Di cosa è fatta l’ignoranza?
Il grande storico Peter Burke, nelle prime righe del suo bellissimo libro, Ignoranza. Una storia globale, [Raffaello Cortina Editore, Milano 2024] afferma che l’ignoranza “è un tema che sta suscitando un crescente interesse, sulla spinta degli incredibili esempi di ignoranza dei presidenti Trump e Bolsonaro, per non parlare di altri governi.”
Di che cosa sono ignoranti gli ex presidenti degli Stati Uniti e del Brasile? Cosa non sanno? Che cosa non conoscono? A quali livelli di conoscenza e consapevolezza non accedono?
Basterebbe una considerazione attenta dei due personaggi, tra gli uomini più potenti della terra, e domande come quelle precedenti per rendersi conto delle effettive cause del fallimento dell’educazione. Eppure la recrudescenza restaurativa di un ordine fuori dal tempo e da ogni validità scientifica, oggi in Italia intende affermare l’istruzionismo addestrativo e nozionistico, l’involuzione identitaria della scuola italiana [Cfr. a proposito il contributo di M. Tarozzi, Contro l’involuzione identitaria della scuola italiana, in EncycloPaideia, 08-08-2024], contro l’educazione e la formazione come emancipazione umana e civile e come pratica della libertà.
Ma come aveva affermato Gregory Bateson, deve esistere una specie di legge di Gresham per cui le cose peggiori si affermano, come, appunto, le monete false secondo Gresham. Le leggi del consenso prodotto con una macchina a produrre seguaci fanno il resto. Come più e più volte abbiamo potuto constatare, nella storia e nel presente, il consenso per decisioni sbagliate acceca e produce solo effetti sbagliati.
Uno sfrido della democrazia che è stato sempre abbastanza controllabile. Non lo è più nel momento in cui le regole istituzionali della democrazia sono utilizzate per prendere il potere da parte di coloro che disdegnano e trasgrediscono nei fatti quelle stesse regole democratiche. Il supporto cruciale delle nuove forme di comunicazione digitale fa il resto con vere e proprie bugie propagandate con il giusto condimento di odio, inventando nemici. A proposito delle trasgressioni delle regole democratiche da parte di chi governa basti l’affermazione dell’attuale ministro che ha sostenuto l’umiliazione come metodo educativo, a fronte della Costituzione italiana su cui pure ha giurato, che sostiene esattamente il contrario.
Allora, di cosa è fatta l’ignoranza di Trump e Bolsonaro?
Non di nozioni e di capacità di calcolo. Ne hanno da vendere. Non di meritocrazia, perché quello che intendono per meritocrazia è semplicemente la prevalenza della legge del più forte. No, la loro ignoranza non è fatta neppure di problem solving: mostrano di sapersi muovere bene nel cabotaggio delle loro tattiche per prendere e conservare il potere. Gli istruzionisti addestratori a questo punto staranno dicendo: vedi! Sono quelle le cose che servono per diventare famosi, – per almeno un quarto d’ora, aggiungerebbe con sana ironia Andy Wharol, – per vincere, per dominare.
Ma allora di cosa sono ignoranti? Ma vuoi vedere che quello che manca a lor signori – si fa per dire – è proprio quello che disdegnano e di cui non vogliono sentir parlare gli istruzionisti addestratori? Come capita spesso si nega la cosa che serve di più. L’educazione sentimentale su cui ogni conoscenza si innesta, oltre ogni dualismo, perché dietro ogni pensiero c’è un’emozione, è quello che più di tutto manca, e non solo a loro, ma alla nostra scuola. Manca un’epistemologia in grado di fornire ad ognuno i criteri per scegliere e vivere e non solo una autoaccecante cassetta degli attrezzi. Manca, nell’epoca del digitale e della cosiddetta intelligenza artificiale, la capacità di riflettere per aumentare continuamente le proprie menti al fine di governare il digitale ed essere donne e uomini non solo competenti ma liberi nella nuova semiosfera digitale. Manca l’educazione al corpo e al movimento come condizioni di ogni apprendimento. Manca l’educazione alla conoscenza delle proprie emozioni e della propria relazionalità come base necessaria per l’innesto di nozioni e conoscenze. Manca una visione antropologica che faccia riconoscere gli umani come parte del tutto sul pianeta Terra e non pieghi verso le chiusure razziali e razziste. Manca l’apprendimento di una coscienza planetaria che consenta di vivere e salvaguardare la Terra come casa comune. Solo orientando le conoscenze a questi scopi, le diverse componenti del sapere acquisiscono un senso e rispondono alla ricerca di significato come base motivazionale dell’apprendimento, secondo una sempre attuale indicazione di Jerome Bruner.
