Se con queste elezioni Nicolás Maduro si riprometteva di superare l’isolamento internazionale di cui il Venezuela soffre dopo venticinque anni di governo chavista, condizione necessaria per mettere la parola fine alle sanzioni che azzoppano l’economia del paese, pare abbia sbagliato clamorosamente i suoi calcoli nel giorno in cui cadeva il settantesimo compleanno di Hugo Chávez, il capo indiscusso che, sentendo giungere la morte per cancro, lo aveva indicato come suo erede.
Il responso delle urne allontana il Venezuela da quella via fatta di estenuanti negoziati che aveva portato a qualche addolcimento delle sanzioni ed a un conseguente miglioramento dell’economia del paese. E ha l’effetto di ricollocare Maduro tra i paria a livello internazionale, inseguito da un mandato di arresto per narcotraffico e con pesanti accuse di violazione di diritti umani. Mentre per quella sinistra fatta dai Lula, Mujica, Petro, Boric e Alberto Fernández, volendo citare solo alcuni dei tanti leader progressisti che in questi giorni avevano preso posizione, Maduro ritorna ad essere il parente del cui comportamento vergognarsi e da cui è conveniente prendere le distanze.
Tutto ciò perché il risultato ufficiale del Consejo Electoral de Venezuela (Cne), un organismo la cui autonomia rispetto all’esecutivo è del tutto apparente, ha assegnato la vittoria all’ex autista del Metrobus di Caracas con il circa il cinquantuno per cento, mentre al suo avversario Edmundo González Urrutia, un ex diplomatico su cui tutta l’opposizione di destra si era unita, è andato di poco oltre il quarantaquattro per cento dei voti. Un totale di 21.620.705 elettori venezuelani e duecento ventotto mila elettori residenti all’estero erano stati autorizzati a votare negli oltre quindici mila centri distribuiti in tutto il paese. Una inezia se si sta ai dati dell’agenzia delle Nazioni Unite Unhcr, secondo la quale sono già sette milioni e settecento mila i venezuelani che hanno deciso o, meglio, sono stati spinti a vivere all’estero, di cui sei milioni e mezzo sono stati accolti in America Latina e nei Caraibi.
I sospetti di brogli
L’esito delle elezioni ha rovesciato ogni aspettativa della vigilia, dato che, sondaggi alla mano, l’opposizione anti chavista era data avanti dai venti ai trenta punti rispetto al presidente in carica. Mentre, ore prima dell’annuncio ufficiale del Cne, dal comitato elettorale di Edmundo González e di María Corina Machado, la candidata alla presidenza eletta dalle primarie della destra nel 2023, inabilitata politicamente per quindici anni, erano state denunciate irregolarità nella trasmissione dei verbali e nell’espulsione arbitraria dei testimoni dai seggi elettorali. La conseguenza è stata che l’opposizione ha contestato i risultati ufficiali dichiarando di essere in possesso di conteggi che danno ad Edmundo González il settanta per cento dei voti e il trenta per cento a Maduro. La qual cosa ha consentito a María Corina Machado di annunciare che:
Il Venezuela ha un nuovo presidente ed è Edmundo González Urrutia. Abbiamo vinto per il settanta per cento e tutti lo sanno.
In una conferenza stampa ieri, Machado ha rincarato la dose rivelando che l’opposizione è riuscita a ottenere circa il settanta tre per cento dei verbali emessi nelle elezioni presidenziali di domenica, che danno la vittoria all’ex ambasciatore Edmundo González Urrutia, con una differenza “strabiliante”, smentendo l’ente elettorale che ha dato come vincitore Nicolás Maduro. Machado ha detto che Maduro ha ottenuto 2.759.256 voti, mentre González Urrutia 6.275.182. Ed ha spiegato che tutti questi verbali sono stati verificati, totalizzati e digitalizzati, per essere pubblicati su un portale web “robusto” che già “diversi leader mondiali stanno consultando” e che sarà pubblico nelle prossime ore, in modo che tutti possano vedere le “prove della vittoria” di González Urrutia. Da parte sua, l’ex ambasciatore ha promesso che l’opposizione farà rispettare la volontà espressa dal voto di domenica, e che questa è l’unica strada verso la pace.
