I giornalisti e i commentatori più attenti alla politica veneta/veneziana si sono già addentrati nella catalogazione delle posizioni dei e nei partiti/movimenti ma non è neppure all’orizzonte una proposta per una alternativa al centrodestra credibile per il dopo Brugnaro, che per essere tale dovrebbe essere largamente condivisa, mentre ad oggi il consenso generale si limita a dar atto che essa serva, in sostanza che serve una coalizione: non è poi una affermazione da poco, di questi tempi, ma purtroppo si evita ancora di ragionare sul “come” arrivarci.
Al momento siamo di fronte a qualcosa che ricorda una surplace di ciclisti intenti ad attendere lo scatto di un altro per approfittare della sua scia. Gli appassionati di ciclismo su pista si ricordano epici surplass da un’ora e passa ma è anche vero che i regolamenti internazionali limitano oggi questa mossa (una mossa senza movimento!) ad un massimo di 30 secondi. Anche la politica dovrebbe adeguarsi!
Alcuni saggi teorizzano che alla base della coalizione (secondo i dizionari: unione temporanea tra soggetti diversi per conseguire vantaggi di interesse comune) ci debba essere un programma comune (cioè l’enunciazione particolareggiata di ciò che si vuole fare). Sembra un’affermazione di buon senso ma essa dovrebbe esser supportata da almeno due precisazioni impegnative:
a) che il programma dovrebbe limitarsi semplicemente al che fare nei 5 anni di mandato (astenersi dunque, si prega, dall’ingarbugliare la questione confrontando i programmi dei partiti e le analisi di quanto essi hanno fatto prima, nel bene e nel male: dopotutto nei CLN di ottantant’anni fa l’obiettivo di programma, dei liberali come dei comunisti, era semplicemente quello di vincere su fascisti e nazisti);
b) che questo badare al programma non intende coprire in realtà la mera esigenza strumentale di rinviare a più avanti la scelta delle persone che tale programma dovrebbero poi interpretare. Sottolineo che il termine qui usato “persone” non è una mera alternativa al termine più concreto di “candidato sindaco”: intendo che scegliere il miglior candidato sindaco non basta perché il buon governo di una città ha bisogno di più persone con profili e competenze diverse. Sebbene la vulgata prevalente voglia farci intendere che una delle migliori leggi degli ultimi decenni sia stata quella per l’elezione dei sindaci (tanto che qualcuno vorrebbe replicarla a livello nazionale), mi permetto di dissentire ed i parecchi “soldatini disciplinati” nei consigli comunali fanno rimpiangere qualche precedente.
E poi bisognerebbe che qualcuno si preoccupasse di abbozzare almeno una qualche modalità per comporre assieme, a più mani, questo programma: per cominciare, a chi bisogna citofonare?
Mentre si attende il rientro dalle vacanze di Partiti & C. si profila intanto l’ennesima divisione tra chi confida nelle capacità risolutorie della “POLITICA” (da scriversi indefettibilmente con tutte lettere maiuscole) e chi confida nella taumaturgica “soluzione primarie”. Va detto che entrambe le posizioni hanno delle loro buone ragioni.
A favore dei primi gioca il fatto che se i partiti non servono a definire programmi e alleanze e candidati, a che diavolo servono? Andrebbe però anche considerato che in tempi nei quali le forze dei partiti si smorzano e cresce invece il partito di chi non vota, non è poi molto democratico lasciare decisioni del genere alle oligarchie di partito: e più ci si attarderà nel definire il percorso delle scelte più si avvicinerà il momento che sarà giocoforza affidarsi ai capi dei partiti e dei movimenti … e sia quel che sia. Per i cultori della materia val però sempre la pena ricordare che a più cent’anni dalla sua definizione la ferrea legge dell’oligarchia dimostra tutta la sua vivace attualità (la democrazia non può fare e meno di organizzazione, cioè di partiti, ma l’organizzazione dei partiti genera oligarchie e queste comprimono di fatto la democrazia).
I secondi puntano invece sul valore della partecipazione dei cittadini alla scelta: è anche questo un buon principio ma non è affatto dimostrato che la scelta fatta da “molti” sia di per sé migliore della scelta di “pochi”, anche se l’investitura di molti vale più dell’investitura di pochi: il bagno di folla delle primarie (dei potenziali votanti non facenti parte dei partiti) aiuta certamente i candidati già forti ma ben poco aiuta i candidati deboli ed anzi tende a dividere i sostenitori delle alternative in lizza. Stupisce dunque che non ci si ponga il problema di “come” fare le primarie e si dia invece per scontato (ineluttabile) il metodo fin qui usato dal Pd, come se non avesse dimostrato qualche grave inconveniente.
Quanto al “come” tenere queste benedette primarie, non ci sarebbe poi molto da inventare di nuovo essendo stata la questione ben studiata già secoli orsono, tanto che i malevoli pensano che ogni altro metodo sia inviso alle già citate oligarchie di partito semplicemente perché un po’ di potere glielo toglierebbe… Dunque modalità diverse per votare nelle primarie del Pd e dei suoi coalizzati non sono mai stati prese in considerazione con buona pace dei loro nobili ideatori: Jean-Charles de Borda (1733-1799), Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Condorcet (1743-1794), Pierre-Simon de Laplace (1749-1827). Che poi dell’ingiustizia del voto a maggioranza – quello scelto dal Pd per le sue primarie – si sia occupato anche un autore di rilievo come Lewis Carroll (quello di Alice nel Paese delle meraviglie) non ha certo turbato la visione del paese-Italia del Partito democratico. Dopotutto, Levis Carrol aveva scritto e stampato nel 1873 a sue spese il trattatello A discussion of the various methods of procedure in conducting elections solo perché era stato coinvolto, da insegnante, in una procedura per l’assegnazione di una borsa di studio.
Quanto ai sinceri ricercatori di una salvezza per Venezia – e ce ne sono! – sarebbe raccomandabile una “gita scolastica” tutti assieme a Vittorio Veneto, anzi, a Ceneda a visitare e godere la Sala del Maggior Consiglio della Comunità Cenedese decorata con una serie di sontuose scene storiche dipinte tra il 1842 e il 1844 dal bellunese Giovanni De Min assieme a dodici allegorie – in monocromo – delle virtù alle quali i consiglieri raccolti nella sala dovevano far riferimento per il buon governo della loro città.
I veneziani potrebbero riflettere sulle necessarie virtù lì rappresentate: la Modestia, la Prudenza, la Pace, la Fedeltà, il Silenzio (non l’opacità o la mancanza di trasparenza, ma semplicemente ciò che rappresenta l’oca che non schiamazza), la Carità, la Diligenza, la Costanza, l’Amor di Patria, la Giustizia. Quale dodicesima virtù necessaria è rappresentata l’”Elezione del Buono” nelle forme di una giunonica signora armata di rastrello e setaccio. La rappresentazione della scelta buona attraverso lo strumento del crivello è abbastanza scontata ma l’altro strumento posto lì accanto induce ad altra considerazione: per scegliere bene occorre anche rastrellare, cioè riunire le risorse; secondo dunque il saggio pittore le scelte che badano solo a espungere dal canestro non sono buone scelte: il buono è cioè il frutto sia di una raccolta che di una selezione …
[restelo e tamiso: ad maiora!]
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