Sindaco di Verona dal 2007 al 2017, Tosi è dal 2023 è coordinatore regionale veneto di Forza Italia dopo essere stato uno dei massimi esponenti della Lega, in Veneto e a livello nazionale. In questi due anni trascorsi da coordinatore, Flavio Tosi ha dato prova di grande capacità nell’animare/agitare le acque della politica veneta. Grazie anche alla conoscenza della Lega e dei leghisti veneti ha avviato una campagna acquisti attingendo in acque leghiste della (fu) Liga Veneta, attraversate da brividi di malessere e dissenso tra partito nazionale e politica locale. Nel 2011 è il sindaco più amato d’Italia insieme a Renzi e nel 2012, dopo essere stato rieletto sindaco di Verona, è eletto segretario della Liga Veneta, mentre nel 2013 annuncia la candidatura a segretario federale in alternativa a Salvini, ma Maroni mette d’accordo i due, mentre uno è eletto segretario l’altro dovrebbe diventare il leader in pectore della coalizione di centro-destra, l’anti-Renzi. Nello stesso anno lancia la sua fondazione “Ricostruiamo l’Italia”, presente in tutta Italia con una rete di 54 comitati provinciali (i Fari) ed è organizzato come un movimento politico. Nel 2014 è eletto alle elezioni europee dove raccoglie nella circoscrizione veneta quasi centomila voti (solo ottomila meno di Salvini); tuttavia, essendo candidatura di servizio si dimette e resta a fare il sindaco di Verona, ma nel 2015 è espulso dalla Lega, gli si contesta incompatibilità dell’iscrizione alla Lega con l’adesione alla sua Fondazione. In realtà l’incompatibilità era la sua con Salvini e con Zaia, i due astri crescenti. Nel 2022 è eletto alla Camera dei deputati con FI, ma a luglio rinuncia al seggio optando per quello conquistato quest’anno al parlamento europeo.
Idee e programmi per Venezia e il Veneto
Con questa intervista, avviamo una ricognizione tra le forze politiche per conoscere la loro idea per Venezia e il Veneto, l’orientamento, le strategie e i progetti per realizzarla. Partiamo da Forza Italia con Flavio Tosi, coordinatore regionale, che ha lanciato la candidatura di Zaia per il comune e rivendicato per Forza Italia la presidenza della Regione Veneto. Seguirà un’intervista a Deborah Onisto, capogruppo di FI in consiglio comunale e presidente della IV commissione comunale “Infrastrutture, Lavori pubblici, Espropri, Mobilità e trasporti, Piano del traffico e viabilità, Porto, Traffico acqueo, Arredo urbano”, così da mettere insieme lo sguardo dall’intorno all’interno e viceversa, coniugando l’ottica comunale con quella a scala maggiore.
Tante novità agitano il panorama politico sia italiano sia veneziano, anche se ciascuno degli schieramenti si affanna a dare un’immagine coesa di sé, nonostante siano agitati da correnti sottomarine. Tanti gli argomenti da affrontare anche se vorrei concentrarmi e sviluppare un discorso focalizzato sul caso Venezia, da far interagire con le scale regionale-nazionale-europea. Nonostante l’ostentazione di unità generale ci sono differenze e una situazione politica fluida e dinamica, terreno fertile congeniale all’innovazione politica se si è in grado di approfittarne cogliendone le potenzialità. Lei conosce dall’interno le dinamiche della Lega, federazione di movimenti radicati nel territorio, e lo spirito originario della Lega, che non si capisce se è smarrito o perso.
