In questi giorni mi torna alla mente una spiritosa canzoncina che sentivo cantare nella mia infanzia, “Tout va bien Madame la Marquise”, tutto va bene signora Marchesa. Il testo racconta di una signora, la Marchesa appunto, che chiede al suo fattore come vanno le cose nelle sue proprietà. Il fattore risponde che va tutto molto bene, salvo poi nel prosieguo della conversazione raccontarle che era morto il cane, era bruciato il castello, che il marito si era suicidato e che erano accaduti molti altri disastri. Insomma salta fuori che nulla andava veramente bene.
Perché mi torna in mente questo ossessivo ritornello?
Cito rapidamente alcuni fatti correndo il rischio, anzi la certezza, di essere superficiale.
Non molti mesi fa si sono svolte le elezioni europee, evento troppo rapidamente assimilato e archiviato da stampa e opinioni pubbliche. Per la prima volta un numero molto elevato di elettori ha votato per partiti di destra, di estrema destra e per partiti che chiamiamo sovranisti. Successivamente, dopo lunghe e complesse formalità, si sta insediando una commissione molto simile a quella che l’ha preceduta: la nuova commissione ha la stessa presidente, la signora Ursula von der Leyen, ed è sostenuta dalle medesime formazioni politiche – popolari socialisti liberali e verdi – che appoggiavano quella precedente.
Inoltre la “nuova” presidente von der Leyen nel suo discorso di insediamento ha in sintesi affermato che è sua intenzione riprendere il cammino intrapreso nella precedente legislatura, con poche novità: in sostanza si va avanti come prima.
Il giustificato sollievo per lo scampato pericolo di una maggioranza antieuropea al governo dell’Unione ha fatto completamente svanire il tema fondamentale sul quale ci si sarebbe dovuti interrogare nel dopo-elezioni: perché milioni di cittadini europei hanno votato in questo modo e se tra le motivazioni di questo voto ce ne fosse qualcuna meritevole di attenzione e – per ipotesi – da tenere presente nel programma per il prossimo quinquennio di governo della nuova Commissione.
Cambio scenario e salto alla Francia. Gli elettori francesi, sempre alle ultime elezioni europee, hanno in maniera massiccia votato una formazione di estrema destra, il Rassemblement National di Bardella e Marie Le Pen. Di fronte al successo senza precedenti dell’estrema destra, il presidente Macron ha indetto a sorpresa elezioni anticipate che hanno dato un risultato elettorale del tutto diverso: hanno premiato una coalizione di sinistra le Nouveau Front Populaire, guidata da una formazione di sinistra estrema, la France Insoumise di Jean Luc Mèlenchon.
Osservo che anche in questo caso il perché milioni di francesi votino sempre di più l’estrema destra lepeniana mi sembra sia stato posto in ombra dal sollievo dello scampato pericolo di avere per il momento allontanato la prospettiva di un governo di estrema destra in Francia.
Ma non finisce qui. Pochi giorni fa il presidente francese Macron ha dato l’incarico di formare il nuovo governo a Michel Barnier. Barnier ha molti meriti e dispone inoltre di una oggettiva esperienza di governo, ma non si può dire che appartenga al campo della sinistra uscita vincitrice alle elezioni, essendo egli un conservatore di destra di formazione gollista.
Ora cito questi due fatti senza dare dei giudizi di merito su quanto accaduto e osservando che in punta di diritto tutto sembra essere formalmente corretto (o quasi). Preciso inoltre che ritengo positivo il fatto che le formazioni politiche antieuropee e sovraniste stiano lontane dal governo della Commissione a Bruxelles e che l’estrema destra francese stia altrettanto lontana dal palazzo dell’Eliseo, ma mi chiedo se un utilizzo così apparentemente disinvolto dell’elemento che è il perno delle nostre democrazie – e cioè la volontà popolare espressa nelle elezioni – non rischi di rivelarsi controproducente per la coerenza delle stesse nostre istituzioni democratiche.
E questo almeno sotto due diversi profili.
L’elettore che ha l’impressione che del suo voto non venga tenuto conto nei seguiti post-elettorali sarà portato a non votare più alle elezioni successive, allargando la schiera – già enorme – di chi si astiene nella convinzione che “tanto non cambia nulla”. Ed è oramai drammaticamente evidente che quando la metà circa degli elettori non va a votare – come avvenuto nelle elezioni europee – il problema non attiene più alla statistica ma alla politica e alla credibilità stessa delle istituzioni democratiche.
