Perché un cuoco dovrebbe sforzarsi per inventare piatti nuovi ogni giorno se la solita “minestra riscaldata” non solo è apprezzata dai commensali, ma diventa anche il piatto più ambito e richiesto di tutto il menù? Perché le grandi case di produzione americane, i colossi di Hollywood, dovrebbero rischiare nel tentare di raccontare storie nuove, dando spazio a registi emergenti e innovativi, quando sequels e remake di ogni genere sono i prodotti più apprezzati dal grande pubblico?
Chi avrebbe mai pensato, una decina di anni fa, di rivedere nei cinema odierni le locandine delle stesse identiche saghe cult che “popolavano” le sale negli anni Ottanta? Solo per citare alcuni franchise rilanciati negli ultimi cinque anni: “Star Wars”, “Indiana Jones”, “Top Gun”, “Ghostbusters”, “Mad Max”, “Batman”, “Alien”, “Rambo”, “Blade Runner” o il celebre “Beetlejuice” di Tim Burton, il cui seguito apre l’ottantunesima edizione della Mostra del cinema di Venezia. Per la prima volta nella sua storia un sequel apre una delle più importanti manifestazioni cinematografiche del mondo, la vetrina di un’intera industria.
Certo, la qualità di questi sequels o remake varia enormemente da film a film, con opere, rimanendo nell’ultimo decennio, molto apprezzate, come “Blade Runner 2049” di Denis Villeneuve, il “West Side Story” di Steven Spielberg, “Mad Max Fury Road” di George Miller o i due nuovi capitoli di “Alien” (“Prometheus” e “Covenant”) diretti da Ridley Scott e pellicole abominevoli come “Jurassic World” o “Rambo Last Blood”, o anche di sequels di saghe contemporanee come “Dune” o “Avatar”, parte di una trama complessiva più ampia semplicemente suddivisa in capitoli per renderla maggiormente vendibile (un film da otto ore al cinema non lo vedrebbe nessuno). L’industria cinematografica, in particolare quella hollywoodiana, appare sempre più a corto di idee, da un lato affidandosi per sopravvivere, all’effetto nostalgia garantito da franchise già affermati, dall’altro dimostrandosi incapace di creare nuovi fenomeni cult che smuovano la cultura popolare e l’arte stessa.
La decisione di aprire la Mostra del cinema con “Beetlejuice Beetlejuice”, sebbene opera di un grande maestro come Tim Burton, diventa dunque un emblema della situazione attuale della settima arte, entrata pienamente nell’era del riciclo. Un periodo nel quale non è più l’abilità del regista o la qualità del film ad attirare la gente in sala, bensì solo ed esclusivamente la forza del brand. “Che se ne parli bene o male, purché se ne parli”. Diventa così normale entrare in una dimensione in cui un film come “Il gladiatore 2” attira attorno a sé un’attenzione mediatica spropositata mentre grandi opere realmente innovative vengono lasciate totalmente a secco, spingendo sempre più anche questi autori verso “l’industria del riciclaggio”.
Madrina in ammollo. La prima che ebbe l’idea di passeggiare scalza sulla battigia, per la gioia dei fotografi, deve esser stata l’attrice italiana Isabella Ferrari, madrina della 63° edizione del Festival del Cinema, nel 2006. Probabile che nulla fosse stato programmato allora, perché la nota dell’ufficio stampa diceva solo di un appuntamento in spiaggia davanti l’Excelsior per una foto opportunity con la madrina attrice. Poi, o qualcuno del suo entourage glielo suggerì, o venne voglia a lei di farlo, ecco che libera i piedi dagli eleganti sandali con tacco a spillo e giù a sguazzare con i piedi in ammollo, lentamente, con eleganza, attenta a non sciupare il prezioso abito a tubino di seta blu. Così, quel gesto un tantino liberatorio dall’ingessante protocollo del cerimoniale ufficiale, è stato istituzionalizzato, ora è un appuntamento ufficiale come lo sono i photocall e red carpet, niente più spazio all’improvvisazione, per carità. uniche eccezioni i madrini maschi, cioè gli attori Alessandro Borghi nel 2017 e Michele Riondino nel 2018: per loro niente bagnetto , gli atletici corpi sensualmente avvolti in leggeri veli bagnati, ma solo un grazioso siparietto sulla scalinata del Casinò, in camicia, pantaloni e scarpe allacciate. Quest’anno è toccato all’attrice e modella italiana Sveva Alviti di fare la madrina in ammollo, camicia bianca annodata all’ombelico e pantaloni alla marinara in gabardine blu, non il massimo per entrare nell’acqua. (© Andrea Merola)
Tra i cinque migliori incassi globali del 2021, 2022 e 2023 ben dieci di questi sono sequels, a cui andrebbero poi aggiunti “Barbie” e “Super Mario”, i quali, sebbene siano film a sé stanti, sono comunque legati a marchi e personaggi ben noti e affermati. Interessante notare come tra gli unici tre film “originali” campioni d’incassi nell’ultimo triennio ben due siano cinesi, aprendo un interessante spunto di riflessione su questo mercato cinematografico in rapida espansione.
Il fatto che a cavalcare più esplicitamente l’onda dell’usato garantito siano gli Stati Uniti non deve però far credere che Cinecittà sia scagionata. Se già negli ultimi decenni i rifacimenti di film francesi, come “Benvenuti al Sud”, hanno costituito la struttura portante della nostra industria, dominando la produzione cinematografica italiana e il suo botteghino, il nuovo “Altrimenti ci arrabbiamo” del duo YouNuts! del 2022 ha aperto la strada a voci sempre più frequenti di improponibili remake di grandi capolavori del cinema italiano, primi fra tutti quelli di “Per un pugno di dollari” e de “Il Gattopardo”.
Insomma, questa prima giornata di mostra non sembra fornire un quadro roseo circa lo stato di salute della settima arte. Il progressivo declino dello “strapotere” della Marvel dimostra che il pubblico, quando messo continuamente di fronte a prodotti mediocri e sempre uguali, fan service e assenza totale di idee, con film che si affidano esclusivamente alla nostalgia per vendere, si disaffeziona al franchise, arrivando a criticarlo aspramente e abbandonarlo. Se questa dinamica dovesse allargarsi, come già sembra evidente, all’intera industria cinematografica le prospettive appaiono preoccupanti.
Mentre il red carpet del Lido si riempie di stelle, ci si chiede se gli spettatori saranno disposti ancora a lungo ad accettare passivamente questa drammatica involuzione artistica. Il cinema saprà uscire da questa situazione prima che la vetrina della boutique della Mostra del cinema di Venezia diventi quella di un mercatino dell’usato?
Immagine di copertina: il cartello stradale, che dovrebbe indicare la giusta direzione per il Palazzo del Cinema al Lido: posizionato a poco più di due metri di altezza, davanti l’ingresso del Lion Bar, che per chi non lo sa sta situato proprio accanto al palazzo del Cinema: l’iscrizione dice ” Palazzo del Cinema” , poi c’è disegnato un tempietto alla greca, cioè il logo dei siti storici, e la freccia bianca a indicare la giusta via. Peccato però che la freccia invii verso l’hotel Excelsior, esattamente all’opposto del Palazzo del Cinema, che sorge maestoso a pochi passi, ma dietro la bizzarra indicazione stradale. Il cartello è una novità, tanto che nemmeno i camerieri del Lion Bar se ne erano accorti della presenza di codesto nuovo segnale stradale. Più tardi, in serata una mano pietosa ha corretto l’errore, girando il segnale nella giusta direzione, ma anche così l’effetto è ridicolo. (©Andrea Merola)
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