Brugnaro ha cercato di formare una nuova classe dirigente per il governo della città con quello con quello che aveva a disposizione, ma pochi dei suoi sostenitori hanno esperienza, troppi non sono all’altezza, l’improvvisa presa del potere li ha colti impreparati e non sembra esse bastata la prima sindacatura. Gli anni della prima sindacatura non sono bastati, qualcuno è cresciuto nella maggioranza ma ora i delfini avVenturini allevati in laguna rischiano di restare impantanati nelle secche della palude. Così come avviene in questi casi, il voto di protesta, molti hanno puntato votato per la novità nella speranza di fare innovazione per il rinnovamento della politica. È avvenuto solo in parte. Brugnaro approfitta del precipitare degli eventi e ha la capacità di coagulare intorno a sé una coalizione elettorale e non politica.
La Lega non ha in città elementi su cui puntare e nomina vicesindaco Andrea Tomaello, un giovane e promettente campagnolo nato e residente a Mirano, di buona volontà ma che poco o nulla sa della città lagunare. Brugnaro dà spazio a forze prima non rappresentate come F.d.I., capisce per tempo la tendenza al successo di un partito che ha allora una rappresentanza minima. In Forza Italia si sono visti crescere esponenti come il lidense Michele Zuin e la mestrina Deborah Onisto.
Come vede la situazione? Sbaglio a parlare di politica fluida e dinamica potenzialmente foriera di novità? Qual è la prospettiva per Venezia.
Be’, a Venezia più che d’impreparazione o di competenza, si dovrebbe parlare di comportamenti individuali scorretti di un assessore, la cui posizione si delinea piuttosto seria. Per quanto riguarda il sindaco la cosa non è ancora chiara, tant’è che nei suoi confronti sono stati presi provvedimenti diversi. Per quanto riguarda se stesso, Brugnaro sa se ha agito in conflitto di interessi mettendo mano alle pratiche dell’area dei Pili oppure no, questo lo sa lui e lo sanno ovviamente i magistrati. È questione che si capirà col tempo. La posizione dell’assessore Boraso è invece una posizione personale molto pesante, non mi pare un fatto d’impreparazione ma di volontà, uno sceglie di comportarsi in un certo modo perché lo vuole, nessuno lo costringe, quindi si tratta di responsabilità individuale.
Preferisco non parlare del procedimento legale e dell’inchiesta perché non conosco tutti gli atti che vanno studiati e comunque riguarderanno la verità giudiziaria. Alla luce di fatti emersi non ci si può esentare dal fare valutazioni politichegenerali, al di là dei Pili e dei singoli episodi. Brugnaro aveva messo dirigenti delle sue aziende a fargli da bracci destro e sinistro, e sembra che questi abbiano mantenuto doppia funzione e doppio stipendio versato dalle aziende private e dalla pubblica amministrazione in cui occupano posizioni apicali. Quello del conflitto d’interessi è tema che Forza Italia con Berlusconi conosce bene, ma il Cavaliere aveva tutt’altra stoffa, anche dissentendo da lui bisogna riconoscergli abilità da talent-scout inusuali, aveva fiuto, andava a cercare senza pregiudizi le persone che riteneva più capaci e le metteva alla prova dando loro modo di fare esperienza e creando così un insieme anche disomogeneo di persone capaci, alcuni con una esperienza politica pregressa. Brugnaro invece non pare avere la stessa capacità e lo stesso fiuto politico nel trovare e aggregare persone, crea un partito con l’ambizione di nascere da locale e crescere nazionale, ma fallisce perché nonostante ogni sforzo resta un movimento provinciale.
