Fino a pochi anni fa sembrava impensabile per uno sport come il rugby essere rappresentato alle Olimpiadi. Una disciplina di contatto che richiede lunghi tempi di recupero tra una partita e l’altra. Come riferimento prendiamo l’ultima edizione dei mondiali di calcio svoltisi, all’incirca, nell’arco di trenta giorni, vedendo la partecipazione trentadue squadre. La coppa del mondo di rugby, tenutasi in Francia nel 2023, ospitava solo venti nazioni, con una durata di un mese e mezzo. Impossibile, quindi, organizzare un torneo olimpico, che vedrebbe le squadre scendere in campo ogni due giorni, praticamente senza riposo.
A Rio 2016, però, la svolta. Il Cio e World Rugby pensano a un format, tanto rischioso quanto potenzialmente vincente, per portare uno degli sport più praticati nel mondo alle Olimpiadi. Si ragiona su una manifestazione rugbistica sì, ma nella sua versione con squadre formate da sette giocatori, al posto dei canonici quindici.
All’epoca il rugby a sette, o rugby seven come viene chiamato dagli anglosassoni, non gode della fama che ha oggi. Anzi è conosciuto solo dai grandi appassionati, i quali, spesso e volentieri, lo guardano con occhio incerto. Completamente diverso dalla versione a quindici, è uno sport molto più veloce, i contatti sono minimi e gli spazi più ampi. Proprio per lo straordinario sforzo fisico richiesto, le partite durano solo un quarto d’ora e agli atleti è richiesta una fisicità più simile a quella di corridori che a quella di rugbisti.
Si tratta, in realtà, di uno sport molto più antico di quanto non si pensi. Nasce in Scozia alla fine dell’Ottocento. Un secolo dopo Jonah Lomu, poi leggenda della disciplina madre, comincia proprio nel seven la sua carriera agonistica. Celebre è il torneo di Hong Kong, soprattutto per lo spirito colorito che lo contraddistingue, con tanto di divieto d’ingresso ai minorenni in alcuni padiglioni esterni allo stadio.
Nonostante le nobili origini, il torneo di Rio 2016 resta un azzardo. Come spesso accade alle Olimpiadi, però, sport poco conosciuti e poco praticati usufruiscono fino in fondo della straordinaria vetrina a cinque cerchi. Un gran numero di spettatori curiosi finisce per assistere alle gare più disparate.
La prima edizione riscuote un discreto successo e, in concomitanza con i giochi di Tokyo 2021, il rugby seven torna in programma. Il Giappone ha appena ospitato i mondiali a quindici nel 2019, proprio in preparazione per le Olimpiadi previste per il 2020, poi rimandate. È una nazione rugbisticamente in crescita ormai da un decennio, quindi un torneo del genere è molto più seguito in patria di quanto non fosse stato in Brasile cinque anni prima.
Dopo due edizioni le isole Fiji guidano il medagliere con due ori al maschile, ma Parigi sembra prospettarsi come l’anno della svolta. Ancora una volta i giochi si svolgono ad un solo anno di distanza dall’ultima edizione della coppa del mondo a quindici, tenutasi in Francia, e avente come palcoscenico principale proprio quello Stade de France che presto diventerà il nuovo stadio olimpico.
Ma non solo, la nazionale di casa è reduce da una cocente sconfitta nei quarti rimediata in quel torneo maledetto, che li vedeva favoriti alla vigilia. La superstar Antoine Dupont, ancora profondamente deluso, decide di abbandonare tutti i suoi impegni a quindici per la stagione 2023/24, ed entrare a far parte della formazione olimpica. Una scommessa che in molti hanno ritenuto una follia. Dupont è il più grande giocatore del mondo, ma il rugby seven è tutto un altro sport e i figiani sembrano imbattibili.
Il torneo olimpico però segnerà un altro traguardo molto atteso. Come Dupont, anche Portia Woodman, giocatrice neozelandese, è sotto gli occhi di tutti. Una leggenda vivente, la migliore di sempre, paladina dei diritti Lgbtq+ e maori, colei che ha permesso al movimento femminile di crescere in modo esponenziale negli ultimi anni. Le Olimpiadi parigine saranno il suo ultimo torneo. Tutti vogliono vedere Woodman sul gradino più alto del podio, ancora una volta.