Scrive Thomas Bernhard in L’origine:
I fatti sono sempre spaventosi e noi non abbiamo il diritto di coprirli con l’angoscia che da essi ci deriva, un’angoscia che ognuno di noi opera morbosamente e si alimenta senza posa, e non abbiamo il diritto di falsificare così l’intera storia della natura trasformandola in storia dell’uomo, né di tramandare tutta questa storia come una storia da noi sempre falsificata poiché è nostra abitudine falsificare la storia e tramandarla come storia falsificata, pur sapendo perfettamente che tutta la storia è falsificata ed è sempre stata tramandata soltanto come storia falsificata.
Per le derive dell’educazione, i fatti sono spaventosi e ancor più lo sono i fatti in arrivo dalle scelte di chi governa, che si propongono come la soluzione di quelle derive.
Per un paradigma corporeo
nell’educazione e nella formazione
Con la ricerca scientifica scopriamo sempre più chiaramente l’esistenza di una stretta connessione tra azione, movimento, educazione, e conoscenza. Una questione molto impegnativa da accreditare e riconoscere è la centralità del cervello motorio e del sistema sensorimotorio per la comprensione dell’azione, dei comportamenti cognitivi e riguardanti la conoscenza e l’apprendimento. Nonostante le evidenze dell’embodied cognition, il corpo e un paradigma corporeo incontrano non poche difficoltà a essere riconosciuti in campo educativo e formativo. Associata a questo problema c’è anche la difficoltà a riconoscere la sintesi tra percezione e azione. Persiste una tendenza a ribadire la logica dei due tempi, in base a cui ci sarebbe prima la percezione, poi la registrazione di quanto percepito e in seguito il calcolo intenzionale che darebbe vita all’azione. Siamo sempre, in realtà, nell’ambito del dominio della visione e della cognizione. Pare proprio, però, che le cose non stiamo così. Approfondendo la questione, ad esempio, con le ricerche di Matteo Pasquinelli [The Eye of the Master: A Social History of Artificial Intelligence, Verso Books, London 2023], si scopre che le origini stesse della matematica e degli algoritmi sono legate essenzialmente al lavoro e alle azioni lavorative. Lo spacchettamento del lavoro e dell’esperienza lavorativa richiama la centralità del corpo e dell’azione. Persino il termine computer in origine riguardava il lavoro di coloro che fanno di conto: fanno, cioè agiscono mediante l’operatività del corpo, con una pratica attiva. A volte ci perdiamo nella banalità: basterebbe considerare il rapporto tra un neonato e le cinque dita della mano per riconoscere un rapporto tra il corpo e la matematica.
Il modello di riferimento che continua a dominare la scena quando si parla di educazione è basato, per ridurre il tutto a una semplificazione, sostanzialmente su tre passaggi: il linguaggio verbale articolato per trasmettere informazioni in base a un programma predefinito, giungendo alla fine della trasmissione a controllare gli esiti in termini di apprendimento: programma, istruzione, controllo, appunto. Un approccio che potremmo definire semplicisticamente basato sulla meccanica di Newton che è molto presente e caratterizza le attività educative da quelle primarie a quelle istituzionali. Gregory Bateson, con la sua ironia, aveva parlato di meccanismo: energia-forza-urto. Se si parla tra insegnati domandandosi che cos’è educare, normalmente la posizione è: noi disponiamo del linguaggio verbale articolato; siamo in grado di trasmettere informazioni con un approccio per istruire, e poi controlliamo il risultato raggiunto in termini di apprendimento. La prospettiva della trasmissione del sapere è dominante e ampiamente consolidata in questa scena e nella prassi.
