Alla fine, al netto delle polemiche relative alle condizioni del villaggio olimpico, del cibo che è stato offerto e dei disagi con cui gli atleti sono stati costretti a convincere per tutta la durata della manifestazione, possiamo dire che le Olimpiadi parigine siano state un successo. Per la Francia e anche per noi, che abbiamo confermato le quaranta medaglie di Tokyo ma con due ori in più (dodici) e molti quarti posti destinati, probabilmente, a trasformarsi in podi a Los Angeles fra quattro anni, quando la generazione di fenomeni che sta crescendo nelle varie discipline avrà raggiunto la piena maturità.
Certo, sono state Olimpiadi di guerra, senza la Russia e la Bielorussia e con un clima complessivo terribile. Certo, abbiamo assistito a scene vergognose, come ad esempio la campionessa afghana di breakdance Manizha Talash squalificata per aver invocato pubblicamente libertà per le donne del suo Paese. Certo, il CIO farebbe bene a interrogarsi sull’ipocrisia che lo pervade, perché se c’era qualcuno da squalificare, di sicuro non era la rappresentante di una Nazione martoriata che ha approfittato della vetrina internazionale per levare un grido di rabbia e di dolore, scuotendo in particolare l’Occidente dalla sua indifferenza.
Nonostante i non pochi limiti che abbiamo elencato, tuttavia, sono state le Olimpiadi degli ultimi e degli esclusi, e questo basta da solo a renderle significative. Pensiamo a Mijaín López, il mito cubano della lotta greco-romana, fedele qi principi della Revolución, che ha conquistato il quinto oro consecutivo e ha detto basta all’età di quarantadue anni, concludendo come meglio non avrebbe potuto un’avventura eccezionale. Pensiamo alla nostra Benedetta Pilato, che si è detta orgogliosa e felice del suo quarto posto, cosciente del fatto che il futuro non potrà che riservarle innumerevoli soddisfazioni e sicura di averci messo l’anima. Di ragazze così ne abbiamo bisogno ben al di là dello sport: per la freschezza che esprimono e pr i valori che incarnano. Pensiamo a Simone Biles, che a Tokyo non riuscì quasi a gareggiare, prigioniera dei suoi demoni, mentre a Parigi è stata la regina dei Giochi, ammaliando il mondo intero con il suo talento e la sua caparbietà nel rialzarsi dopo tante sofferenze. Pensiamo alle straordinarie azzurre di Velasco, simboli di un’Italia multietnica e inclusiva che ha saputo affidarsi a un argentino che ha conosciuto sulla sua pelle l’abisso della dittatura di Videla e ha scelto da tanti anni il nostro Paese, trasformando le diversità presenti in squadra in un punto di forza. Pensiamo a Paola Egonu e Myriam Sylla, naturalmente: più forti del fango e di ogni forma di razzismo. Pensiamo a Sara Errani e Jasmine Paolini, la nuova coppia d’oro del nostro tennis. Pensiamo al quartetto magico della scherma, caratterizzato da una perfetta miscela di abilità, cultura e rettitudine morale. Pensiamo alla pugilessa algerina Imane Khelif, che ha vinto l’oro prendendo a pugni pregiudizi e maldicenze, fino a diventare un idolo in una realtà che non è mai stata all’avanguardia sul tema dei diritti civili.
Sono tante, troppe le storie da raccontare al termine di una kermesse così intensa e significativa. Potremmo porre l’accento sugli ori al femminile che rendono giustizia alle donne italiane, con la speranza che la parità di genere si trasformi presto in un dato acquisito, completando un percorso avviato decenni fa e non ancora giunto a conclusione. Potremmo sorridere al cospetto della città di Roncadelle, nel bresciano, fucina di talenti e di medaglie, a dimostrazione della vivacità della nostra provincia e di chi ne interpreta al meglio la laboriosità e la determinazione. Potremmo lasciarci andare a infiniti panegirici, ma è meglio evitare. Ci limitiamo a dire grazie a chi non si è arreso, a chi ha puntato sulla società multietnica a dispetto di tutti i predicatori d’odio che infestano il Vecchio Continente, a chi non ha ceduto alla paura del terrorismo, a chi ha continuato ad allenarsi nonostante insuccessi e difficoltà, a chi continuerà a farlo, come la nostra meravigliosa Nadia Battocletti, argento nei diecimila metri di corsa, sfidando lo strapotere delle concorrenti africane, e, più che mai, a chi tiene alta la bandiera dei diritti umani e della dignità della persona in questo tempo segnato dall’orrore. Se l’Occidente può avere ancora un domani, infatti, è merito di ragazze e ragazzi come Nadia, Bendetta, Imane e dei loro colleghi uomini che hanno capito fino in fondo quanto sia più bella una società all’insegna dell’uguaglianza e della condivisione.
Parigi cala il sipario, la fiamma olimpica è spenta e il testimone è passato a Los Angeles. Al di là degli aspetti sportivi, di cui occupiamo abitualmente, speriamo per l’epoca di poter raccontare le Olimpiadi di un pianeta meno conflittuale, con protagonista un’America non più in guerra con se stessa e caratterizzata da una presidenza in linea con la sua storia e la sua tradizione. Con meno di questo, saremmo tutti sconfitti, a prescindere dal medagliere e dalle soddisfazioni individuali.
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