Sapevo che l’indirizzo “da’a Marisa” a Venezia, Fondamenta San Giobbe, era molto noto. Ma la sua notorietà mi si è rivelata pienamente quando, prendendo un volo della Swissair, vi trovai una pubblicità della sua trattoria. Aveva il vantaggio di essere a pochi passi dalla Facoltà di Economia dove allora insegnavo. Aveva un altro vantaggio, costava pochissimo, a pranzo. Ancora, era l’unico luogo di Venezia in cui si poteva mangiare una semplice, sottile bistecca di manzo, trovandola buona. C’era una ragione: lì vicino, in fondo alla Fondamenta verso la laguna nord, dove adesso c’è l’Università c’era stato il macello di Venezia, e molti di loro che avevano lavorato a Cannaregio avevano imparato a conoscere le carni lì.
Ma quel luogo non era solo questo, non era soltanto un luogo onesto in cui le poche cose proposte, due tre primi, due tre secondi erano tutte buone, comprese le verdure di contorno cucinate con cura, era un ambiente modellato dalla padrona e dalla sua famiglia, con i caratteri autentici delle persone del popolo, e con un giro di clientela perfettamente in armonia con lo stile della gestione. Noi pochi docenti cafoscarini che qualche giorno della settimana ci fermavamo a mangiare lì eravamo certo degli estranei ma apprezzavamo moltissimo l’atmosfera, lo stile della Marisa e della sua famiglia, autenticamente popolano, parolacce comprese. Al punto che quando proprio non c’era posto nel piccolissimo locale, per quanto ci si fosse stretti, qualcuno di noi mangiava in cucina.
Il fatto era che la clientela di mezzogiorno era fatta di lavoratori, in prevalenza trasportatori che attraversavano il canale di Cannaregio per raggiungere le Fondamenta nuove e soprattutto l’Ospedale. Che potevano legare la barca lì davanti, molto comodamente. Ed erano in perfetta sintonia con lo stile della casa. Folklore, direte voi. No, non era folklore, era un ambiente autentico, divertente e spiritoso, scambi di battute che non sempre capivamo. Un ambiente che ti accoglieva e ti assorbiva, senza badare alle differenze.
E poi si stava stretti, data la piccolezza del locale. E lo stare stretti ha la sua magia. Me l’ha detto in faccia tanto tempo fa ormai un vecchio amico di montagna, gran frequentatore dell’osteria, unico ritrovo del paesino, a cui avevo chiesto perché stessero tutti in cucina, pur avendo un’altra stanza a lato sempre vuota. No te capissi gnente, el belo se star streti.
La sera, Da’a Marisa, era tutta un’altra storia: si poteva cenare in Fondamenta, gran parte dell’anno, c’erano le candele, il cibo era molto più ricercato e i prezzi salivano. Ricordo soprattutto i moscardini, con un sugo quasi nero. Mai riuscita a riprodurli.
Onore e affetto a Marisa e a quello che ha lasciato dietro di sé.
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