E il denaro va. E narra le vicende di uno dei tanti, il più recente, dei lunedì neri presenti nella storia mercati finanziari. Questa volta l’epicentro del sisma è stato in Giappone. Ma le onde sismiche propagandosi rapide lo hanno reso subito globale. A leggere il mainstream dell’informazione, propense a drammatizzare per cogliere l’attenzione del pubblico, si trova il racconto di “fiumi di denaro” che s’inabissano.
Per fortuna sono spesso speranze perse su investimenti “reali” minori. Però possono anche provocare slavine (azzeramenti di attivi di bilancio) pronte a tramutarsi in tsunami devastanti. Ecco perché le narrazioni, temendo il peggio, sono allarmistiche e, nel leggerle, sembra quasi trattarsi del colpo di grazia al capitalismo; o almeno a quella sua variante chiamata “capitalismo finanziario”.
Poi, come per magia, cessano le sirene d’allarme e torna, o pare, la quiete. Certo, talvolta dopo l’affondare degli indici, i cieli della finanza restano scuri. Ce lo ricordano le grandi crisi che hanno come convitato di pietra l’orso, uno degli animali simbolo della zoologia borsistica, che con la sua zampata discendente fa cadere i castelli della finanza rivelatisi di carta. Per fortuna c’è il toro, l’atro animale di questo mondo, pronto con la cornata all’insù a ridare fiato ai listini. Un po’ quello che è successo dopo i tremori ferragostani.
È la magia del denaro in finanza. Persa l’idea alchemica del fare dal piombo l’oro (inutile nell’era del denaro cartaceo o elettronico) è magia di fede. Perché è forza immane, immanente e creatrice che da assieme crescita (la finanza è il ponte che lega via investimenti il presente al futuro) e instabilità. In altri termini il denaro rappresenta un evento quasi teologico del capitalismo nel senso che la finanza può moltiplicare i valori solo perché i mercati ci credono.
È magia necessaria anche per la crescita dell’economia “reale” (classificazione standard che però suggerisce una visione forse troppo fisica di ciò che conta in economia). Quindi nessuna condanna della finanza è lecita. Alla fine l’economia è fatta di mondi contigui. In quello dei mercati finanziari un indicatore di guai da considerare è quello che richiama l’attenzione sul divaricarsi della distanza tra i risultati delle contabilità aziendali e i prezzi che dovrebbero rappresentarli. Difatti se questi ultimi appaiono eccessivi allora c’è la possibilità di bolla. Nella religione finanziaria è la fede a creare valore. Se cessa, le statue degli dei (le bolle) collassano. Accadde nel 1929 e più di recente l’ultima fu nel 2008.
Ora no, per fortuna. La narrativa, come detto prima cupa, cambia. Passano poche ore, infatti, e un rimbalzo annuncia che i mercati già cambiano umore. Significa che la crisi verrà riassorbita. Così è accaduto. Un rimbalzo e viene tutto di nuovo ricondotto a business as usual. Nondimeno sul campo sono molti i dubbi che la tempesta sia passata. L’atmosfera è carica di incertezze. Merita parlarne. Perché a modo suo la finanza, con un linguaggio tra l’emozionale (panico) e il futuribile (aspettative), valuta il futuro dell’economia reale con ricadute su tassi e credito; infine sullo sviluppo.
Dunque, l’origine della tempesta di Ferragosto ha come concausa una mini variazione negativa dei dati Usa sull’occupazione. Subito i dubbi e le cabale interpretative. Che succede negli States? Forse il metadone in dollari pompato nell’economia americana dall’Amministrazione Biden è più di corto respiro del previsto. Vorrebbe dire che l’uscita degli States dall’inflazione porta ad uno sperato “soft lending” che di soft potrebbe avere poco.
Almeno questo potrebbe essere il retropensiero nei mercati che ha portato a questo lunedì neo ferragostano. La qualcosa evidenzia una finanza d’oltreoceano già tesa e coi nervi scoperti. Che è come dire che la Biden-economics, o almeno sue parti, potrebbero assomigliare ad un assegno in bianco. Però già i martedì seguenti c’erano i primi squarci di sereno. Di conseguenza nessuna tragedia da fine del mondo. D’altronde è cronaca finanziaria che dopo le corse rialziste i mercati si correggano. Pertanto i cittadini possono sperare che nulla di grave sia successo? In parte. Certo si è evitato un guaio stile “crisi dei subprime” del 2008.
