Gli ultimi dati sul conflitto in Myanmar pubblicati da ISP Myanmar ci dicono che nei tre anni successivi al colpo di stato, (febbraio 2021) si sono verificati almeno 14.374 scontri in 233 delle 330 municipalità del Myanmar, pari al settanta per cento del totale delle township. Su quattordici Comandi militari regionali (RMC) sotto il Consiglio di amministrazione statale (SAC), dieci sono attivamente impegnati in conflitti armati ad alta intensità. La maggior parte del Paese, tranne le grandi città del centro nord, è ormai sotto il controllo delle organizzazioni etniche armate e delle People Defence Forces. Ma per “dare una spallata” decisiva al regime ci vorrebbe non solo una maggiore unità di azione ma anche un sostegno internazionale, che non va oltre le dichiarazioni formali e ripetitive.
La giunta militare sta adottando quella che viene chiamata “la strategia del porcospino”, ovvero si sta rannicchiando su se stessa nei luoghi di potere, aspettando tempi migliori dietro aculei affilati e letali, sperando che il terrore scatenato dall’esercito contro il proprio popolo e la drammatica situazione economica, prima o poi, fiaccheranno la resistenza, permettendo alla giunta di riprendere il controllo totale del paese o almeno dei suoi nodi strategici.
Nel frattempo, il SAC, si sta preparando all’arrivo di nuove armi da Pechino e sta lavorando per consentire una parvenza di elezioni, sebbene illegali, con l’obiettivo di tenerle tra la fine dell’anno e il 2025 in quella parte del paese ancora sotto il suo controllo, facendo finta che tutto vada per il meglio. Le elezioni sostenute da Cina, India e Russia, che offrirebbero all’ASEAN, così come alle agenzie ONU e alla diplomazia internazionale, come dice l’attivista per i diritti umani Igor Brazevic: “di sedersi e aspettare che la giunta finisca il suo “lavoro sporco”, riconsolidando il proprio controllo, rimanendo “l’unico giocatore in città”, garantendo così il ritorno ad una situazione simile a prima del golpe in cui si può fare liberamente affari.
Questo atteggiamento cinico, molto evidente dalla mancanza di iniziativa internazionale e della UE, che ritiene di non dover aumentare le sanzioni per non “creare impatti negativi sulla popolazione” (sic!), non ha impedito alla Banca Centrale del Myanmar di ridurre la sua fornitura di denaro contante alle banche private, le quali stanno limitando la quantità di denaro che i clienti possono prelevare ogni giorno per evitare assalti agli sportelli, e di arrestare alcuni banchieri di banche private, tra cui il famoso Serge Pun, Presidente della Yoma Strategic Holdings e della Yoma Bank, per la violazione delle normative finanziarie imposte dalla giunta, mentre le aziende thailandesi che avevano investito nel paese stanno tirando i remi in barca, lasciando il paese in una condizione pietosa e un’ economia in caduta libera.
Chi trarrebbe profitto dalle elezioni illegali sarebbero sicuramente India, Cina e Russia. Il vertice di maggio scorso tra Putin e Xi aveva sigillato formalmente un’alleanza globale per un nuovo sistema multipolare, antioccidentale e antidemocratico, guidato da Mosca e Pechino. La dichiarazione congiunta sottoscritta dai due leader rappresenta, plasticamente, il progetto per nuovo dominio strategico del mondo. Per questo il recente G7 ha affrontato, oltre alle priorità derivanti dal conflitto israelo-palestinese e dall’aggressione russa all’Ucraina, le altre sfide globali, che, benché ignorate dai media, rischiano di alimentare ulteriori, non meno destabilizzanti, crisi, soprattutto nell’Indopacifico.
Una di queste sfide, a cui fanno riferimento i G7, ma a cui non viene data neanche una goccia benzina per risolverla, riguarda anche il colpo di stato militare in Myanmar. Non collegando i punti fondamentali nello scacchiere asiatico, non si comprende come l’alleanza tra Cina e Russia e il loro legame con i generali birmani, contribuisca solo all’instabilità politica di quel paese e di tutta la regione asiatica. Ciò grazie anche al rafforzamento delle reti criminali legate al traffico di droga, di esseri umani e della proliferazione e alla crescita del conflitto civile.