Brugnaro ha tentato di smontare Forza Italia portando via uomini a FI però è chiaro che non ha né la lungimiranza, né il carisma, né capacità di governo di Berlusconi. Il problema politico per il centrodestra è che, seppure queste vicende non tocchino nessun esponente di Fratelli d’Italia o di Forza Italia o della Lega, queste forze sostengono Brugnaro e il suo governo della città. Il centrodestra è quindi in apprensione rispetto a quelli che possono essere gli sviluppi della vicenda, perché a oggi non se ne sa abbastanza, quindi non si possono tirare conclusioni. Però è ragionevole che nell’arco di qualche settimana o mese il quadro sarà più chiaro e a quel punto si dovranno prendere delle decisioni, fermo restando che – lo ripeto – il sindaco sa perfettamente cosa è accaduto e tutto quello che lo riguarda, perché riguarda sé stesso, è lui che ha deciso di mettere come dirigenti del Comune persone che avevano anche altri ruoli inaziende private e avrà fatto le sue valutazioni. Aspettiamo con molta tranquillità gli sviluppi e poi prenderemo le opportune determinazioni. In questo momento Brugnaro ha diritto di andare avanti, soprattutto perché, mentre quando l’assessore si dimette cambi l’assessore, se si dimette il sindaco cade l’amministrazione, quindi è questione più delicata.
Zaia e Brugnaro hanno in comune l’accentramento del potere, legittimato certo dal risultato elettorale. Brugnaro subordina chi lo sostiene, concedendo agi politici, ma lasciando i partiti che lo sostengono in posizione secondaria ed è forse questo che consentirà al centrodestra (non ai fucsia), di smarcarsi e salvarsi. Zaia ha cominciato a ballare da solo sull’onda dei successi elettorali, la lista Zaia si distingue dalla Lega per Salvinie non lo fa solo per la scadenza elettorale, resta soggetto politico forte nel corso dell’intera legislatura. Di più, si ipotizza la presentazione di una lista Zaia anche nella prossima tornata elettorale in cui Zaia non potrà più candidarsi. Il tema che sollevoè quello della governabilità, per garantire la quale l’alternativa sembra essere tra una postura monocratica e la concessione di premi di maggioranza sempre più alti, anziché impegnarsi a sviluppare abilità politica per gestire relazioni politiche e coalizioni.
Dipende dai sistemi elettorali e dal consenso, perché ricordiamoci che nel 2020 Zaia ha preso il 78 per cento dei voti dei veneti e quindi si trova ad avere in regione una maggioranza schiacciante. Su cinquanta consiglieri regionali quarantunofanno parte della maggioranza, quindi è diventato sostanzialmente onnipotente grazie al voto dei cittadini che gli hanno dato una fiducia smisurata rispetto alla norma. Si vince con il cinuanta per cento, magari più del cinquanta, ma il 78 per cento a livello regionale è un dato che non si era mai registrato. Quindi si è creata questa figura da potere assoluto ma, ripeto, non è perché lui sia monarca, ma perché comunque i cittadini con il loro voto gli hanno attribuito un consenso tale da non avere minoranza. Stando 41 a 9 la minoranza di fatto non c’è. Questa è una situazione anomala che nasce in quel momento storico, è ovvio che se nell’attuale momento politico si andasse – come si andrà – a votare alle regionali, i numeri e gli equilibri cambieranno fortemente. La Lega di allora è un partito che l’anno prima nel 2019 (prima delle regionali del 2020) prende agli europei il 49,9 per cento in Veneto, mentre qualche mese fa alle europee la Lega prende il 14 per cento, quindi è chiaro che adesso ci sarà un riequilibrio, si tornerà alla normalità, non ci sarà più nessuno che prende quasi tutto e qualcun altro niente, ci sarà un equilibrio diverso.
C’è da considerare anche la tendenza di Fratelli d’Italia, che alle comunali di Venezia ha sempre avuto percentuali basse intorno al sei per cento, ma alle elezioni politiche del 2022 ha avuto il 26 per cent dei voti e in quelle europee del 2024 è arrivato al 34,5 per cento, per cui mette sul piatto un peso elettorale virtuale di cui in qualche modo bisognerà pur tener conto. Qual è il progetto di Forza Italia in questo panorama politico dinamico?