Merito finanche dei fondi speculativi, “creature” preziose per l’ecologia dei mercati finanziari. Lo sono perché evitano nei limiti del possibile il loro incubo peggiore. Che s’incarna nelle crisi di liquidità (il rarefarsi di denaro rende sterili gli scambi a Wall Street e consorelle) che a sua volta causa di collassi. Il problema, visto dai mercati, è che la “questione liquidità”, sebbene ora nelle acque profonde di “mari finanziari” permane. Ecco la ragione per attenzionare lo tsunami partito dal Paese del Sol Levante.
La nostra storia ebbe inizio vent’anni fa. A quel tempo la Banca del Giappone (BoJ) [la sede della BoJ a Tokyo nell’immagine di copertina] , nella speranza di frenare la deflazione che prendeva ad attanagliare il Paese, inaugurò una ricetta poi devenuta di gran moda. L’apparente risposta facile, quindi illusoria, a problemi difficili. Così iniziava l’era della politica monetaria dei tassi d’interesse a zero (ZERP nell’acronimo inglese). Allora nacque il dogma della “moneta facile”; che poi in politica monetaria è prevalso ovunque almeno dalla crisi del 2008.
Venendo a oggi, la Boj decide di cambiare rotta. Lo fa pure per le pesanti cadute dello yen sul dollaro. Il lunedì nero, che avrebbe potuto oscurare il Ferragosto 2024 ben più di quanto accaduto, di qui discende. Fino a quel punto la moda prevalente nei mercati era di fare funding (prendere denaro a prestito) giocando sul fatto che grazie a Boj appariva piuttosto conveniente indebitarsi, magari senza copertura di rischio di cambio, in yen per comprare attività più lucrose in dollari. Questo per il motivo che i tassi della valuta giapponese erano praticamente attorno allo 0%. Il gioco per reggere richiede fede nel permanere la stessa situazione nel tempo.
Può capitare però che l’atmosfera finanziaria del mondo cambi, talvolta repentinamente. È bastato che la Boj, spaventata nel vedere lo yen al tappeto, abbia deciso di correggere all’insù i tassi. È capitato così che a causa del rialzo dei finanziamenti nella valuta giapponese gli operatori che si sono indebitati in yen per operare in dollari si siano “scottati le dita”. Ed hanno dovuto correre ai ripari vendendo attività in dollari. Subito dopo la Boj si è arresa ai mercati, annullato i rialzi dei tassi e lo yen ha recuperato.
Se fosse consentita un’analogia metereologica è come se nel lunedì nero di mezza estate si fossero scontrate sui mercati finanziari due forti ma opposte correnti d’aria. Una determinata dall’andamento ondivago, ma con accenni ad un possibile taglio, della Federal Reserve (Fed) sul costo del denaro. Speculare, seppure per attimi, è stata la Boj che subito infatti è tornata alla sua dubbia tradizione. Tanto è bastato per spingere a eliminare gli asset in dollari presi indebitandosi in yen. Di qui la fuga dai listini e al conseguente regalare pure al 2024 un lunedì nero. Poi il clamore dell’evento si è placato. Nondimeno molti analisti faticano a ritenere che tutto sia finito in poche ore.
Insomma, prima i dubbi sulle performances degli Usa, poi lo yen, infine i dubbi sul “che fare” coi tassi che pare avere la Fed. Almeno questi, al momento, paiono essere rientrati. Meglio, certo. Purtuttavia qualche ombra permane. Restano due fattori d’incertezza. Il primo è che, sebbene in apparenza di liquidità ce ne sia in abbondanza, di colpo a Tokyo si è rimasti senza. Certo, se il bilancio di una BC è indicatore di offerta di liquidità allora quello della Boj al 127 sul Pil farebbe del Giappone un’economia super liquida. Il punto è che basta un dubbio di credibilità per farla evaporare.
Perché la liquidità è anche psicologia. Se ce ansia nessuno la pone sui tavoli delle contrattazioni. Altro aspetto che impedisce di archiviare definitivamente il lunedì nero di Ferragosto riguarda i dubbi sulla tenuta sul mercato azionario della aziende operanti in IA. Il timore è che siano sovrastimati. Ovvero che il loro gioco possa interrompersi bruscamente. Soprattutto, il timore dei mercati, pur riconosciuto l’impatto positivo dell’IA sull’economia, è che emergano difficoltà nel remunerare gli ingenti capitali necessari al settore. Quindi, se questi pensieri divenissero virali, i mercati potrebbero staccare la spina.