Almeno fino a questo momento, le dichiarazioni di María Corina Machado e di Edmundo González si sono limitate a chiedere ai propri sostenitori una “vigilanza civica”, ma non c’è dubbio che la contestazione dei dati del Cne apre una crisi politica il cui sviluppo e risultato sono quanto mai incerti. Intanto Caracas si è risvegliata lunedì con il rumore dei cacerolazos in alcuni quartieri cittadini e con grida di “¡Fraude!” e “ladrones”, mentre il governo ha dispiegato per le strade forze della policia bolivariana e militari in assetto antisommossa. Ma le manifestazioni si sono estese in vari stati del paese, come Barinas, Falcón, Carabobo, Miranda e Vargas, e si registrano i primi scontri durante i quali, sino ad ora, almeno quattro persone sono morte e quarantasei sono rimaste ferite. Girano in rete video che ritraggono i manifestanti mentre abbattono in varie località del paese le statue di Hugo Chávez.
Reazioni internazionali
Vista l’importanza che le elezioni venezuelane rivestivano a livello internazionale, per la possibilità concreta di archiviare venticinque anni di potere chavista, le elezioni presidenziali di domenica scorsa non hanno ottenuto un riconoscimento unanime a livello mondiale.
Cina, Russia e Iran, i paesi più vicini al governo venezuelano per i grandi interessi economici e militari, non certo per simpatie ideologiche, si sono subito congratulati con Nicolás Maduro, seguiti da Cuba, Nicaragua, Honduras e Bolivia. D’accordo sulla regolarità delle elezioni anche Siria e Madagascar. Mentre nel resto della comunità internazionale alcuni governi hanno immediatamente respinto l’esito delle elezioni considerandolo una frode di Maduro. Ciò ha riguardato Argentina, Cile, Uruguay, Perù, Ecuador, Guatemala, El Salvador, Costa Rica, Panama, Repubblica Dominicana che chiederanno “una riunione urgente del Consiglio permanente dell’Organizzazione degli Stati Americani (Oea) per emettere una risoluzione che “salvi la volontà popolare”. Il cileno Gabriel Boric, ha affermato che i risultati annunciati sono “difficili da credere” e ha chiesto:
Totale trasparenza dei verbali e del processo, e che osservatori internazionali indipendenti dal governo rendano conto della veridicità dei risultati. Dal Cile non riconosceremo alcun risultato che non sia verificabile.
Mentre il presidente del Guatemala, il socialdemocratico Bernardo Arévalo, ha scritto in X che “il Venezuela merita risultati trasparenti, accurati e coerenti con la volontà del suo popolo”, affermando di aver ricevuto “con molti dubbi l’esito del voto”.
Appartengono invece ai paesi che hanno chiesto un conteggio trasparente gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Colombia e il Brasile. Il segretario di Stato, Antony Blinken, ha espresso la sua “seria preoccupazione” che il risultato annunciato in Venezuela non rifletta la volontà del popolo, e ha chiesto un conteggio “giusto e trasparente” dei voti. Mentre Kamala Harris ha detto che:
Gli Stati Uniti sostengono il popolo del Venezuela che ha espresso la sua voce nelle storiche elezioni presidenziali.
Joe Biden ha fatto sapere che oggi pomeriggio parlerà con Lula da Silva. Per il Brasile, il cui presidente nei giorni scorsi si era detto spaventato dalla minaccia di bagno di sangue fatta da Maduro in caso di sua sconfitta, il ministero degli Esteri ha sollecitato una “verifica imparziale dei risultati” e ha chiesto al Cne la pubblicazione “dei dati disaggregati per seggio elettorale” in modo che il processo elettorale abbia “trasparenza, credibilità e legittimità”.
Si è, inoltre, saputo che il Brasile è in trattative con il Messico e la Colombia per pubblicare una dichiarazione congiunta che richiede che il Venezuela conti tutti i voti e pubblichi i registri elettorali di ogni distretto. La dichiarazione congiunta degli alleati più stretti di Maduro nella regione sarebbe un modo per aumentare la pressione sul suo governo, che finora ha ignorato le richieste dell’opposizione venezuelana e della comunità internazionale di pubblicare i verbali. Mentre Lula la settimana scorsa aveva detto che Maduro:
Ha bisogno di imparare: quando vinci, rimani; quando perdi, te ne vai e ti prepari a vincere altre elezioni.