Il Myanmar, infatti, insieme alla Corea del Nord e all’Iran è confermato dalla Financial Action Task Force (FATF) tra le tre giurisdizioni ad alto rischio che presentano significative carenze strategiche nei loro regimi nel contrasto al riciclaggio di denaro, al finanziamento del terrorismo e al finanziamento della proliferazione, che è definito dal GAFI come “la fornitura di fondi o servizi finanziari utilizzati per la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, lo sviluppo, l’esportazione, il trasbordo, l’intermediazione, il trasporto, il trasferimento, l’immagazzinamento o l’uso di armi nucleari, chimiche o biologiche e dei relativi vettori e materiali correlati”.
La strategia birmana di Cina e Russia, pur tra mille diffidenze, si è consolidata negli ultimi anni, anche in chiave anti USA, soprattutto, ma non solo, in materia di difesa, di sistemi di allerta missilistica e di esercitazioni militari congiunte. Secondo il Council for Foreign Relations, la Cina, in violazione del principio di neutralità e non interferenza ha aumentato nel 2023 l’esportazione verso la Russia di macchinari pesanti, prodotti manifatturieri e droni a fini militari. Dopo il colpo di stato militare in Myanmar, tale collaborazione ha visto l’opposizione di Pechino e Mosca a qualsiasi risoluzione vincolante ONU relativamente ad un embargo di armi, alla condanna dei crimini di guerra commessi dalla giunta nel Paese delle pagode.
La strategia di Cina e Russia è quella, non solo di rendere il Myanmar uno stato autoritario e vassallo, ma soprattutto di usarlo come trampolino di lancio per i loro interessi geopolitici nel Sudest asiatico. Da dieci anni la Belt and Road Initiative vede il Myanmar, al centro con il China Myanmar Economic Corridor (MEC) e una serie di progetti strategici infrastrutturali, di reti, industriali e minerari per centinaia di miliardi di dollari, come lo sfruttamento delle terre rare birmane.
La Cina controlla quasi il novanta per cento della capacità globale di lavorazione delle terre rare, ma, come confermato da un recente rapporto di Global Witness ha di fatto esternalizzato gran parte della sua estrazione nel Myanmar, con costi terribili per l’ambiente e le comunità locali, e con straordinari profitti per Pechino. Dopo il colpo di stato, le capacità estrattive sono aumentate del quaranta per cento, e alimentano il boom della domanda di magneti permanenti utilizzati nei veicoli elettrici e nelle pale eoliche da parte dei costruttori globali. Anche il gasdotto e oleodotto, lungo 1.700 chilometri, che collega l’Oceano Indiano a Kunming, nella provincia dello Yunnan, regione cinese senza sbocco al mare, serve a tagliare i costi e ridurre i rischi di eventuali blocchi navali da parte di paesi avversari, visto che circa l’ottanta per cento del petrolio importato dalla Cina dovrebbe viaggiare attraverso lo Stretto di Malacca.
L’oleodotto, costruito ai tempi della precedente dittatura, con il lavoro forzato, oggi trasporta anche il greggio russo verso la Cina, bypassando le sanzioni europee, grazie anche a una rete di navi ombra, non direttamente riconducibili a Mosca. Ed è allo stesso modo che il carburante russo arriva in Myanmar per alimentare l’aviazione militare che quotidianamente bombarda i villaggi birmani e che viene pagato in yuan, in attesa di un accordo complessivo per la conversione reciproca delle valute nazionali Kyats/rubli.
La Russia, infatti dopo l’embargo europeo sul petrolio russo, è alla ricerca nella regione di nuovi clienti per le sue fonti energetiche, ma è anche interessata a sviluppare con la Cina e il Myanmar progetti di esplorazione petrolifera congiunta.