A parte questo una novità è la diffidenza dei mercati finanziari nei confronti delle Autorità Monetarie. Nel senso che nel contesto bellico in atto come in post pandemico l’approccio tradizionale delle BC appare superato. Nel senso che il tradizionale obiettivo del 2% d’inflazione (tipico di Bce) sia assurdo perché sottovaluta nel spinte inflattive (l’energia, ad esempio) ormai incorporate nei prezzi. Ne consegue che la forte volatilità dei mercati sia la “voce” del loro disagio. Naturalmente la politica monetaria è oggetto pure di un tiro alla fune opposto. È quello dei creditori che chiedono ai tassi, se innalzati, di rimediare ai danni fatti dall’inflazione riducendo il valore reale di rimborsi e interessi. La sociologia della moneta questo lo racconta da sempre.
Ma oggi c’è qualcosa di più radicale in campo. Nel senso che la “voce” dei mercati (la volatilità prima di “fughe senza ritorno”) potrebbe indicare -ben prima del contrapporsi di lobby debitorie o di creditori – le difficoltà del mondo della finanza a riadattarsi a tutto ciò che possa riportare i tassi sul terreno positivo. In fondo com’era normale, ed è, in una economia di mercato. Forse i mercati finanziari sono sempre più condizionati dalla prevalenza dei debitori (in primis le classi politiche responsabili dei vari debiti sovrani) avvantaggiati da inflazione e bassi tassi.
Potrebbe essere che il ritorno dell’orso, la già citata immagine del pessimismo finanziario, ci dica che la medicina anti shock adottata dalla crisi dei subprime del 2008 al SARS-COV2 abbia prodotto, come spesso capita ai farmaci, anche delle conseguenze negative. In altri termini, ci abbia resi dipendenti da essa. La domanda conseguente è se i paesi dell’Occidente siano ormai prigionieri dei tassi a zero.
Ecco perché, al di là dei rimbalzi del dopo lunedì, la cosa va presa sul serio. La ragione è che i mercati finanziari hanno un messaggio/sfida per le Autorità Monetarie e la politica. Infatti chiedono liquidità e tassi minimi; finanche zero o sotto. Conseguentemente questo lunedì nero dei listini globali può essere inteso come una modalità espressiva della finanza che chiede alle (BC) di togliere priorità alla lotta all’inflazione e tornare ad una politica monetaria “facile”.
Infatti basta leggere le cronache monetario/finanziarie come le BC che prioritariamente puntano alla stabilità monetaria e finanziaria siano sotto tiro. La qualcosa le rende incerte. Basta guardare all’Eurotower la cui voliera è popolata sia da falchi che da colombe. L’economista Masciandaro (D. MASCIANDARO, L’euro, i tassi e la Bce, il Sole/24ORE, 2024) ci ricorda non solo che il prevalere degli uni o degli altri dipende dalla percezione (oggi guardando più l’ieri che il domani) che le BC hanno di inflazione e crescita economica.
Tuttavia, ci ricorda lo studioso al capitolo IV°, dinnanzi alle difficoltà entro le stesse le Autorità Monetarie possono emergere comportamenti irrituali nelle dichiarazioni (i pavoni) o dannosi (corvi). Cosa determina l’emergere di queste condotte? Un mondo monetario/finanziario difficile da interpretare per il suo rapido mutare anche per fattori geopolitici. Vale pure per Bce che, allontanatosi l’euro dai rigori di Maastricht causa, oscilla tra un ritorno alla sua tradizione (Maastricht) e le voci che agitano molti altri portatori di interessi. E, certo, qui la “voce” della finanza pesa.
Forse è la realtà a lavorare per i falchi. Nel senso che paiono agli sgoccioli le condizioni che consentivano di avere ampia liquidità, tassi al minimo ma senza inflazione. Pure per l’esaurirsi di un fattori deflazionistico che compensava la “moneta facile”: la grande offerta di lavoro sotto costo dal mondo post URSS e dall’Asia.
Sarà più difficile barcamenarsi tra moneta facile e bassa inflazione. Quindi nonostante il lunedì nero forse la prudenza delle BC è ragionevole quanto impopolare
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