Avvertendo che il futuro economico del Venezuela dipende da un’elezione pulita con un risultato che la comunità internazionale considera legittimo. Lula ha anche inviato il suo consigliere per gli affari internazionali, Celso Amorim, che ha incontrato Maduro e ha fatto pressione per avere accesso ai verbali elettorali che certificano la vittoria di Maduro contro il movimento dell’opposizione guidato da Edmundo González Urrutia. Infine, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha chiesto al governo venezuelano di contare i voti “nella totale trasparenza”. Simile posizione ha espresso Josep Borrell, capo della diplomazia europea.
Quello che pare sicuro è che la vittoria del Partido Unido Socialista de Venezuela scatenerà sicuramente una nuova ondata di persone che lasceranno il Paese in cerca di migliori condizioni di vita. Un recente sondaggio ha mostrato che un terzo dei venezuelani era incline a lasciare il Paese se le urne non avessero offerto un cambiamento di rotta politica o se la frode fosse stata la causa della riconferma di Maduro. Anche se, ad essere sinceri, la causa dell’esodo non è solo Maduro, quanto l’inflazione che ha colpito il paese. Una delle peggiori a livello mondiale, dato che nel 2020 ha chiuso con una percentuale del 2.968,8%, scesa nel 2023 al 193%, mentre l’ultimo indice su base annua è del 67,75%. Tutto ciò, oltre alla difficile situazione politica, ha generato una crisi umanitaria con milioni di esuli, con un modello di sviluppo che, con l’iperinflazione, ha portato al crollo del Pil, ad un sistema colpito da denunce per corruzione, che ha incarcerato e torturato il dissenso.
Nonostante venticinque anni di chavismo, in Venezuela la metà della popolazione vive in povertà, con le persone più povere che guadagnano trenta o trentacinque volte meno di quelle con un reddito più alto. Con una povertà che nel 2023 si attestava a circa il cinquantadue per cento, quasi l’uno e mezzo per cento più che nell’anno precedente, il Venezuela continua ad essere uno dei paesi più disuguali del continente.
Non mancano le critiche da sinistra verso la gestione di Maduro che sono andate crescendo man mano che, dal 2013, le condizioni economiche dei lavoratori sono peggiorate, il sindacalismo è stato indebolito e le denunce di violazioni dei diritti umani sono aumentate. Negli ultimi anni, queste differenze sono diventate “inconciliabili”, secondo il segretario generale del Partido Comunista del Venezuela Oscar Figuera, dato che il governo si sarebbe allontanato dalle conquiste di Chávez. Mentre, nel gennaio 2021, il partito ha accusato il governo di autoritarismo, dichiarando che questo cammino “può condurre al fascismo”, e nelle ultime presidenziali ha votato un altro candidato.
Chi è Nicolás Maduro?
Nasce nel 1962 a Caracas, figlio di una famiglia di classe media; è padre di Nicolás Ernesto Maduro Guerra, che fa parte del suo governo, ed è sposato con Cilia Flores, un’altra leader storica del chavismo, divenuta “prima combattente”. Si avvicina alla politica negli anni settanta, quando si unisce alla Lega socialista, un raggruppamento marxista-leninista-maoista. Ha fatto i suoi primi passi professionali nel Metrobus della capitale, dove ha lavorato come autista. Non ha un titolo di studio superiore, e si è dedicato a guidare le lotte sindacali del settore, arrivando persino a organizzare e guidare l’Unione dei lavoratori della metropolitana di Caracas (Sitrameca).