Sempre Pechino sta accelerando la costruzione del porto profondo e della mega Zona Economica Speciale, di Kyaukphyu che si estendono su un totale di duecentoquarantatre ettari nello Stato Rakhine, ancora oggi al centro di un conflitto tra militari, esercito Arakan. Il porto per un investimento pari a 7.3 miliardi di dollari, crea forti preoccupazioni per il suo potenziale uso come base per la marina militare cinese, a poca distanza dall’INS Varsha, futuro quartier generale del Comando navale orientale dell’India, che dovrebbe ospitare anche i sottomarini nucleari indiani.
Stessa preoccupazione riguarda i recenti lavori nella piccola isola di Great Coco, dove si sospetta si stia costruendo una base di spionaggio birmana. Qui le immagini satellitari pubblicate da Chatham House mostrano la realizzazione di nuova strada rialzata, di un blocco di alloggi, in prossimità di una pista per l’atterraggio di aerei, lunga 2,3 chilometri e di una stazione radar. Un’isola strategica, che si vocifera possa essere utilizzata non solo dall’esercito birmano, ma anche da Pechino per controllare l’India, vista la sua posizione a soli cinquantacinque chilometri dalle isole Andamane e Nicobare, utilizzate dalla flotta indiana per controllare lo Stretto di Malacca.
Ma non sono tutte rose e fiori visto che forti tensioni tra i due alleati rischiano di emergere dall’accordo in discussione tra la giunta birmana e Mosca per la costruzione di un altro porto profondo e di una ulteriore zona economica speciale, comprensiva di mega raffineria a Dawei, sulla costa orientale del Myanmar, al confine con la Thailandia. Pechino, teme il ridimensionamento del ruolo strategico del porto e della zona economica speciale di Kyaukphyu, anche se l’opposizione della popolazione locale che, non riconoscendo la giunta, ha intensificato gli scontri armati proprio nell’area di progetto mettendo a rischio il sogno putiniano di un accesso ai paesi della Great Mekong Region, e il collegamento, sotto il controllo di Mosca, tra l’Europa, i paesi mediorientali e l’Africa con il Sudest asiatico, senza passare per lo stretto di Malacca.
Il Myanmar, e il suo controllo politico, è quindi di interesse strategico per entrambe le potenze, soprattutto in funzione di tutela contro le tensioni e i potenziali conflitti nel Mare Cinese Meridionale, perché garantirebbe la sicurezza delle flotte e dei commerci, fuori dal controllo della partnership trilaterale di Aukus, presente dall’altra parte dello Stretto di Malacca.
Per tutti questi motivi Cina e Russia stanno tutelando in vario modo la giunta militare. La Russia per di più garantisce da sempre non solo la formazione di migliaia di quadri militari presso le sue accademie, ma sta anche formando le nuove leve all’uso di droni con tecnologia avanzata. Ciò anche con specialisti russi della Wagner e della Vega Strategic Services sul terreno. La prima esercitazione congiunta tenutasi a fine 2023 tra la flotta birmana e quella russa al sud del Myanmar, nel Mare delle Andamane, che ha coinvolto la marina e l’aeronautica russa e birmana, è un altro segnale preoccupante di questa alleanza strategica, che non si limita più alla sola fornitura di armi ma si sta ampliando ad una collaborazione stabile sul terreno. Tanto è vero che le forze armate di entrambi i paesi , secondo la agenzia statale russa RIA Novosti, hanno pianificato da quest’anno più di 50 attività militari congiunte, che comprenderanno l’addestramento operativo e al combattimento delle forze armate di entrambi i paesi. Cosa che confligge leggermente con la carenza di soldati a cui la giunta sta cercando di rimediare con la coscrizione obbligatoria di 13 milioni di ragazzi e ragazze, che in tutta risposta stanno fuggendo dal paese per evitare di combattere contro i propri fratelli e sorelle.