Gli equilibri vanno trovati in maniera complessiva perché altrimenti varrebbe il principio (che non vale) che chi è più grosso, il partito più grande, piglia tutto, quindi il candidato governatore del Veneto, il candidato sindaco, il candidato governatore dell’Emilia-Romagna e così via. In realtà non è così perché poi si deve trovare un equilibrio sulla base dei pesi specifici di ciascuno; quindi, è chiaro che Fratelli d’Italia ha diritto ad avere più candidature di Forza Italia e della Lega perché comunque è largamente il primo partito, questo non vuol dire avere tutto. La candidatura per l’Emilia-Romagna (dove si vota in novembre) è espressione di Fratelli d’Italia, dopodiché nella nostra area le altre due candidature pesanti a breve sono appunto quella del governatore del Veneto e del sindaco di Venezia. Su queste tre posizioni di peso del nordest Fratelli d’Italia ha già espresso una candidatura ed è ovviamente improbabile che le esprima tutte; quindi, all’interno di questo quadro, come Forza Italia, è chiaro che chiederemo anche noi di poter fare una proposta e per questa appunto abbiamo tempo fino ad autunno 2025, se si vota in autunno, o fino a primavera 26 se si accorperanno le comunali con le regionali.
A proposito di Veneto e Venezia, due questioni. La prima è relativa ai tempi, se tra Comune e Regione si vuole cercare di sincronizzarli. La seconda riguarda i candidati in comune e regione. Per spostare l’attenzione dal pantano delle contingenze comunali, è probabile che si cerchi un candidato di caratura nazionale per provare a sparigliare il mazzo del gioco locale, mentre in Veneto è necessario garantire continuità al forte radicamento nel territorio. Dunque, qual è la fisionomia dei candidati?
Sono situazioni molto diverse. Per quanto riguarda la Regione, dal punto di vista dell’amministrazione, non ci sono scossoni né problematiche, Luca Zaia andrà fino alla fine del mandato sia essa in autunno 2025 o primavera 2026, non è una situazione particolare come Venezia. Naturalmente ci sarà un candidato forte, perché non puoi proporre ai cittadini veneti, ai sindaci, agli imprenditori una figura di secondo piano. Si parla al governatore del Veneto. Quindi, che sia di Forza Italia o di Fratelli d’Italia, ci sarà una candidatura di peso. A Venezia la situazione è più complicata perché dopo un terremoto simile è chiaro che comunque Brugnaro non si può ricandidare (dopo due mandati), anche, fosse possibile, per ovvie ragioni di opportunità. Se arriverà a fine mandato non si sa, vedremo con il prosieguo delle indagini quello che accadrà, ma è chiaro che anche arrivasse fino alla fine del mandato arriva con l’indagine addosso perché è tecnicamente impossibile che quel procedimento finisca prima delle elezioni del Comune di Venezia, quindi lì bisogna trovare una figura diversa, una figura di garanzia per dire ai veneziani guardate che, come centrodestra, candidiamo una figura che si stacchi rispetto agli episodi che sono avvenuti. Bisognerà fare una ricerca in questo senso perché il centrodestra riconquisti elettorato a Venezia. È chiaro che questa vicenda, pur non toccando nessun esponente dei tre partiti del centrodestra, scuote l’amministrazione che è di centrodestra, quindi, bisogna cercare di fare un salto di qualità, ci vuole una svolta rispetto alla figura di Brugnaro.
Nel 2015, dopo l’esplosione dello scandalo Mo.S.E. (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), Brugnaro ha la capacità di occupare il vuoto politico, costruendo in breve tempo l’alternativa. Coglie al volo le condizioni favorevoli al ricambio e accorpa il dissenso civico che stava in disparte silente, con le (flebili) forze di opposizione al centrosinistra in comune, raccolte a sostegno della candidatura di Brunetta, da cui vengono tradite e abbandonate non appena perse le elezioni. Esito non inconsueto con “big” perdenti che si rifiutano di tirare la carretta, come se fare opposizione fosse tempo perso e non invece un esercizio faticoso e frustrante ma anche un’arena utile e una palestra necessaria alla formazione di una nuova classe politica per l’alternativa di governo della città. La stessa conclusione si ripete alle ultime due tornate con i candidati del centrosinistra Casson e Baretta. I candidati di peso sono mandati dai partiti con spirito di servizio a Venezia città del mondo, anche sapendo di andare incontro alla sconfitta. Il sacrificio, però, dura per l’intera campagna elettorale e non oltre, poi ci si defila optando per il piano B, che quasi sempre i politici hanno in tasca.
