Due parole essenziali, per la vita e per la poesia: “dichiarazione” e “libertà”.
Il nuovo libro di Nadia Agustoni, Avrei voluto da giovane solo vivere (nino aragno editore, 2024), è dedicato a Monique Wittig, intellettuale e scrittrice francese il cui campo d’azione è stato ampio e caratterizzato sempre dal coraggio di affermare, nel Novecento attraversato con la propria vita, la non separazione fra uomini e donne, in particolare in letteratura. Wittig ha sempre sostenuto la libertà assoluta del corpo e ha difeso con forza l’idea di «uno spazio mentale dove il sesso non è determinante».
Agustoni, dal canto suo, nella poesia del suo libro, respinge l’identità esclusivamente binaria quale piega forzosa del pensiero e del pensarsi soprattutto, nella sedimentazione storico-sociale di questo nostro Occidente.
Poco oltre la metà, a pag. 54, scrive:
abitando quello che ci libera
«né donne né uomini»
spostarci dai margini
a noi stessi:
allora una vita
è la tenerezza
per ognuno:
un abbraccio
Quello che ci libera è quindi il corpo, se ammettiamo che il corpo sia libero di manifestarsi. Fino al punto di essere liberi noi di perderlo, aggiungerei. A questa consapevolezza se ne accompagna un’altra, che la libertà debba essere, anzitutto, tenerezza.
di Nadia Agustoni
Nino Aragno editore, 2024
Prezzo: euro 15,00
La libertà, dunque, è interiore e la tenerezza – tutti abbiamo avuto modo di sperimentarlo – ci consente di tornare a noi stessi, al più profondo nucleo che ci ha abitato e ci abita ancora “con canti/ di bambino / con fame / di montagna”.
La parola corpo, inoltre, in questo libro, è spesso associata alla parola cielo: “i corpi – andavano / contro il cielo” … “il corpo apre le sue stanze / al cielo” … Troviamo l’orizzonte, la solitudine, la neve: tutte sponde, queste, della poesia di Nadia, così come il ricorso non di rado all’utilizzo del termine “qualcosa”, che rende così vaga e meravigliosa l’immaginazione dentro il testo.
Come meravigliosa è questa poesia:
i padri nel qualcosa degli occhi
com’era la neve di un inverno
il freddo a lavarsi
o nei legni:
noi con le castagne e le ombre
la luna a cui chiedere il cortile
luna di un cielo che è stato
tutto il tempo.
Ed ora, in rapida successione, ecco altri momenti, stralci esemplari di quanto sto provando a dire: “parla l’estate del cielo” … “vengono per un cielo / nel cielo” … “i corpi che ricordano cos’era prima del dolore” … “il sole dei corpi ci raccoglie interi / i corpi sanno l’incerto, lo scarto” …
Ma questa insistenza, lessicale e tematica, non è senza nome; l’autrice chiama in causa sé stessa, tra tutti i nomi sceglie di mettere in chiaro il proprio. Così pagina 10 e pagina 67 si toccano, brillantemente, si abbracciano: “anch’io sono un nome nuovo: Nadir”, scrive all’inizio del libro. Nadir, un nome in origine maschile e vicino al nome Nadia, tanto che l’autrice scrive: “lo ritrovo ancora tra le costole e il cuore”. Poi, in chiusura di libro, torna su questa similitudine ed ecco lo splendido abbraccio finale: “Nadir nome dato a qualcosa nell’interiorità / toccato per sempre”.
Tornando al piano più generale, della visione e dello stile, credo che Agustoni compia una sorta di ribaltamento di quanto Mario Luzi pubblicò nel 1985, in Per il battesimo dei nostri frammenti: «Vola alta, parola, cresci in profondità, / tocca nadir e zenith della tua significazione, / giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami / nel buio della mente –». La parola per Nadia deve infatti, vuole anzi, volare bassa, restare in umiltà, puntare al cuore più intimo della vita, al centro di sé, lì dove l’io può diventare un intero “luogo”, di testimonianza, deposizione, abbandono e semplicità.
Secondo il filosofo Gilles Deleuze, uno scrittore scrive per dei lettori (è chiaro) ma anche per dei non lettori, cioè non solo “in favore di”, ma “al posto di”. Un vero scrittore scrive per chi/cosa non ha voce. Perché «scrivere non è una questione privata – afferma Deleuze – è lanciarsi in una questione universale». È quello che ha fatto Mario Benedetti, in passato, ed è un filo che, similmente, Nadia Agustoni continua a tessere.
Un filo che lega la coppia corpo-cielo, infine, alla coppia anima-mente; l’approdo è di nuovo nel segreto del piccolo e dell’umile. Penso a quanto Leonard Cohen ha racchiuso in una delle sue ultime canzoni, Thanks for the Dance, e precisamente in questo verso: “Every soul is like a minnow, every mind is like a shark”. Corpo e anima vivono davvero nel piccolo e nell’umile, solo lì, dove coscienza e poesia unite sanno generare versi come questi:
c’è polvere e un volo di uccelli contro il cielo.
vanno in alto: viene per l’estate questo vivere
nei temporali.
In copertina: quadro di Cristiano Poletti
L’articolo Per la vita e per la poesia proviene da ytali..