Pochi giorni orsono la Bce ha richiamato sé medesima al dovere della prudenza. Il consiglio direttivo in riferimento alla strumentazione “normale” (la straordinaria riguarda iniezioni massicce di liquidità e acquisto considerevole di titoli, pubblici e no, in risposta alla crisi dei subprime del 2008 e a quella da Sars-Cov2) ha deciso di mantenere invariati i tre tassi di interesse che fanno da riferimento standard alla sua politica monetaria convenzionale. In altri termini è la modalità con la quale l’Eurotower annuncia ai mercati le proprie preferenze sul costo del denaro. Il provvedimento riguarda sia le operazioni “principali” di rifinanziamento che la Bce concede alle banche commerciali su base settimanale (4,25%) o le marginali, cioè a giornata di negoziazione (4,50%).
Il terzo strumento convenzionale di Francoforte riguarda i depositi che le banche tengono presso l’Autorità monetaria europea e si cui essa paga un interesse. È il 3,75% senza modifiche dopo la riduzione (- 0,25%) di giugno. Anch’esso fa da indicatore delle intenzioni di politica monetaria di Eurotower. Una sua riduzione può indurre le banche commerciali ad evitare accumuli di riserve presso la Bce medesima per spingerle, se vi fosse domanda di credito, a finanziare l’economia reale. Oppure, a contrario, il minor rendimento dei depositi presso queste ultime di fatto indica un aumento del loro costo di gestione e una loro possibile minor propensione al credito. Questione teorica aperta che comunque Bce bypassa con l’attuale decisione di lasciare il tasso inalterato.
Quale sia la scelta del consiglio direttivo riunitosi sulle rive del fiume Meno è esplicitata dal comunicato stampa:
La politica monetaria mantiene restrittive le condizioni di finanziamento.
Una doccia fredda per chi pensava che la “questione inflazione” fosse ormai archiviata. Niente di tutto questo. Certo, Francoforte riconosce che la corsa dei prezzi abbia rallentato. Anzi, sottolinea pure che il temuto rimbalzo salari/inflazione (punto di riferimento di ogni autorità monetaria) è mancato. Questo perché assorbito dai profitti senza un suo radicale travaso a valle. Una nota importante perché il rapporto salari/profitti/inflazione è un indicatore tenuto in massima considerazione nel decidere da parte di Bce. Nondimeno le pare insufficiente per ulteriori tagli al costo del denaro.
Lo conferma in comunicato stampa il consiglio direttivo che esprime preoccupazione per il futuro. Questo per il permanere in Euroarea di potenzialità inflattive presenti nel settore dei servizi. Inoltre, è la situazione generale a destare preoccupazione. In primis per le tensioni geopolitiche che sono facilmente foriere di inflazione da shock da offerta. Queste, seppure in apparenza fuori dal dominio delle autorità monetarie, purtuttavia debbono dare risposta anche all’inflazione così generata. Altrimenti si creano aspettative inflattive che si trascinano col rischio di stagflazione (mix di recessione e inflazione). Insomma, Bce è cauta nell’allentare il freno monetario ritenendo:
Probabile che l’inflazione complessiva rimanga al di sopra dell’obiettivo fino a gran parte del prossimo anno.
A questo proposito il Consiglio Direttivo ricorda che per statuto l’inflazione/obiettivo è il 2%. Nell’interpretazione più recente è un valore medio che ammette scostamenti nel tempo sia sopra che sotto di esso. In concreto assurge a punto di riferimento primario per Bce. È una linea guida che, per l’Autorità monetaria europea, contiene un messaggio per i mercati. Il cui significato è che fino a quando vi saranno scostamenti inflattivi rispetto al 2% (sia sopra che sotto) essa agisce e agirà per riportare i prezzi in linea. Per questo, dato il possibile permanere di ischi inflattivi, la Bce ha tenuto fermi i tassi.
Una scelta, già preventivata dal precedete comunicato dell’8 giugno, costruita pragmaticamente. Il “come” si giunge a decidere, all’opposto, indica un cambiamento rispetto all’impostazione adottata dalle Banche Centrali (Bc). La novità, adottata pure dalla Federal Reserve (Fed) è che le decisioni sono prese “di volta in volta a ogni riunione” (come da comunicato stampa). È un approccio che accetta di agire esclusivamente sugli eventi passati e rinuncia, o almeno così dicono i critici (il dibattito è aperto), ad offrire un quadro chiaro di aspettative agli operatori. Così, al modello “classico/liberale” di regole certe anticipate ai mercati, la Bce preferisce agire discrezionalmente di volta in volta. Viceversa, per molti teorici monetari Francoforte dovrebbe agire preventivamente, anticipando le proprie decisioni monetarie. L’ipotesi è che i mercati vi si adeguerebbero. E ridurre al minimo la tanto temuta dai liberali discrezionalità delle Bc intese come burocrazie monetarie.