Se il pensiero è movimento,
limitare il movimento limita il pensiero
Sperimentando percorsi di innovazione educativa in molteplici situazioni, dai bambini agli adulti, è stato possibile mettere a fuoco prime e proficue innovazioni metodologiche che sollecitano i sistemi emozionali della ricerca, della curiosità e della giocosità, attivando particolarmente corpo e azione. La prospettiva operativa che ne emerge, definita Research Based Learning fa riferimento in modo ampio ed esteso all’azione e al movimento, alla disposizione a cercare e all’attivazione dei processi di curiosità, sviluppando unità di apprendimento che si svolgono mediante alcuni passaggi fondamentali. A guidare la ricerca di metodologie innovative sull’apprendimento e l’educazione con l’infanzia, con gli adolescenti e con gli adulti è l’ipotesi che sia necessaria oggi una profonda trasformazione nei modi di organizzare e gestire le relazioni educative. A tale scopo è utile valorizzare i risultati della ricerca scientifica degli ultimi trent’anni sul corpo-cervello-mente e sull’affermazione sempre più evidente di un paradigma corporeo per comprendere l’apprendimento umano e, di conseguenza, le modalità di organizzare e gestire le relazioni educative. Le neuroscienze affettive e cognitive e le neuroscienze sociali, insieme ad alcune aree della psicologia clinica, hanno introdotto una rivoluzione nella comprensione dell’apprendimento umano. Le modalità di educazione e insegnamento possono trarre importanti indicazioni innovative nell’adottare riferimenti e paradigmi che risultano avanzati e che ad ogni evidenza possono costituire i principali responsabili dell’efficacia dei risultati dei processi educativi. L’obiettivo fondamentale che abbiamo di fronte è far evolvere i processi educativi da un’educazione basata sull’insegnamento ad un’educazione basata sull’apprendimento, ovvero su quello che sappiamo su come il sistema corpo-cervello-mente di noi esseri umani apprende nelle dinamiche intersoggettive e relazionali. L’educazione è un’esperienza sociale basata sulla naturale intersoggettività e relazionalità umana, e la relazione educativa è una relazione asimmetrica costituita da un continuo e ricorsivo processo di elaborazione della circolarità tra autonomia e dipendenza. Condizione indispensabile per l’innovazione educativa è, quindi, il rapporto che si stabilisce tra apprendere ad apprendere e apprendere ad educare, tenendo conto anche dell’influenza della combinazione tra educazione e insegnamento. Per molti aspetti educare e insegnare non sono due parole contrarie ma essenzialmente sinonime soprattutto se si esce da un approccio direttivo basato sul “segnare dentro” e si cerca di affermare una prospettiva di natura clinica, finalizzata a chinarsi efficacemente con l’ascolto e l’osservazione sull’altro per aiutarlo a “tirar fuori” le condizioni di emancipazione e di crescita di sé stesso, in una conversazione infinita, come di fatto è l’educazione.
