Se a dieci anni di distanza dalla “grande retata” del 2014 Venezia si ritrova in una Palude che richiama la memoria del precedente, una riflessione sulla città si impone. Vero è che una differenza balza agli occhi: allora la cabina di regia stava a Roma assieme a un buon numero di protagonisti, se pur non tutti emersi dalle cronache, mentre oggi la regia è tutta locale. Come se l’esempio avesse generato proseliti.
Allora il Mose sottoponeva la città a una grande infrastruttura a prescindere dai modi, dai costi e dalle procedure del suo collaudo. Oggi l’oggetto è la città stessa, con protagonisti rigorosamante locali. In pratica l’amministrazione della città.
Palude Venezia edito a tempo di record da Nordest libri offre al lettore una narrazione strutturata dell’inchiesta che la collega ai reiterati affioramenti del malaffare incorsi negli anni. Quelli che le cronache hanno evidenziato a una città costretta ad assistere ai progressivi sviluppi, a partire dall’immobiliare. Vera materia prima dell’arbitrio amministrativo che ha avvolto la città.
La “originalità” del concetto di “facilitatori” degli investimenti introdotto dalla Giunta Brugnaro dal 2015 si è tradotto nell’informare dei metodi dell impresa privata l’amministrazione urbana. Dove il modello organizzativo e gli uomini chiave coincidono con la LB Holding spa. L’azienda del sindaco! Esempio di modernità o piuttosto di sottomissione padronale della pubblica amministrazione? Con l’aggiunta della costante seduzione sportiva che ha infiltrato la pratica amministrativa per stimolare simpatie.
Ma è di questo che una città in declino economico e demografico aveva bisogno? Possiamo dire tranquillamente che la cura perseguita è stata peggio del male da correggere.
La realtà si è incaricata di svelare come l’impronta proprietaria ha ispirato l’intero mandato. Imporre a Venezia la definitiva trasformazione in risorsa turistica a partire dalla desertificazione della residua residenzialità in favore di un duplice sfruttamento. Da un lato il patrimonio storico culturale come attrazione di massa, dall’altro il patrimonio edilizio ricondotto a puro scopo ricettivo. Sempre di massa. Alberghiero e locazioni brevi hanno inserito la città tra le capitali mondiali dell’overturismo contenporaneo.
L’apoteosi dell’urbanistica contrattata secondo l’interlocutore di turno.
Assegnare allo sviluppo immobiliare la strategia dell’economia urbana, anzichè alla diversificazione della base economica della città, ha il preciso significato di favorire l’esistente anzichè perseguire il cambiamento.
È in questo arroccamento di sfruttamento dell’esistente, indotto dal turismo e dall’immobiliare, che Venezia ha distanziato la sua traiettoria dalle altre città venete, incalzate invece dai cambiamenti dell’economia moderna.
Ma è di questo stesso turismo che in realtà una componnete rilevante dell’economia regionale si alimenta. Quella che in Venezia vede il valore aggiunto di un intero settore, anche a costo di degradare una preziosa risorsa urbana in pura attrazione di massa. In questa componente va riconosciuta una perdurante distorrsione dell’idea di Venezia da parte del Veneto. Un patrimonio Unesco dotato di aeroporto internazionale e di porto crociere. Il mix ideale dell’overturismo, nazionale e internazionale.
Di qui l’innesto di una narrazione che propone il turismo urbano come generatore di nuovi “talenti imprenditoriali” . Una risorsa che a Venezia come altrove ama ritrovarsi nel concetto di una sorta di autarchia turistica come carattere precipuo di una “nazione” che esalta i propri valori.
Di qui la facile propensione di rincorrere un durevole radicamento politico indotto dalla apparente facilità di raccogliere consenso grazie alla saldatura di ideologie e interessi, senza badare al crescente degrado della città ridotta a risorsa gratuita da sfruttare.
Quello che esce da questa vicenda è quindi un interrogativo su come inserire la città in una dinamica diversa e alternativa al perpetuarsi di corruzione e degrado che trovano comunque interlocutori interessati.
E a questo punto non si può evitare un singolare parallelo. Come nel 2014 l’indagine condotta dal pubblico ministero Carlo Nordio approdò al risultato di un radicale cambiamento politico in città, oggi il medesimo protagonista, divenuto ministro della Giustizia, si batte per introdurre nell’ordinamento proprio quelle norme, le intercettazioni, che hanno consentito lo sviluppo della odierna inchiesta. Un segno dei tempi?
L’articolo Se la laguna diventa una palude proviene da ytali..