Sul piano economico la giunta ha sempre fatto affidamento oltre che sulla Cina e la Russia, anche su altri due partner chiave: Singapore, e Thailandia. Singapore detiene il 67% delle riserve estere della Banca centrale del Myanmar ed è stata anche il veicolo degli investimenti diretti nel paese. Oggi invece la United Overseas Bank, per evitare rischi reputazionali, ha interrotto tutte le transazioni con le banche birmane. Contemporaneamente, come sottolineato dalla rivista Frontier a dicembre scorso, la Bank of China ha trattenuto più di 500 milioni di dollari di pagamenti ritardati per il gas naturale birmano, mentre ci sono preoccupazioni sulla capacità della giunta di rimborsare tre prestiti per un valore complessivo di 400 milioni di dollari della Export Import Bank cinese.
Il nuovo governo thailandese, pur dovendo barcamenarsi tra l’alleanza con Washington e l’amicizia con i generali birmani, sembra volersi impegnare per un rafforzato ruolo dell’ASEAN nella soluzione del conflitto in corso, anche se le divisioni tra i paesi membri sono notevoli. La recente
Come paese con un lunghissimo confine con il Myanmar, Bangkok si trova, tra l’altro, ad affrontare un aumento esponenziale del traffico di droga e di rifugiati, soprattutto dopo la recente legge birmana sulla coscrizione obbligatoria, che obbligherebbe tredici milioni di giovani a entrare nell’esercito, pena una lunga detenzione.
Già in migliaia sono ora rifugiati oltre il confine. Mentre il recente conflitto proprio nella città di confine di Myawaddy, ha creato ulteriori incertezze nel governo thailandese. E’ di questi giorni l’arresto di quasi ottantuno mila lavoratori birmani clandestini
Un altro elemento di attenzione riguarda la decisione del capo della giunta Min Aung Hlaing di indire elezioni politiche del tutto illegali per legittimarsi a livello internazionale, trovando i primi consensi proprio a Bangkok e il sostegno dell’accordo di collaborazione con la Commissione elettorale centrale russa. Una eventuale legittimazione della dittatura rafforzerebbe il ruolo dei paesi autocratici non solo nella regione, grazie alla intenzione della giunta di entrare nei BRICS, dopo essere stata accettata anche nella Shangai Cooperation Organization.
Per tutto questo sarà fondamentale che l’Italia e l’Europa rafforzino il dialogo e il sostegno alle forze democratiche birmane, con programmi rivolti ai giovani che fuggono dalla coscrizione obbligatoria, a quei militari e alle loro famiglie che vogliono disertare e anche, come richiesto dal Rappresentante Speciale ONU Tom Andrews, con la adozione di sanzioni finanziarie, che impediscano alla giunta di ricevere valuta pregiata con cui acquistano armi e carburante per gli aerei militari. Sanzioni finanziarie simili a quelle adottate con successo per la Russia e Bielorussia. Infine l’Italia dovrebbe rinnovare la sua partecipazione al Joint Peace Fund, un fondo di cui fanno parte Canada, Finlandia, Germania, Gran Bretagna, Norvegia, Svizzera e Unione Europea, che permetterebbe al nostro Paese di lavorare con una rete importante di interlocutori nei gruppi etnici, nel governo di unità nazionale e nelle organizzazioni della società civile birmana, e di avere un ruolo chiave nella costruzione di uno stato democratico e federale. Un investimento politico del nostro Paese nel futuro post dittatura.
Contribuire alla sconfitta della giunta birmana significa non solo indebolire le mire della coalizione di Putin e Xi, che intendono controllare un pezzo fondamentale del Sudest Asiatico e dell’Indo Pacifico, anche grazie al controllo del Myanmar, ma significa anche dare gambe ai principi democratici in una parte di mondo estremamente importante anche per la democrazia in Europa. Chissà, magari la nuova Commissione e il nuovo Parlamento Europeo potrebbero svegliarsi dal loro miope torpore, e trovare nuove energie per far si che la Rivoluzione di Primavera birmana non venga sepolta dall’indifferenza della politica e da miopi interessi di bottega delle imprese europee che ancora lavorano in quel paese.
Immagine di copertina: rivolte in Myanmar dopo il colpo di stato del 2021
L’articolo Le mire di Cina e Russia su Myanmar proviene da ytali..