’affatto diversa, è pretendere di farlo con una potenza nucleare. Qui l’immaginario ideologico stride con la realtà.
E aiuta poco, sebbene sia conseguente all’impostazione ideologica fin qui assunta, interpretare l’Operazione Militare Speciale del Cremlino in analogia agli eventi decisi dalla Germania nazista in Europa al finire degli anni Trenta del ‘Novecento. Perché così, a parte la forzatura storica, ha di fronte a sé o la guerra totale o il nulla. Insomma si trova senza strategia politica. Pertanto l’Occidente deve ritrovare il Teorico prussiano. Altrimenti resta prigioniero degli eventi e null’altro fa, assumendosene il rischio, di farsi guidare da Kiev.
Ripensando la razionalità pragmatica esibita dal Presidente degli Usa Eisenhower dinnanzi alla prima “guerra calda” della guerra fredda, cioè quella in Corea. Difatti questi nel 1953 volle bloccarla al 30° parallelo, senza vinti né vincitori. Soluzione perfetta? No, ma ha retto per anni. Al contrario, tuttora l’adozione del “modello Corea 1953” è rifiutato in Ucraina. Forse per le cessioni che l’Ucraina oggi dovrebbe fare alla Federazione Russa? Oppure perché si spera che funzioni con Mosca la dubbia strategia del “mettere una rana in una pentola d’acqua fredda e lessarla prima che reagisca”? Che fare? Tregua o allargamento della guerra?
L’invio di truppe in Ucraina tra ipotesi di paneuropea, anche solo convenzionale, e il “modello Corea 1953
Una guerra d’attrito in stile ucraino, anche se convenzionale, vedrebbe le FFAA euroatlantiche in difficoltà. In specie le europee, ma non solo. Scelte di trent’anni hanno indebolito l’Occidente. Meno per difetti di teoria militare e molto sia per l’ibris per una supposta superiorità globale e la convinzione che gli “scarponi sul terreno” sarebbero serviti al massimo solo per nemici posti alle periferie del globo, (sulla Rivoluzione degli affari militari cfr. A. LOCATELLI, Tecnologia militare e guerra, Vite e Pensiero, 2010; C. STEFANACHI, Guerra indolore. Dottrine, illusioni retoriche della guerra limitata, Vita e Pensiero, 2017).
Mentre a contenere il resto (la Cina e una Federazione Russa sarebbe bastata la soggezione per la superiorità tecnologica di Washington. Di qui il concentrarsi sulla “guerra al terrorismo” e sulla ricerca di “effetti speciali tecnologici”. Purtroppo questi ultimi pure accompagnati dal sospetto di avere costi economici a rendimenti bellici decrescenti (sulla resa della spesa militare e sulle diverse opinioni cfr. A. GILLI e M. GILLI; Il senso strategico delle spese militari, Aspenia, n° 2, 2024).
Il punto è che nel post Guerra fredda l’Occidente, raggiunto lo zenith di potenza al tempo di Desert Storm nel 1990, ora in Ucraina avrebbe i Le sui problemi (si veda per il Regno Unito, House of Commons Defence Committee, Ready for War? First Report of Session 2023–24, printed 30 January 2024). Ecco perché il tema sollevato da Parigi dell’invio truppe in Ucraina impone una seria riflessione. Qui due sono le possibilità. Se pensate come combattenti la scelta è l’escalation. Oppure le parole del Presidente francese vogliono significare che lo schieramento di forze atlantiche (meglio evitando una missione NATO) nelle retrovie del fronte segnerebbe un’invalicabile linea rossa per l’Armata moscovita e una garanzia per Kiev.
In altri termini, se ben gestita l’operazione da un punto di vista diplomatico, l’invio di questi reparti potrebbero costituire una possibile premessa per iniziare una trattativa con Mosca. Sarebbero i prodromi della “soluzione coreana”.
La Russia nella sfida globale
Appena dopo il crollo dell’URSS e nel pieno delle trattativa Kiev/Mosca sulle armi nucleari in territorio ucraino il politologo statunitense Mearsheimer scriveva: <<Le grandi potenze divise da una linea di confine molto estesa e non protetta, come quella che separa Russia e Ucraina, entrano spesso in contrato spinte dalla paura per la propria sicurezza>> (J. J. MEARSHEIMER, The Case for a Nuclear Deterrent, in Foreign Affairs, n° 72, 1993). Così la politologia di scuola “realista” (sue variabili critiche solo “potere” e “sicurezza”) già individuava alcune cause dell’attuale conflitto.
A partire dalle proprie categorie interpretative, per Mearsheimer la variabile indipendente (causa) della guerra (in essere prima del 2022) è l’ansia di sicurezza degli Stati coinvolti. Esiste però un’altra interpretazione che più apre alla situazione geopolitica globale. Interessanti entrambe per ciò che vogliono comprendere, quest’ultima interpreta la guerra Kiev/Mosca come fase locale di una più ampia faglia tra Occidente e Mondo Ortodosso (S. P. HUNTINGTON, Lo scontro delle civiltà, Garzanti, 1997). Faglia che taglia l’Ucraina lungo la linea divisoria ipotizzata dal “modello corea 1953”.
In questa prospettiva nulla vieta il formarsi di alleanze opportuniste e provvisore tra “modelli civiltà” diversi contro la civilizzazione occidentale. La triangolazione Mosca, Pechino, Pyongyang, più in generale i BRICS, evidenzia una dinamica geopolitica ostile radicalizzata dal conflitto ucraino. Questione che l’Occidente avrebbe dovuto affrontare decenni fa.
L’Operazione Militare Speciale di Putin va letta in questo contesto. Di certo essa ha mutato l’equazione politico/strategica sia del Vecchio Continente che globale. Così la sveglia ha preso a suonare sia per l’Occidente che in particolare per gli Stati europei, addormentatisi geopolitcamente e militarmente durante la guerra fredda. Per decidere sull’Ucraina come su di sé.
A partire dalla “vera” domanda finale. Ossia se sia possibile che l’Occidente, senza il supporto di Mosca (la Terza Roma), regga la sfida di vari “sistemi civiltà” coalizzati assieme contro di esso? Oppure quello con la Russia in Ucraina inevitabile perché segue la faglia tra civilizzazione ortodossa e cristiana? È l’eterno quesito che si riproduce nel tempo: dalla grande Caterina, passando per il “marxismo occidentale” di Lenin e Trotsky a quello “asiatico” di Stalin, per giungere a Eltsin e Putin.
Il duplice sguardo dell’Aquila Imperiale della Russia ne individua le possibili varianti. Una è quella suggerita dall’ultimo Kissinger quando invita a riprendere a parlare col Cremlino. L’alternativa è il riemergere della dottrina di Lin Piao delle “campagne (ex) del Sud che assediano in Nord” modernizzata per le nuove esigenze di Pechino. Ai sostenitori di una Federazione Russa murata – ecco il significato geostrategico della Crimea e dei suoi porti aperti a Occidente – in Asia va ricordato che sarebbe un boomerang per l’Occidente. Che infatti ci lavora. Anche di questo parla la guerra in Ucraina.
immagine di copertina: Un Antonov An-225 Mriva distrutto nella battaglia dell’aeroporto di Hostomel,24 febbraio 2022
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