Lei ha ipotizzato e avanzato la proposta di candidare Luca Zaia a sindaco di Venezia. È emersa anche la possibilità di Carlo Nordio come possibile candidato, perché è radicato a Venezia, ormai è una caratura nazionale, è un magistrato quindi dovrebbe essere una figura che rassicura e di garanzia dopo una tempesta giudiziaria come questa (scelta analoga si è fatta candidando Casson). Cosa pensa di queste possibile candidature?
Sono due figure che hanno quella connotazione che dicevo, sia il presidente Zaia sia il ministro Nordio sono figure rispettate, rimaste sempre intatte e integre rispetto a indagini o procedimenti di quel tipo. Possono quindi – diversamente da Brugnaro oggi – dare un’immagine di trasparenza, di pulizia, di assoluta integrità rispetto all’elettorato, quindi, sia uno che l’altro sono candidati forti, pur non essendo veneziani doc. Questo aspetto si è visto non essere fattore determinante. Per dire, pur non essendo la stessa cosa, il sindaco Bitonci, che adesso è sottosegretario, prima è stato sindaco di Cittadella e poi di Padova. Come lui anche altri sono stati nel tempo sindaci di vari comuni perché è stata loro riconosciuta una capacità amministrativa e quindi sono apprezzati. Il cittadino veneziano di centrodestra apprezzerebbe certamente la candidatura di Luca Zaia come apprezzerebbe quella di Carlo Nordio, figure con capacità ed esperienza oltre che il giusto profilo in termini di trasparenza e integrità, l’uno e l’altro.
L’autonomia è cavallo di battaglia identitario della Liga Veneta fin dalle origini, ma anche sentire diffuso nel Nord-Est e non solo a destra. Anche Cacciari ha più volte rilanciato l’urgenza di dar risposte a un tema come quello dell’autonomia. Ritiene che la proposta di legge sull’autonomia sia adeguata? A proposito di autonomia e regioni, perché ha rinunciato al seggio alla Camera dei deputati a favore del Parlamento europeo, ritiene più utile stare in Europa per promuovere gli interessi del Veneto? Qual è il rapporto tra Regione ed Europa e quale può diventare in prospettiva?
Partirei da queste ultime domande riguardo all’Europa. Ho scelto di passare al Parlamento europeo innanzitutto perché ho ricevuto il consenso degli elettori per questo. Se avessi rinunciato i veneti non l’avrebbero presa bene, mi pare di sentirli dire “ti abbiamo eletto ora vacci”. È stato dunque per rispetto della volontà dell’elettorato. È comunque un’esperienza interessante, perché oggi è un ruolo diverso da quello che era in passato, quanto, in Italia, si mandava uno lì per metterlo a riposo, in pensione. Non sempre ma spesso è accaduto. Adesso invece ci si è resi conto (e lo conferma uno che è stato parlamentare fino al giorno prima sostanzialmente) che il 70-80 per cento di quanto approvato a Roma nell’attività legislativa parlamentare è di derivazione europea. Quello che serve è conoscere le regole del gioco e avere ovviamente capacità ed esperienza amministrativa di governo perché comunque oggi decidi là i destini dell’Italia, del Veneto, tutte le direttive le normative e gli accordi che sono presi a livello europeo incidono e incideranno sempre di più. Ed è meglio che sia così, perché o si ragiona su un’Europa unita e forte oppure non si riesce a competere con Stati Uniti, Cina, India e compagnia cantante. Si deve competere sui numeri, sulla capacità produttiva, sulla capacità economica, sulla forza politica e, appunto, visto che oggi si compete a livello globale con delle superpotenze, o l’Europa compete come Europa altrimenti non tocca palla. Si sta vedendo nella questione Ucraina, con la debolezza europea in politica estera, è una guerra che si combatte qui in Europa, ma i destini si decidono altrove (negli Stati Uniti e in Cina in particolare) se quella guerra deve finire. Avviene proprio perché oggi l’Europa non ha quel peso che invece potrebbe e dovrebbe avere. Andiamo però in quella direzione, l’Europa sarà sempre più forte e unita con competenze e deleghe da parte degli Stati membri, e, per poter portare a casa risultati per l’Italia e il Veneto, devi essere là e devi essere in grado di cambiare, di decidere le cose là perché poi quelle ricadono sui nostri territori.