Dopo anni di militanza sindacale, nel 1992 entra nel Movimento bolivariano rivoluzionario duecento (Mbr-200), fondato dall’allora tenente colonnello Hugo Chávez. Da allora, Maduro è stato sempre più vicino a Chávez, diventando persino una delle principali voci che ha chiesto la sua libertà dopo il tentativo di colpo di stato contro il presidente Carlos Andrés Pérez. Una volta al Palazzo di Miraflores, Chávez lo ha scelto per formare l’assemblea che avrebbe redatto la costituzione che avrebbe dato il via al nuovo Venezuela, i cui principi sarebbero stati la rivoluzione bolivariana e il socialismo del ventunesimo secolo. Nel 2000, è entrato in carica come deputato per il Distretto Federale in Parlamento. Nel 2005 ha assunto la presidenza dell’Assemblea nazionale e nell’agosto 2006 è diventato ministro degli Esteri, carica che ha ricoperto per sei anni. Durante questo periodo, ha preso una distanza sempre maggiore da Washington, mentre ha consolidato l’alleanza con l’Avana e Teheran.
Dopo la rielezione di Chávez nel 2012, Maduro ha ricoperto la vicepresidenza del Venezuela, in un momento in cui il leader stava già lottando contro il cancro. Il 9 dicembre di quell’anno, dopo il suo quarto intervento chirurgico e dopo aver vinto le elezioni presidenziali in ottobre, Chávez ha chiesto di sostenere il suo vicepresidente come suo successore.
La mia opinione ferma, chiara come la luna piena, irrevocabile, assoluta, totale, è che voi scegliate Nicolás Maduro come presidente. Vi chiedo questo di cuore. È uno dei giovani leader con la maggiore capacità di continuare se non posso.
Così aveva detto Chávez nel discorso che è ricordato come il suo addio. Il 5 marzo 2013 si è saputo della sua morte, e tre giorni dopo Maduro è entrato in carica come presidente ad interim del Venezuela.
Il 14 aprile 2013 si è proclamato vincitore contro Henrique Capriles per meno di due punti percentuali, in elezioni ancora sospette, e ha assunto formalmente la presidenza del paese per i successivi sei anni. Già in quel momento, sono emerse forti denunce da parte della comunità internazionale e di un ampio settore della cittadinanza che è sceso in piazza per denunciare la frode, mentre Maduro cominciava a modellare la forma del suo governo infarcendolo i militari. Con l’avanzare del tempo, i problemi si sono aggravati: il prezzo internazionale del petrolio è sceso significativamente, la persecuzione contro gli oppositori si è intensificata, mentre è cresciuto oltre misura il malcontento della gente. Fino a domenica scorsa, quando una elezione dubbia lo ha riconfermato nella residenza presidenziale di Miraflores per altri sei anni.
Il suo primo atto di governo il giorno dopo la sua elezione è stato ordinare al ministro degli Esteri, Yván Gil, di ritirare: “tutto il personale diplomatico dalle missioni in Argentina, Cile, Costa Rica, Perù, Panama, Repubblica Dominicana e Uruguay”, chiedendo a questi governi il ritiro immediato dei loro rappresentanti in territorio venezuelano.
Il Venezuela esprime il suo più fermo rifiuto di fronte alle azioni e dichiarazioni interferenti di un gruppo di governi di destra, subordinati a Washington e apertamente impegnati nei più sordidi postulati ideologici del fascismo internazionale, cercando di riportare in vita il fallito e sconfitto Gruppo di Lima
Ha scritto Gil sui suoi social network. Mentre Maduro ha avvertito che:
Questa volta non ci sarà nessun tipo di debolezza. Questa volta, in Venezuela la costituzione sarà rispettata, la legge sarà rispettata e non si imporrà né l’odio né il fascismo né la menzogna né la manipolazione.
Prima delle elezioni, il presidente venezuelano aveva detto che:
Il 28 luglio, se non vogliono che il Venezuela cada in un bagno di sangue, in una guerra civile fratricida prodotta dai fascisti, garantiamo il più grande successo, la più grande vittoria nella storia elettorale del nostro popolo.
Mentre ieri il presidente del Parlamento Jorge Rodríguez ha invitato “tutte le forze del popolo rivoluzionario” a “fare grandi marce” negli stati e nelle città del Venezuela per questo martedì alle due del pomeriggio, con l’intenzione di “difendere la pace”.
Immagine di copertina: da X: @LuchoXBolivia, foto di Maduro caricata dal profilo ufficiale del presidente boliviano Luis Arce.
L’articolo L’autista è al capolinea proviene da ytali..