I principali passaggi di una innovazione metodologica dell’educazione sono basati, quindi, su un paradigma che definiamo corporeo nello studio dell’apprendimento. Il punto di partenza, quello che costituisce l’azione originaria di ogni educazione basata sull’apprendimento è la domanda. In principio c’è una domanda, sul tema o unità di conoscenza oggetto dell’azione educativa e del processo di apprendimento. Lo scopo è far emergere le conoscenze e i saperi spontanei e ingenui di cui ognuno dispone ad ogni età, rispetto a qualsiasi fenomeno, come sostiene Alfonso M. Iacono, [Apprendere con la coda dell’occhio]. Ognuno di noi non è una tabula rasa alla nascita, e quindi è dotato di schemi di base su cui si innestano gli apprendimenti successivi. La questione iniziale è la mappatura delle conoscenze e dei saperi spontanei sul fenomeno in oggetto. Questo vale per conoscere una margherita, il teorema di Pitagora o la relatività generale. Approntare una mappa sul fenomeno vuol dire creare le condizioni per l’apprendimento dall’esperienza e ogni apprendimento è soprattutto apprendimento dall’esperienza. Il corpo-cervello-mente sollecitato dall’intersoggettività e dalla relazione educativa, si attiva in quanto forma vitale e si muove verso l’attrazione della domanda, esprimendo conoscenze spontanee il cui valore sta soprattutto nell’attivazione attentiva e nelle motivazioni a cooperare più che nella validità scientifica. L’analisi e l’elaborazione della mappa emergente, valorizzando la cooperazione interpretativa in gruppo, consente un primo riconoscimento delle conoscenze disponibili, ma soprattutto permette di ricondurre a categorie essenziali i molteplici punti di vista, preparando la possibilità di mettere in rapporto le conoscenze spontanee con le conoscenze validate scientificamente. È questo il momento della formulazione di ipotesi per giungere ad approfondimenti mediante ricerca, finalizzati a conoscere in modo scientificamente valido l’oggetto o il fenomeno su sui si sta lavorando. La sollecitazione della capacità ipotetica, una caratteristica specie specifica dell’homo ipoteticus secondo Giorgio Prodi, è un passaggio nodale dell’educazione e dell’apprendimento basati sulla ricerca.
La proposta delle conoscenze validate scientificamente è la fase successiva. Si produce così una ristrutturazione delle conoscenze e una progressione del riconoscimento dei saperi scientifici. L’elaborazione e le interdipendenze tra i diversi punti di vista e le diverse accezioni nella spiegazione scientifica del fenomeno oggetto di educazione e apprendimento è la penultima fase. Segue la valutazione del rientro delle conoscenze acquisite e la narrazione condivisa dei risultati di apprendimento raggiunti. La logica complessiva della proposta metodologica basata su un paradigma corporeo, in termini metaforici e operativi è basata sull’innesto. Così come è possibile ottenere albicocche da una pianta di pruno, procurandosi dei rametti da un albero di albicocco e innestandoli sui rami recisi di un albero di pruno, con le dovute procedure tecniche richieste, allo stesso modo sulle conoscenze ingenue e spontanee disponibili è possibile innestare saperi validati e inediti. Complessivamente, l’attivazione dell’azione e del movimento verso unità di conoscenza validate non avviene secondo la prospettiva: programma-istruzione-controllo, ma rispettando le vie e le modalità mediante le quali il sistema corpo-cervello-mente di noi umani apprende, anche secondo le evidenze sperimentali proposte da Gerald M. Edelman [Sulla materia della mente, Adelphi, Milano 1993]. Quelle evidenze mostrano che in primo luogo noi selezioniamo i segnali del mondo, sia nel senso di scartarli che di sceglierli, in base ai codici affettivi e cognitivi disponibili; in secondo luogo riconosciamo i segnali scelti, ritenendoli; in terzo luogo operiamo un processo di rientro innestando quei segnali sul nostro patrimonio esistente e assimilandoli e adattandoli al nostro patrimonio di conoscenze e alla nostra esperienza. L’obiettivo è superare il limite dell’educazione, dell’apprendimento e della conoscenza come trasmissione del sapere. Non si riduce ad una trasmissione di informazione quello che accade tra due esseri umani o tra due esseri viventi in generale. Quello accade tra un essere umano e una macchina che registra, se la macchina funziona bene.
Tra due esseri viventi il processo comunicativo e quello educativo sono probabilistici, non deterministici e a svilupparsi è una cooperazione interpretativa o una “danza che crea”, come abbiamo già sostenuto richiamando l’espressione di Heinz von Foerster, ripresa da Mauro Ceruti. Costruendo, con il movimento effettivo o simulato, si impara. [H. von Foerster, Sistemi che osservano, Astrolabio Ubaldini, Roma 1987; M. Ceruti, La danza che crea, Feltrinelli, Milano 1989].
L’articolo Per un’educazione planetaria. Epistemologia, metodo, qualità istituzionale proviene da ytali..