Per quanto riguarda l’autonomia è un altro aspetto nella stessa prospettiva di costruzione democratica, perché un’Europa realmente confederale è un progresso dal punto di vista dell’organizzazione degli Stati e il percorso dell’autonomia è un progresso per l’organizzazione del nostro paese. Non vuol dire che arriveranno più risorse come nelle regioni a statuto speciale, sul modello Trentino Alto-Adige, Sicilia, ecc. perché la loro è autonomia speciale mentre la nostra sarà, diciamo così, un’autonomia normale. Si tratta sostanzialmente di una partita di giro dove lo stato cederebbe, per esempio, l’università e la parte formativa che è una delle richieste più importanti. Mentre prima la formazione era di competenza dello stato centrale, che aveva in carico i dipendenti, le sedi, le risorse, e quindi stabiliva quante facoltà, quanti corsi o come organizzarli, bisognava per forza passare dal ministero, chiedere, perché è lì che si decide. È passata come legge, ma ora devono passare le deleghe. Se passasse l’autonomia (ed è un percorso lungo, non è che se domani si arrivasse all’intesa sull’istruzione e sull’università il giorno dopo l’intesa il Veneto inizia a gestire in proprio l’istruzione) si dovrà avviare il processo per trasferire dallo stato al Veneto i contratti, il patrimonio. Ci vorranno mesi e forse qualche anno perché si completi quel percorso lungo e complicato. Poi si arriverà ad avere il potere decisionale in Veneto. In sostanza non è che hai più soldi, perché se lo stato oggi spende cento per quella delega ti darà cento, quello che cambia è che sei tu a gestire le risorse. Quindi sarà il Veneto a dire quanti saranno gli studenti di medicina. Oggi invece il tema dei numeri chiusi e delle soglie sono decisioni che si prendono a livello nazionale; quando ci fosse l’autonomia, non sarà più Roma a dire quanti e quali medici si formano in Veneto, sarà il Veneto che lo decide per sé stesso, sapendo quali sono le sue esigenze. Questo vale per tutto il mondo della formazione. L’autonomia è un percorso virtuoso perché comunque affida materie che sarebbero sicuramente ben gestite in una regione come il Veneto, o la Lombardia, l’Emilia-Romagna, la Toscana, la Puglia, il Lazio, ecc., sono regioni capaci, qualcuna con più capacità di governo, qualcuna che zoppica un po’, è lo stesso che vediamo tra le regioni a statuto speciale. Queste regioni sono tranquillamente in grado di gestire queste deleghe, accelerando i processi decisionali e rendendoli più aderenti alle necessità del territorio perché quello che decide Roma è un po’ distante, quello che viene deciso a livello regionale è agile, più veloce, più vicino.