Inoltre, non dimentichiamoci che “la democrazia nel mondo è sotto attacco”. Putin ci ricorda spesso che le democrazie occidentali sono superate e inefficienti, e i Paesi del Sud del Mondo, quelli che chiamiamo BRICS, fanno altrettanto. Le accuse alle democrazie vanno dall’essere oligarchie economiche mascherate, ad avere un doppio standard morale e all’ipocrisia del politicamente corretto, di essere in definitiva una colossale finzione.
Anche per questo, e a maggior ragione, dovremo essere rigorosi nell’applicazione delle nostre regole democratiche, evitando opacità interpretative e usando rigore e coerenza. Nessun cittadino deve avere l’impressione che il suo voto non conti nulla: dobbiamo farlo innanzitutto per noi stessi ma anche per l’immagine che diamo al mondo.
In definitiva dovremmo affrontare con maggiore coraggio la realtà che abbiamo di fronte in questo momento storico, che è quella di un’ampia e variegata insoddisfazione verso molti governi nazionali e verso le istituzioni europee e chiedercene le ragioni.
Compito difficile certo e forse sgradevole.
E se tra le molte ragioni vi fosse il timore di una guerra alle porte? Se i cittadini europei fossero fortemente spaventati dal progressivo implacabile allargamento della guerra in Ucraina e dalle sue conseguenze sull’economia, sulla sicurezza e sul loro stesso destino? E se non trovassero rassicurazioni nelle politiche sin qui messe in atto da chi li governa, politiche che – lungi dall’essere improntate a una visione “europea” – appaiono troppo allineate con la politica americana e della NATO nei confronti della guerra?
La Germania vive e oggi una crisi economica e sociale senza precedenti, che viene imputata anche alle conseguenze delle politiche indotte dalla guerra in Ucraina e non a caso gli elettori tedeschi votano – in maniera che ci appare incredibile – per un partito di estrema destra velato da ombre addirittura naziste.
Credo inoltre che oggi non sia solo il momento del realismo, ma anche quello del coraggio. Sono trascorsi ormai (quasi) tre lustri da quando il Trattato di Lisbona ha sancito che il Parlamento europeo è la sede della rappresentanza politica dei cittadini dell’Unione e non dei popoli degli Stati membri. Può sembrare un “formalismo brussellese” ma stabilisce in concreto che noi cittadini dovremmo andare a votare non in quanto cittadini di uno stato membro, ma in quanto cittadini europei.
Questo importantissimo passaggio è però rimasto solo sulla carta. Come sapete, non abbiamo un reale sistema di partiti europei, non abbiamo una legislazione elettorale uniforme per tutti i paesi e mancano vere circoscrizioni sovranazionali.
Anche per questo i cittadini dei paesi membri si sono recati alle urne lo scorso giugno soprattutto guardando alla politica interna dei propri paesi, di per punire o premiare il proprio governo o per altre motivazioni tutte a dimensione nazionale: nessun tema europeo di ampio respiro è stato presente nella campagna elettorale o è stato il motore determinante dei risultati elettorali.
E quindi il coraggio che oggi ci viene richiesto potrebbe partire proprio da qui. L’Europa si rivolga finalmente ai propri cittadini in maniera diretta, con partiti davvero europei e una legislazione elettorale unica. Insomma in maniera sovranazionale.
So che è difficile, qualcuno dirà addirittura impossibile. Ma rappresenta un passaggio non rinviabile per un vero salto di qualità nel processo di integrazione, che ci consenta finalmente di avere una visione europea del mondo e di sviluppare politiche conseguenti con i veri interessi europei.
L’alternativa, per tornare al ritornello iniziale con cui ho iniziato queste considerazioni, è quella di dire a “Madame la Marquise” che va tutto bene e di aspettare che il futuro ci piombi addosso.
Immagine di copertina da Desiderio e il luogo che non c’era, un “giornaletto” a fumetti per bambini ideato e fatto diffondere da Paolo Costa, allora eurodeputato, nel 2002, soggetto, sceneggiatura e testi di Sandra Gastaldo – è disegnato da Giorgio Cavazzano, veneziano, uno dei più grandi Maestri del fumetto italiano e internazionale, che ha prestato il suo talento ai fumetti Disney oltre che alla creazione di fumetti umoristici non disneyani e a fumetti di genere realistico.
L’articolo Europa. “Tout va bien Madame la Marquise” proviene da ytali..