L’Eurotower però opta per quest’ultima. Forse fa un errore di teoria economica, ma nel mondo attuale così esposto ad esondazioni geopolitiche e/o militari può essere necessario; o ancor più inevitabile. Anche a scapito di quello che dovrebbe essere il canone del buon governo monetario. Pazienza se, magari con ragione, molti economisti potranno storcere il naso. Il fatto è che date le molte incognite geopolitiche, oltreché economiche, la Bce preferisce tenersi le mani libere. In fondo, a consolazione di Bce e altre Bc, il leader bolscevico Lenin, ovviamente in altro contesto, nel 1923 affermava: “Meglio meno, ma meglio”. Ciò detto in termini di cultura economico/istituzionale, quindi riguardo alla politica monetaria, la Bce conferma la propria rigorosa fedeltà al mandato antinflattivo.
Nella decisione di Francoforte c’è probabilmente dell’altro, oltre al detto nel comunicato stampa. Nel senso che è possibile che la prudenza di Bce sui tassi dipenda pure dalla sua attenzione per il dollaro Usa. Al momento l’euro tiene bene il cambio con esso. È una situazione che Francoforte guarda con favore. Il motivo è che è con la valuta emessa dalla Federal Reserve (Fed) che l’Eurozona – dunque anche l’Italia ed è per questo che la cosa ci riguarda da vicino – paga le importazioni strategiche (energetiche e le materie prime della mitica “transizione verde”). Significa che tenere sul fronte del cambio contribuisce a frenare l’import di inflazione. L’ipotesi, pertanto, è che l’Eurotower anche per questo si sia mostrata cauta evitando di tagliare i tassi d’interesse.
C’è una voce all’attivo del bilancio della Bce cui l’Italia (ma non solo) dovrebbe guardare con attenzione. Riguarda gli acquisti titoli del nostro debito pubblico da parte di Eurotower. Il capitolo è quello della politica monetaria straordinaria o più propriamente “non-convenzionale”. In particolare, il riferimento è al Programma di acquisto di attività (Paa) e al Programma di acquisto per l’emergenza pandemica (Pepp). Il consiglio direttivo nel comunicato stampa ci ricorda che il primo è in via di abbandono (qui l’Eurosistema – Bce e Bc nazionali – neppure reinveste più il capitale rimborsato dei titoli in scadenza). È finita allora la pacchia di Francoforte che compra col badile il nostro debito pubblico narcotizzando con nostro sollievo lo spread?
No, perché il reinvestimento del capitale dei titoli in scadenza del Pepp va ancora avanti. Attenzione, però, anche qui la riduzione del portafoglio titoli è in essere. Quindi il pericolo è scampato solo in parte. Ma è sul pianerottolo dinnanzi alla nostra porta. È vero che la finanziarizzazione, ovvero l’alleanza globale tra ceti politici che usano le Bc come bancomat per finanziare la spesa pubblica senza ricorrere al fisco e mercati finanziari che si avvantaggiano dei “forzati” bassi tassi d’interessi, è tuttora solida. E ci copre. Tuttavia, la crescente tossicità sistemica (vista in Giappone, al top dell’avvelenamento da vari Qe, dove è bastato un minimo incremento dei tassi per creare scompiglio e obbligare la Bank of Japan a frettolose retromarce) va tenuta presente. Difatti trova ancora resistenza. In Eurozona lo fa Bundesbank. È il nostro problema da affrontare nelle prossime politiche di bilancio.
Brutalmente detto: il nostro spread è tuttora anestetizzato dalla Bce, perché la Germania ancora solo mugugna. Ed anche per il fatto che la finanziarizzazione è un male condiviso e si temono le conseguenze del combatterlo. Ciononostante, lo spread esiste e prima o poi si sveglierà. È vero che la Bce, come scrive nel comunicato stampa, è pronta ad intervenire contro balcanizzazioni dei mercati monetari (via tassi d’interesse differenziati Paese per Paese) che le impediscano una politica monetaria omogenea in Euroarea. Ma ci sono troppe incognite per esserne certi nel tempo. Come sanno al Ministero del tesoro.
Sono tempi di ferro. Fintantoché l’Eurotower oscurerà il nostro spread “reale” sui titoli di Stato vivremo in un mondo finanziario virtuale ma respireremo. Il problema è che in Ue l’aria è carica di tensioni e il gioco potrebbe finire bruscamente. Per vedere più chiaro, rimandati tutti a settembre alla prossima riunione del consiglio direttivo di Bce. O, meglio ancora, al 5 novembre quando si voterà il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Per intanto il 18 luglio la Bce ha chiarito due cose. La prima che il taglio dei tassi di giugno era un “falso movimento” e che al momento ritiene saggio il “wait and see”.
Immagine di copertina: sede della Banca centrale europea a Francoforte.
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