Un’ultima domanda sul turismo e i suoi eccessi, È una materia che incide e condiziona la realtà urbana comunale anche se è di competenza regionale. L’overtourism non risparmia più nessuno, non è più un problema della città d’arte, ormai riguarda anche i centri minori e perfino le amene comunità montane. Non se ne può più. Cosa facciamo? Come gestiamo del turismo? Qual è il limite il limite da dare all’over, al di più? il problema non è solo il fastidio per i cittadini o la trasformazione delle città in ristoranti/dormitori, si deve tener conto anche del danno all’economia. Vediamo la produzione manifatturiera in costante discesa a vantaggio di una rendita veloce, remunerativa a breve termine ma di esito incerto nel medio e lungo termine perché legata alle fluttuazioni del mercato turistico. A Venezia l’abbiamo visto con l’acqua granda del novembre 2019 seguita dalla pandemia. Ci siamo trovati improvvisamente senza aria, senza ossigeno. Che fare?
Venezia è un caso unico e irripetibile dove l’overtourism è tangibile, lo respiri, te lo senti addosso. Quando ero in Regione nel 2007 i numeri non erano quelli odierni, ma già allora nel periodo estivo c’erano disagi gravi, per le calli non camminavi perché c’era una folla compatta, un muro di persone e, ripeto allora non c’erano i numeri che ci sono adesso. Quindi Venezia, il problema ce l’ha, che sia con i tornelli o con altra modalità, in qualche modo bisogna diminuire il numero dei turisti che affollano la città di Venezia perché è diventato un numero assolutamente insostenibile, si è andati oltre la saturazione e bisogna riportarla a una situazione di maggiore normalità. È vero che c’è stato un aumento turistico in tutte le città e le località del Veneto, ma una situazione come quella di Venezia ancora non c’è. Questo non vuol dire che il problema non va affrontato anche lì, bisogna prepararsi prima di arrivare a avere una situazione di emergenza come quella veneziana, non bisogna arrivare alla situazione veneziana e chiedersi “e adesso cosa facciamo?”, bisogna che la Regione, insieme ai comuni interessati, adotti già adesso degli strumenti che poi metterà in campo quando e dove sarà necessario. Vanno però pensati prima perché è chiaro che quel fenomeno prima o poi toccherà anche altri, oggi ancora no ma succederà, perché i numeri del turismo hanno una crescita esponenziale. È chiaro che devi trovare un equilibrio che sia rispettoso della qualità della vita di chi risiede nei luoghi, altrimenti chi risiede viene messo delle condizioni di andare via perché se sei invaso tutto il giorno in tutti i giorni dell’anno da un numero impressionante di persone, poiuno alla fine cede se ne va. Lo spopolamento che Venezia vive drammaticamente è una cosa da evitare, una patologia da curare, oggi in Veneto l’unica situazione fuori controllo è Venezia, proprio per questo bisogna approntare adesso gli strumenti che andranno usati situazioni simili a quella veneziana.
Interessante sentir dire che le misure vanno stabilite di concerto tra le amministrazioni locali che hanno il polso della situazione. Da un lato c’è la funzione di coordinamento e orientamento della Regione, dall’altro la declinazione in dettaglio dei comuni, per preparare provvedimenti su misura per ciascuna situazione, da cucire addosso alle comunità come tagli sartoriali.
Peccato che in questa materia non sia stato possibile aprire in parlamento un confronto serio e franco con tutte le forze politiche, non è stata colta un’occasione come la presentazione nel settembre 2023 in Senato della proposta di legge elaborata dalla rete civica nazionale ATA (Alta Tensione Abitativa), proposta che prevede proprio la facoltà (non l’obbligo) per i comuni di adottare e declinare le misure differenziandole nel tempo (in rapporto all’evolversi delle circostanze) e nello spazio (non solo tra città e città ma le misure si prevede possano differenziarsi da zona a zona all’interno dello stesso territorio comunale). Chissà che nella fluidità del quadro politico si riesca a superare i pre-giudizi e le contrapposizioni per lavorare su misure come queste, urgenti da adottare e ormai inderogabili, per contenere i danni.
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