Parigi 2024 sono, però, i giochi dei social. Da mesi gli atleti condividono sui loro feed decine di contenuti a tema cinque cerchi. Molti di questi profili raggiungono una visibilità inimmaginabile nei giorni che precedono la cerimonia d’apertura, portando alle loro discipline tutta una nuova fetta di pubblico incuriosito. Il rugby vede dalla sua proprio la più “virale” tra queste nuove personalità divenute celebri su internet. Ilona Maher è il capitano della nazionale femminile statunitense e già da diversi anni usa Tik Tok e Instagram come mezzo per lottare contro il body shaming. Un fisico statuario e una personalità forte ma profondamente autoironica, capace di conquistare il cuore di tutti.
Queste sono le premesse di un torneo olimpico atteso come non mai. La location scelta è proprio lo Stade de France, che come ultimo evento, prima della chiusura per la rimessa a nuovo in vista dei giochi, ha visto proprio la finale dei mondiali di rugby del 2023. Lo stadio ha una capienza di ottantamila persone, e quindi ottantamila posti che vanno riempiti, per non rischiare la figuraccia nei primi giorni di gare. Il rugby seven è uno sport in crescita, ma è popolare abbastanza da riempire una tale arena?
Mancano due giorni alla cerimonia d’apertura di Parigi 2024, ma il torneo comincia già. Ogni giornata tutte le nazionali saranno impegnate in due partite. L’attesa per il ritorno del beniamino di casa e l’esordio della sua nazionale è tanta. Le luci si accendono a Saint Denis e… il resto è storia.
Le gare di rugby a sette registrano presenze da record. Lo stadio è gremito per tutta la durata delle competizioni, maschili e femminili. La Francia, guidata da un Antoine Dupont in forma spaventosa, batte in finale proprio i figiani e si aggiudica l’oro, il primo per il paese ospitante. La Nuova Zelanda femminile, nonostante la delusione del quinto posto in campo maschile, agguanta il grandino più alto. Portia Woodman a trentatré anni porta al collo le sue tre medaglie olimpiche ed esegue, con le sue compagne, l’ultima haka della sua carriera. Ilona Maher (intanto arrivata a più di due milioni di follower su Instagram) e gli Stati Uniti fanno la storia, sconfiggono in semifinale le grandi favorite, le australiane, vincendo la medaglia di bronzo.
Il successo riscontrato da un evento come questo non è, però, fine a se stesso, o meglio non dovrebbe esserlo. Il rugby è uno sport logisticamente molto difficile da gestire, in particolare per le piccole società. Richiede molti soldi ma, soprattutto, molti giocatori. Ricordiamo che una squadra, in media, deve possedere intorno ai ventisei membri per poter partecipare al più piccolo dei tornei provinciali. Un numero esorbitante per tante realtà, soprattutto in Italia. Una problematica ancora più evidente se si pensa che nel nostro Paese il rugby appare concentrato prevalentemente in Veneto e nel Nord-Est, con un scarso radicamento in altre zone d’Italia. Insomma, il bacino da cui “pescare” appare piuttosto ristretto.
La versione “ridotta” a sette atleti può essere, dunque, portata più facilmente nelle scuole e nelle zone in cui questo sport non è conosciuto e praticato. Un campo da calcio e una palla ovale bastano per introdurre i bambini al rugby. È meno pericoloso nei contatti rispetto alla versione madre, ma altrettanto entusiasmante, soprattutto al femminile. Basti pensare che a Parigi hanno partecipato le nazionali di Kenya, Brasile e Cina, paesi non esattamente famosi per i successi rugbistici.
Questa può essere, quindi, l’occasione per far crescere il movimento, sia in luoghi dove il rugby è già ben radicato nella tradizione, ma anche in ambienti in cui questa disciplina è pressoché sconosciuta, ma dove può trovare terreno fertile e far attecchire i suoi valori di fratellanza e accoglienza, che lo rendono lo sport dei gentlemen, e gentlewomen, per eccellenza.
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